DOSSIER SUL “No al crocifisso”

 

 

Non si ferma l’ondata popolare in difesa del crocifisso

 

 

di Antonio Gaspari

 

ROMA, domenica, 8 novembre 2009 (ZENIT.org).- Nel 1968 gli studenti occupavano le scuole al grido “Dio è morto”; oggi gli studenti portano il crocifisso nelle aule e nei luoghi in cui non c’è.

 

Come ha riportato questo sabato Avvenire in un articolo di Paolo Ferrario dal titolo “Gli studenti si ribellano: quella croce non si tocca”, in diverse scuole a livello nazionale gli studenti hanno portato le croci nelle aule in cui non c’era.

 

All’istituto professionale “Golgi” di Brescia, gli studenti si sono portati da casa un crocifisso enorme e lo hanno appeso in bella vista sopra la cattedra.

 

Il dirigente scolastico l’ha fatto togliere, ma dopo una notte chiuso nell’armadio della classe, venerdì mattina il crocifisso è ricomparso al proprio posto.

 

La professoressa Ersilia Conte, che al “Golgi” insegna Chimica, ha raccontato che “quella dei ragazzi è stata una bella sorpresa. Dove non è arrivata la scuola ci hanno pensato gli studenti, che evidentemente ne hanno parlato prima tra di loro decidendo di dare a tutti una bella testimonianza”.

 

Analoga vicenda al liceo scientifico “Fermi” di Salò (Brescia), dove dopo una votazione per decidere se mettere il crocifisso in aula i ragazzi di quinta hanno appesa la Croce sopra la cattedra.

 

Il professore di Lettere Marco Tarolli ha riferito: “Mi hanno detto che al crocifisso non sono disposti a rinunciare”.

 

A Imola, al liceo linguistico “Alessandro da Imola”, che partecipa a numerosi programmi di scambio con altri Paesi del continente, la studentessa Caterina Bassi, ha dichiarato: “Secondo me è una sentenza sbagliata perché l’Italia è cattolica. Se un ateo non crede non dovrebbe nemmeno provare fastidio. La cosa veramente assurda è proporre l’insegnamento della religione musulmana”.

 

La professoressa di Scienze, Carla Cardano, ha aggiunto: “La sentenza ignora la tradizione cristiana e la storia del nostro Paese. Mai avuto prima d’oggi problemi in classe”.

 

Sono forse questi alcuni frutti delle Giornate Mondiali della Gioventù, durante le quali la Croce è stata portata nei diversi continenti?

 

Qualsiasi sia l’origine, sta di fatto che l’ondata popolare in difesa del crocifisso non si placa.

 

Quasi in ogni giunta comunale, provinciale e regionale a livello nazionale, si è discusso sul se e come comportarsi di fronte alla sentenza della Corte di Strasburgo che ha chiesto la rimozione di tutti i crocifissi presenti nella aule scolastiche d’Italia.

 

Una riposta chiara l’ha data la Giunta regionale della Valle d’Aosta, che ha “invitato tutte le scuole di ogni ordine e grado a mantenere il crocifisso nelle aule”.

 

In un documento dell’Esecutivo valdostano – proposto dall’assessore all’istruzione, Laurent Vierin, d’intesa con il presidente della Regione, Augusto Rollandin – si legge che secondo la Giunta “l’applicazione di tale sentenza potrebbe costituire un pericoloso precedente in quanto innescherebbe una serie di ricorsi da parte di chiunque si dovesse sentire in qualche modo leso dall’esposizione di simboli religiosi, compresi tutto il patrimonio artistico italiano che direttamente o indirettamente fa riferimento alla religione cattolica”.

 

Nel documento si rileva inoltre che “tale esposizione non può e non deve essere considerata un atto offensivo nei confronti di alcuno e che, in particolare, il crocifisso rappresenta per la comunità valdostana un elemento religioso parte integrante della propria tradizione storica culturale”.

 

La Valle d’Aosta, in conclusione, sollecita il Governo italiano a ricorrere contro la sentenza della Corte di Strasburgo.

 

A Firenze, il presidente del consiglio provinciale Davide Ermini, a seguito della polemica relativa alla sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani che vieta di esporre il crocifisso nelle aule scolastiche e, in generale, nei locali pubblici e negli uffici delle Pubbliche amministrazioni, ha acquistato un crocifisso e lo ha attaccato nel proprio ufficio di Palazzo Medici Riccardi.

 

In Toscana il presidente regionale dell’Unione delle Comunità Montane (Uncem), Oreste Giurlani, ha lanciato un appello a tutti i sindaci della regione a emettere un’ordinanza in difesa del crocifisso nelle scuole.

 

Giurlani, sindaco del comune di Fabbriche di Vallico (Lucca), ha firmato un’ordinanza con la quale ribadisce di mantenere il crocifisso nelle aule delle scuole del comune come “espressione dei fondamentali valori civili e culturali del popolo italiano”.

 

In Sardegna, a Carbonia, un gruppo di commercianti ha esposto un cartello in cui è scritto “Attenzione, in questo locale esponiamo il crocifisso”.

 

A Roma don Enzo Caruso, direttore per l’Italia del Movimento Mondo migliore, ha sottolineato che “nessuna corte ha il diritto di determinare le espressioni dell’identità culturale di un popolo” e ha definito la sentenza europea un “attacco a uno dei simboli più essenziali, che esprime l’anima stessa della civiltà italiana nonchè europea”.

 

Nel frattempo, i sondaggi continuano a confermare l’enorme sostegno di cui gode il crocifisso in Italia.

 

Una ricerca tra i telespettatori del programma “Domenica in” ha rilevato che il 96% degli interpellati vuole che il crocifisso rimanga nelle aule e nei luoghi pubblici perché “fa parte della nostra tradizione e identità culturale”.

 

Sembrerà paradossale, ma per ora il risultato della sentenza della Corte di Strasburgo è stato quello di far presente il crocifisso in tanti luoghi dove non c’era.

 

 

 

 

 

IN ITALIA IL TRIONFO DELLA CROCE

 

Rivolta popolare contro la sentenza della Corte di Strasburgo

 

 

 

di Antonio Gaspari

 

 

ROMA, venerdì, 6 novembre 2009 (ZENIT.org).- La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo in cui si chiede la rimozione dei crocifissi dalla aule scolastiche ha scatenato una rivolta popolare in tutta l’Italia.

 

Rivolta con finalità benefiche visto che adesso si stanno appendendo crocifissi dove non c’erano e si stanno promuovendo iniziative e manifestazioni in favore della Croce.

 

Da quando è stata resa nota la sentenza della Corte, è iniziato un tam tam di lettere ai giornali, interpellanze nei consigli comunali, messaggi via mail, telefonate alle radio, discussioni in ogni luogo, messe e incontri di preghiera, per difendere e sostenere la presenza del crocifisso, non solo nelle aule scolastiche ma in tutti i luoghi pubblici.

 

A conferma di quanto il popolo italiano abbia radicato nel cuore l’identità con il crocifisso basta osservare cosa stanno facendo sindaci, presidi, consigli comunali, direttori di giornali, ministri, deputati, senatori, parroci, vescovi, insegnanti, province, teatri, associazioni di imprenditori, cittadini tutti.

 

Un enorme numero di presidi ha chiesto di provvedere affinché tutte le aule abbiano il crocifisso. Nelle scuole di Parma c’è stata una vera e propria mobilitazione, nelle scuole elementari, alle medie ed alle superiori, i crocifissi sono stati appesi anche nelle aule che ne erano sprovvisti.

 

I presidi concordano: nessuno si è mai lamentato e il crocifisso non si toglie.

 

In una scuola di Roma, in una classe elementare dove erano stati fatti lavori di pittura, i bambini hanno chiesto alla maestra di appendere il crocifisso più in alto, dove nessuno potrà mai toglierlo.

 

A Imperia come a Sanremo e decine di altre città le amministrazioni comunali hanno dato ordine di portare il crocefisso anche nelle aule che ne sono sprovviste.

 

A Sassuolo, in provincia di Modena, il sindaco ha acquistato 50 crocifissi per gli istituti scolastici che ne fossero sprovvisti.

 

A Trapani il presidente e gli assessori della giunta provinciale hanno pagato di tasca loro 72 crocifissi da portare nelle aule scolastiche dove il crocefisso manca.

 

A Trieste il sindaco Roberto Dipiazza ha dichiarato “fintanto che sarò io il sindaco di Trieste nessun crocifisso verrà rimosso da alcuna scuola comunale, né tantomeno dagli uffici municipali”.

 

Il sindaco di Galzignano Terme in provincia di Padova ha emanato l’obbligo di affissione del crocifisso in tutti gli edifici pubblici, con tanto di multa di 500 per i trasgressori.

 

Ad Assisi il sindaco ha proposto di esporre nelle aule pubbliche non solo il crocifisso ma anche il presepe.

 

A Busto Arsizio in provincia di Varese, l’amministrazione comunale ha protestato con la sentenza della Corte di Strasburgo, mettendo a mezz’asta la bandiera europea.

 

Il sindaco di Loreto, in provincia di Ancona, qualora la sentenza di Strasburgo diventasse esecutiva, ha già pronta un’ordinanza per impedire la rimozione dei crocifissi.

 

L’amministrazione comunale di Montegrotto Terme (Padova), sta utilizzando i tabelloni per una campagna dove compare un crocifisso con la scritta “Noi non lo togliamo”.

 

In rete sul social network Facebook il nuovo gruppo “Sì al crocifisso nelle scuole”, (sialcrocifis­so@gmail.com) ha raccolto più di 27mila adesioni.

 

Ed un altro gruppo “Riportiamo il crocifisso nelle scuole”, in pochissimo tempo ha raccolto 8.872 adesioni.

 

Nella capitale la Confcommercio di Roma ha chiesto a tutti gli associati di esporlo nei propri negozi, aggiungendo: “Se vogliono togliere i crocifissi dalle nostre scuole, vuol dire che li metteremo nelle nostre aziende”.

 

Il quotidiano romano “Il tempo” ha lanciato un appello pubblico

(appello@iltempo.it) al Governo e al Parlamento per controbattere alla sentenza di Strasburgo contro l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche.

 

Secondo quanto riportato da “Avvenire” ad Abano Terme, dove è iniziata la protesta della signora Soile Lauti, il parroco del Duomo, don Antonio Toigo, ha detto che la “laicità non è sottrazione ma moltiplicazione. Protesta chi il crocifisso non lo ha dentro”.

 

Mentre il preside dell’Istituto “Vittorino da Feltre”, fre quentato dai figli della signora Soile Lauti sottolinea che, dal 2002, anno del primo ricorso, nessun’altra famiglia ha chiesto di togliere i crocifissi dalle aule a dimostrazione che “l’integrazione e l’inserimento promossi dalla scuola hanno funzionato”.

 

 dal Corriere della Sera dell’8.11.2009

Crocifisso nelle aule: l’84% è favorevole

si riapre il dibattito sull’opportunità di esporre il crocifisso nelle aule scolastiche e negli uffici pubblici. Ogni volta, la questione mobilita gli opinionisti (e le opinioni), suscita polemiche e reazioni indignate. Ciò accade perché il crocifisso evoca valori, tradizioni, appartenenze radicate, anche se spesso assai differenti in vari segmenti di popolazione. Al riguardo, si possono grossolanamente distinguere almeno tre gruppi di cittadini. Per alcuni, l’esposizione del crocifisso è opportuna poiché esso rappresenta in primo luogo un emblema religioso, che testimonia ed evoca la fede cattolica e la devozione verso Gesù Cristo. Per altri — anch’essi favorevoli alla presenza del crocifisso nelle classi— costituisce soprattutto un simbolo che ricorda le nostre tradizioni sociali e culturali. In questo caso, non si nega la valenza religiosa della Croce, ma se ne amplia il significato e se ne sottolinea la portata culturale. Altri ancora, infine, vedono l’esposizione del crocifisso negativamente, come segno della presenza predominante della Chiesa cattolica nelle nostre istituzioni, in particolare quelle educative e formative. Ciò che finisce col togliere spazio e libertà di espressione alle altre fedi o ai valori e ai principi della laicità. Le esternazioni riportate in questi giorni sui media hanno evidenziato la presenza— tra i politici e gli osservatori— di tutte e tre queste posizioni. Ma una prima analisi pare mostrare l’esistenza tra i commentatori di una maggiore diffusione della seconda, quella che attribuisce al crocifisso una positiva valenza di rappresentatività delle nostre tradizioni culturali. E tra la popolazione? Qual è l’opinione degli italiani? Un sondaggio, effettuato proprio nei giorni scorsi, evidenzia come la grande maggioranza (84%) sia favorevole al mantenimento della presenza della Croce nelle scuole, mentre solo il 14% (meno di un italiano su sei) si dichiara contrario. Il favore è maggiore tra i più anziani, tra coloro che posseggono titoli di studio medio-bassi, tra chi abita nelle regioni meridionali e nelle isole, tra chi vota per il centrodestra. E, naturalmente, tra i cattolici praticanti, ove esso supera il 93%. Ma anche tra i laici — ad esempio, coloro che dichiarano di non recarsi mai alla messa— chi si dichiara contrario alla permanenza del crocifisso nelle aule costituisce una netta minoranza, pari a meno del 30%. Che diminuisce sino al 22% tra i votanti per le forze del centrosinistra. L’insieme di questi dati non mostra solo che la gran parte degli italiani desidera che il crocifisso rimanga appeso nelle classi. Esso suggerisce anche come la motivazione non sia esclusivamente legata ad argomenti religiosi, ma che, viceversa, attribuisce alla Croce la capacità di rappresentare le nostre tradizioni e la nostra cultura.

 

Nel segno della croce

Il crocifisso è diventato un segno universale, scandaloso ma imprescindibile, come già osservava Paolo scrivendo ai Corinzi: «I giudei cercano i segni, i greci la sapienza. Noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i giudei, stoltezza per i pagani»

 

    «È là, muto e silenzioso. C’è stato sempre. È il segno del dolore umano, della solitudine della morte. Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro destino. Il crocifisso fa parte della storia del mondo». Così nel 1988 sull’«Unità» la scrittrice Natalia Ginzburg reagiva a uno dei vari tentativi di schiodare la croce dai luoghi pubblici e il titolo di quell’articolo era lapidario: «Non togliete quel crocifisso!».

 

Certo, la croce è un segno storico, legato a una religione. Ne conosciamo la vicenda narrata nei Vangeli e sappiamo che la crocifissione, il servile supplicium, ossia l’esecuzione capitale destinata agli schiavi e ai ribelli, come la definivano i romani, era «una sofferenza intollerabile, la più penosa delle morti», per stare alle parole di un testimone di tante crocifissioni che già prima dell’occupazione romana venivano praticate in Palestina, lo storico ebreo Giuseppe Flavio nella sua opera La guerra giudaica (7, 202-203). È però fondamentale un’unica crocifissione. Su uno sperone roccioso di pochi metri, denominato in aramaico Golgota, divenuto in latino Calvario, ossia “cranio”, prominenza rupestre ormai inglobata nella basilica crociata del S. Sepolcro, in un giorno di primavera di un anno tra il 30 e il 33, Gesù di Nazaret aveva chiuso su una croce la sua esistenza terrena, dopo aver pronunziato sette frasi, divenute una reliquia letteraria evangelica ma anche un’ideale base per molteplici partiture musicali (chi non ricorda le stupende Sette parole di Cristo in croce di Haydn?). Quel “forte grido” che segnava una fine tragica era in realtà un inizio assoluto, come scriveva l’autore greco del romanzo L’ultima tentazione di Cristo (1952), Nikos Kazantzakis: «Levò un grido: Tutto è compiuto! Ma è come se dicesse: Tutto comincia!».

Il crocifisso è, così, diventato un segno universale, scandaloso ma imprescindibile, come già osservava Paolo scrivendo ai Corinzi: «I giudei cercano i segni, i greci la sapienza. Noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i giudei, stoltezza per i pagani» (I, 1, 22-23). Un segno di contraddizione, quindi, ma un punto di riferimento capitale per la cultura non solo occidentale.

 

Basterebbe solo percorrere la storia dell’arte per rimanerne convinti, giungendo fino al «Cristo giallo» di Gauguin o alle «Crocifissioni provocatorie» di Dalì o Guttuso. Oppure basterebbe sfogliare il Dizionario di Salvatore Battaglia, per scoprire alla voce «croce» ben 40 suddivisioni in tipologie, simboli, locuzioni (ne elenca almeno 24 diverse che hanno alla base questa parola nella sua accezione “cristiana”), sempre documentate da infinite attestazioni letterarie, a partire da Jacopone da Todi o Dante per approdare a Papini e agli scrittori contemporanei.Ora, è da poco apparso nella magnificenza di tre volumi che totalizzano quasi 1300 pagine un grandioso percorso storico, letterario, artistico, spirituale sull’iconografia e l’interpretazione della croce, a partire dalle sue origini cristiane, fino ad approdare alle soglie del XVI secolo. A fare da guida è un’autorità come Boris Ulianich della Federico II di Napoli che apre la sequenza dei 55 saggi come una significativa riflessione di indole generale sull’«unità del mistero salvifico» che è sotteso a questo emblema capitale della fede e della civiltà occidentale. Non possiamo ovviamente neppure elencare i temi teologici, gli itinerari esegetici e iconografici, le documentazioni testuali che danno sostanza a questo spettro analitico e critico dalle infinite iridescenze: ci si interessa persino di numismatica, si migra fino in Armenia alla ricerca dei

 

Xac’k’ars tipici di quella cultura e si scende in Etiopia, senza dimenticare il valore della croce per l’Islam; immenso è il patrimonio cristiano che considera questo simbolo come se fosse in pratica il sistema simbolico dei quattro punti cardinali della nostra stessa identità umana e spirituale (c’è persino un saggio sulla «croce nel diritto canonico»!).

Noi abbiamo voluto, più che ricorrere a una recensione – per altro, come si diceva, impraticabile in queste righe -, proporre una libera considerazione su un segno così imprescindibile, nonostante le esitazioni e le reticenze del “religiosamente corretto” attuale. A livello teologico il realismo tragico della crocifissione è, infatti, una prova decisiva del cuore spirituale del cristianesimo, l’incarnazione: Cristo s’insedia nel terreno stesso della creatura umana, segnata dal limite, dalla finitudine, dal dolore, dalla morte e persino dal silenzio di Dio, divenendo in tal modo veramente “carne” umana, nostro fratello che soffre e muore, come ricorderà anche Ungaretti in una sua celebre poesia. Contro l’antica tentazione gnostica – ereditata dal Corano che sostituirà sulla croce un sosia (Giuda Iscariota o Simone di Cirene o un ebreo) per evitare questa umiliazione al “profeta” Gesù – il cristianesimo autentico ribadisce nel crocifisso questa estrema partecipazione del Figlio di Dio alla nostra realtà mortale.

 

È per questa via che il credente sente che nella sua caducità è stato deposto un seme di divinità che la Pasqua farà esplodere. Ma è per questa stessa via, proprio come diceva la Ginzburg, che nella croce di Cristo si raggruma tutto il dolore dell’umanità in modo autenticamente “simbolico”, cioè in una sintesi suprema di rappresentazione. Nel romanzo Il segreto di Luca Ignazio Silone illustrava limpidamente il messaggio che il crocifisso riserva a tutte le vittime, agli oppressi, ai giusti e agli infelici. Ecco il suo racconto: «Luca, durante l’interrogatorio, guardava fisso sulla parete, al di sopra del presidente. “Cosa guardate?”, gli gridò il presidente. “Gesù in croce”, gli rispose Luca, “non è permesso?”. “Dovete guardare in faccia chi vi parla”, gridò il presidente. “Scusate”, replicò Luca, “ma anche lui mi parla; perché non lo fate tacere?” ».

E Borges, lo scrittore agnostico argentino, attratto da quella figura crocifissa, ben incarnava l’atteggiamento di tutti coloro che, pur senza una confessione di fede, non possono staccare lo sguardo da quel volto: «La nera barba pende sopra il petto./ Il volto non è il volto dei pittori./ È un volto duro, ebreo./ Non lo vedo/ e insisterò a cercarlo/ fino al giorno/ dei miei ultimi passi sulla terra».

 

 

 

 

 

 

 

 

Chiesero a Pietro Calamandrei

“ma che cosa c’entra il crocifisso nelle aule di giustizia?”.

 

 

 

E’ una concezione elevata della giustizia, una concezione religiosa. E la ritroviamo nella risposta: 

“Niente di male col crocifisso in aula. Ma non dovrebbe stare dietro le spalle dei giudici. Lì lo vede solo il giudicabile ed

è portato a credere che lo ammonisca a lasciar perdere ogni speranza (simbolo non di fede ma di disperazione). Va messo

in faccia ai giudici, ben visibile nella parete di fronte, perché lo considerino con umiltà mentre giudicano e non dimentichino

mai che incombe su di loro il terribile pericolo di condannare un innocente”.

 

Ora tocca alle aule scolastiche

 

 

 

 

 

Dal sito http://abateoimpertinente.wordpress.com/2009/11/03/strasburgo-no-al-crocifisso-in-aula-lede-liberta/

STRASBURGO – La presenza dei crocefissi nelle aule scolastiche costituisce “una violazione dei genitori ad educare i figli secondo le loro convinzioni” e una violazione alla “libertà di religione degli alunni”. E’ quanto ha stabilito oggi la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo nella sentenza su un ricorso presentato da una cittadina italiana.

Il caso era stato sollevato da Soile Lautsi, cittadina italiana originaria della Finlandia, che nel 2002 aveva chiesto all’istituto statale “Vittorino da Feltre” di Abano Terme (Padova), frequentato dai suoi due figli, di togliere i crocefissi dalle aule. A nulla, in precedenza, erano valsi i suoi ricorsi davanti ai tribunali in Italia. Ora i giudici di Strasburgo le hanno dato ragione.

La sentenza emessa oggi dalla Corte europea dei diritti dell’uomo sul ricorso presentato da Soile Lautsi, cittadina italiana di origine finlandese, contro l’esposizione dei crocefissi nelle scuole ha previsto che il governo italiano dovrà pagare alla donna un risarcimento di cinquemila euro per danni morali. La sentenza, rende noto l’ufficio stampa della Corte, è la prima in assoluto in materia di esposizione dei simboli religiosi nelle aule scolastiche.

Il governo italiano ricorrera’ contro la sentenza emessa oggi dalla Corte europea dei diritti dell’uomo relativa al caso dei crocifissi nelle aule scolastiche. Lo ha dichiarato all’ANSA il giudice Nicola Lettieri, che difende l’Italia davanti alla Corte di Strasburgo. Se la Corte accoglierà il ricorso del governo italiano, il caso verrà ridiscusso nella Grande Camera. Qualora il ricorso del governo non dovesse essere accolto, la sentenza emessa oggi diverrà definitiva tra tre mesi, e allora spetterà al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa decidere, entro sei mesi, quali azioni il governo italiano deve prendere per non incorrere in ulteriori violazioni legate alla presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche.

NO COMMENT DAL VATICANO

Il Vaticano vuole leggere la motivazione, prima di pronunciarsi sulla sentenza oggi della Corte europea di Strasburgo che ha condannato la presenza dei crocefissi nelle aule come una “violazione” delle convinzioni religiose dei genitori. “Credo che ci voglia una riflessione, prima di commentare”, ha detto padre Federico Lombardi, portavoce della Santa Sede, durante una conferenza stampa per presentare un prossimo convegno sull’immigrazione. Anche mons. Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio consiglio della pastorale per i migranti, presente in conferenza stampa, si è unito alla linea di padre Federico Lombardi. “Preferisco non parlare della questione del crocefisso perché sono cose che mi danno molto fastidio”, ha detto di fronte alle insistenze dei giornalisti.

GELMINI, RAPPRESENTA TRADIZIONI

“La presenza del crocifisso in classe non significa adesione al cattolicesimo ma è un simbolo della nostra tradizione”. Lo ha affermato il ministro dell’istruzione Mariastella Gelmini in relazione alla sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo sulla presenza del crocifisso nelle classi.

CORO DI NO DAL CENTRODESTRA

“In attesa di conoscere le motivazioni attraverso le quali la Corte di Strasburgo ha deciso che i crocefissi offenderebbero la sensibilità dei non cristiani, non posso che schierarmi con tutti coloro, credenti e non, religiosi e non, cristiani e non, che si sentono offesi da una sentenza astratta e fintamente democratica”. Così il ministro delle politiche agricole alimentari e forestali Luca Zaia interviene in merito alla notizia della sentenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo di Strasburgo sui crocefissi nelle scuole. “Chi offende i sentimenti dei popoli europei nati dal cristianesimo è senza dubbio la Corte di Strasburgo. Senza identità non ci sono popoli, e senza cristianesimo non ci sarebbe l’Europa. Che destino paradossale: proprio coloro che dovrebbero tutelare il senso comune si danno da fare per scardinare la nostra civiltà. Si vergognino!”.

”Trovo assurda e gravissima la sentenza della Corte di Strasburgo contro la presenza del crocefisso nelle scuole italiane. Gia’ il Tar ed il Consiglio di Stato si erano pronunciati sulla vicenda rigettando le richieste della cittadina finlandese e dichiarando che: ‘il crocifisso e’ il simbolo della storia e della cultura italiana, e di conseguenza dell’identita’ del Paese, ed e’ il simbolo dei principi di eguaglianza, liberta’ e tolleranza e del secolarismo dello Stato.’ Un pronunciamento ineccepibile che viene completamente sovvertito dalla Corte europea”. E’ quanto dice Gabriella Carlucci, vice Presidente della Commissione Bicamerale per l’Infanzia. ”Ancora una volta un organismo europeo, entra a gamba tesa nelle questioni interne del nostro Paese, calpestando valori e principi su cui si fondano la nostra societa’, la nostra cultura, la nostra identita’. Lo Stato italiano deve opporsi in giudizio a questo pericolosissimo precedente”, conclude.

CASINI, CONSEGUENZA PAVIDITA’ UE

“La scelta della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di bocciare la presenza del crocifisso nelle scuole è la prima conseguenza della pavidità dei governanti europei, che si sono rifiutati di menzionare le radici cristiane nella Costituzione Europea”. Lo afferma il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini in un’intervista al Tg2. “Comunque, nessun crocifisso nelle aule scolastiche ha mai violato la nostra libertà religiosa, né la crescita e la libera professione delle fedi religiose. Quel simbolo – conclude – è un patrimonio civile di tutti gli italiani, perché è il segno dell’identità cristiana dell’Italia e anche dell’Europa”.

Fonte: ANSA

DICHIARAZIONE

 

 

SULLA SENTENZA DELLA CORTE SUPREMA EUROPEA

CHE VIETA L’ESPOZIONE DEL CROCEFISSO NELLE AULE SCOLASTICHE

 

di  Mons. Giampaolo Crepaldi

Arcivescovo di Trieste

e Presidente dell’Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuan

sulla Dottrina sociale della Chiesa

  

La sentenza della Corte europea per i diritti dell’uomo secondo cui vanno eliminati i crocefissi dalle aule scolastiche è profondamente sbagliata. L’estromissione dei simboli religiosi dagli ambienti pubblici è esso stesso un atto che esprime assolutezza e integralismo. Non è indice di laicità, ma di arroganza del potere politico che vuole imporre una pubblica piazza senza religione. Con la scusa di non discriminare i fedeli di altre religioni si discrimina la religione in quanto tale, la si riduce a fatto privato. Per l’Europa, poi, la religione cristiana è elemento costitutivo della stessa cultura sociale e politica. Senza radici non c’è libertà; senza identità non c’è vero dialogo. Ma il motivo ancora più importante per cui la sentenza della Corte è da considerarsi sbagliata è che la ragione politica, proclamando la sua indifferenza a tutte le religioni, si dichiara impotente a valutare razionalmente le proposte religiose. Il cristianesimo non chiede alla ragione politica di accettare la propria presenza storica solo per motivi storici e culturali – le “radici” europee – ma perché esso aiuta la società ad essere migliore, contribuisce al bene comune, eleva le anime verso quanto è vero e buono: ossia per la sua verità. Il crocefisso rappresenta la verità dell’umano, indica a tutti, credenti e non credenti, i valori della vita e dell’amore. Una ragione politica indifferente alle religioni o che le riducesse a sentimento privato prima di tutto rinuncerebbe a se stessa, alla sua capacità, laica e razionale, di cogliere la verità delle religioni e nelle religioni. Una ragione politica così debole sarebbe però pericolosa. Priva di fede in se stessa, essa cederebbe su molti altri punti ove è in gioco la dignità umana.

 

dal sito: www.corriere.it

LA SENTENZA DELLA CORTE EUROPEA

Il crocifisso, simbolo di sofferenza che non può offendere nessuno

Il giovane Sami Albertin — la cui madre ha chiesto la rimozione del crocifisso dalle scuole statali approvata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, ricevendo per questo su forum e blog volgari insulti da chi, per il solo fatto di proferirli, non ha diritto di dirsi cristiano — dev’essere molto sensibile e delicato come una mimosa, se, com’egli dice, «si sentiva osservato» dagli occhi dei crocifissi appesi nella sua classe.

Se erano tre, come egli ricorda, erano un po’ troppi, ma provare turbamenti da giovane Werther o da giovane Törless è forse un po’ esagerato; fa pensare a quella prevalenza dei nervi sui muscoli irrisa da Croce, che preferiva studenti studiosi e gagliardi a precoci giacobini.

La sentenza e soprattutto i suoi strascichi provocheranno — ed è questa la conseguenza più grave — un passo indietro in quella continua lotta per la laicità che è fondamentale, ma che è efficace — ha ricordato Bersani, uno dei pochi a reagire con equilibrio a tale vicenda — solo se non travolge il buon senso e non confonde le inique ingerenze clericali da combattere con le tradizioni che, ancora Bersani, non possono essere offensive per nessuno. La difesa della laicità esige ben altre e più urgenti misure: ad esempio — uno fra i tanti — il rifiuto di finanziare le scuole private, cattoliche o no, e di parificarle a quella pubblica, come esortava il cattolicissimo e laicissimo Arturo Carlo Jemolo.

Sono contrario a ogni Concordato che stabilisca favori a una Chiesa piuttosto che a un’altra anche se numericamente poco rilevante; ritengo ad esempio — è solo un altro esempio fra i tanti — che il matrimonio cattolico e il suo eventuale annullamento ecclesiastico non dovrebbero avere alcuna rilevanza giuridica, che dovrebbe essere conferita solo dal matrimonio e dal suo eventuale annullamento civile. «Frate, frate, libera Chiesa in libero Stato!», pare abbia detto Cavour in punto di morte al religioso che lo esortava a confessarsi. Forse è una leggenda, ma esprime bene la fede nel valore della laicità — che non è negazione di alcuna fede religiosa e può anzi coesistere con la fede più appassionata, ma è distinzione rigorosa di sfere, prerogative e competenze.

L’obbligatoria rimozione del crocifisso è formalmente ineccepibile, in quanto la separazione fra lo Stato e la Chiesa — tutte le Chiese — non richiede di per sé la presenza di alcun simbolo religioso. La legge tuttavia consente di temperare la formale applicazione del diritto con l’equità ossia con la giustizia nel caso concreto. Ad esempio è giusto che i responsabili di istituzioni pubbliche non possano affidare lavori che riguardino quest’ultime senza indire pubbliche gare di appalto, perché altrimenti si favorirebbe la corruzione.

Confesso che trenta o quarant’anni fa, all’epoca in cui dirigevo a Trieste un minuscolo e fatiscente Istituto di Filologia germanica, quando in una gelida giornata invernale di bora si era rotto il vetro di una piccola finestra ed entrava il gelo, non ho indetto alcuna gara d’appalto bensì ho cercato nella guida telefonica il vetraio più vicino, l’ho chiamato e gli ho pagato la piccola cifra richiesta, facendola gravare sulle piccole spese destinate all’acquisto di cancelleria, gomme, carta igienica, gesso.

Formalmente sarebbe stato possibile incriminarmi, ipotizzando un mio illecito accordo col vetraio; ad ogni buon conto confesso il reato solo ora, in quanto caduto in prescrizione. Credo tuttavia che, in quel caso come in altri, ciò avrebbe convalidato il detto, proclamato da rigorosi giuristi e non da teste calde, «summum ius, summa iniuria» — massimo diritto, massima ingiustizia.

E così forse è il caso del crocifisso. Quella figura rappresenta per alcuni ciò che rappresentava per Dostoevskij, il figlio di Dio morto per gli uomini; come tale non offende nessuno, purché ovviamente non si voglia inculcare a forza o subdolamente questa fede a chi non la condivide. Per altri, per molti, potenzialmente per tutti, esso rappresenta ciò che esso rappresentava per Tolstoj o per Gandhi, che non credevano alla sua divinità ma lo consideravano un simbolo, un volto universale dell’umanità, della sofferenza e della carità che la riscatta. Un analogo discorso, naturalmente vale per altri volti universali della condizione umana, ad esempio Buddha, il cui discorso di Benares parla anche a chi non professa la sua dottrina ed è radicato nella tradizione di altre civiltà come il cristianesimo nella nostra. Per altri ancora, scriveva qualche anno fa Michele Serra, quel crocifisso è avvolto dalla pietas dei sentimenti di generazioni. Altri ancora possono essere del tutto indifferenti, ma difficilmente offesi.

Si può e si deve osservare che le potenze terrene di cui quel crocifisso è simbolo e sostanza ossia le Chiese si sono macchiate e talvolta si macchiano ancora di violenze, prepotenze, ipocrisie, che negano quell’uomo in croce e fanno del male agli uomini. Tutte le Chiese, non solo la cattolica; anche i protestanti hanno i loro roghi di streghe e la consonante finale dell’orrenda sigla razzista wasp (bianchi anglosassoni protestanti, sprezzantemente contrapposti ai neri). Naturalmente, siccome a noi stanno sullo stomaco le prepotenze della Chiesa cattolica, quando essa le commette, è giusto prendersela con essa prima che con le malefatte di altre confessioni in altri Paesi.

Ma come quella p di wasp non offusca la grandezza della Riforma protestante e del suo libero esame, i misfatti e le pecche delle Chiese cristiane d’ogni tipo non offuscano l’universalità di Cristo, che anzi le chiama a giudizio. Su ogni bandiera e anche sulla croce ci sono le fetide macchie dei delitti commessi dai loro seguaci. In nome della patria si sono perpetrate violenze feroci; in nome della libertà e della giustizia si sono innalzate ghigliottine e creati gulag; in nome del profitto svincolato da ogni legge si sono compiute inaudite ingiustizie e crimini. Sulla bandiera dell’Inghilterra e della Francia c’è anche lo sterco della guerra dell’oppio, una guerra mossa per costringere un grande ma allora indifeso Paese a drogarsi in nome del profitto altrui.

L’elenco potrebbe continuare a piacere. Ma le barbarie nazionaliste non cancellano l’amor di patria; la guerra dell’oppio non cancella l’universalità della Magna Charta e della Dichiarazione dei Diritti dell’89 e quelle bandiere, inglese e francese, restano degne di rispetto e d’amore; il gulag installato in uno Stato che si proclamava socialista non distrugge l’universalità del socialismo e la ghigliottina non ha decapitato l’idea di libertà e di repubblica. E così tutto il negativo che si può e si deve addebitare alle Chiese cristiane non può far scordare anche il grande bene che loro si deve; la Chiesa cattolica non è solo Monsignor Marcinkus; è anche don Gnocchi e don Milani o padre Camillo Torres, morto combattendo per difendere i più miseri dannati della terra.

Quell’uomo in croce che ha proferito il rivoluzionario discorso delle Beatitudini non può essere cancellato dalla coscienza, neanche da quella di chi non lo crede figlio di Dio. La bagarre creata da questa sentenza farà dimenticare temi ben più importanti della difesa della laicità, fomenterà i peggiori clericalismi; dividerà il Paese in modo becero su entrambi i fronti, darà a tanti buffoni la tronfia soddisfazione di atteggiarsi a buon prezzo a campioni della Libertà o dei Valori, il crocifisso troverà i difensori più ipocriti e indegni, quelli che a suo tempo lui definì «sepolcri imbiancati».

Il Nostro Tempo ha ricordato che Piero Calamandrei — laico antifascista, intransigente nemico della legge truffa dei governi democristiani e centristi di allora— aveva proposto di affiggere, nei tribunali, il crocifisso non alle spalle ma davanti ai giudici, perché ricordasse loro le sofferenze e le ingiustizie inflitte ogni giorno a tanti innocenti. Evidentemente Calamandrei era meno delicatino del giovane Albertin.

In Italia, la sentenza è un anticipato regalo di Natale al nostro presidente del Consiglio, cui viene offerta una imprevista e gratissima occasione di presentarsi nelle vesti a lui invero poco consone, di difensore della fede, dei valori tradizionali, della famiglia, del matrimonio, della fedeltà, che quell’uomo in croce è venuto a insegnare. È venuto per tutti, e dunque anche per lui, ma questo regalo di Natale non glielo fa Gesù bambino bensì piuttosto quel rubizzo, giocondo e svampito Babbo Natale che fra poche settimane ci romperà insopportabilmente le scatole, a differenza di quel nato nella stalla.

Claudio Magris
07 novembre 2009

 

Dal sito: http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/dossier/Italia/2009/commenti-sole-24-ore/5-novembre-2009/corte-ue-sentenza-crocefisso-scuola-convivenza-civile.shtml?uuid=f388a8c0-c9d9-11de-a0a9-92a600e76807&DocRulesView=Libero

 

 

 

CROCIFISSI A SCUOLA / Ferita per la convivenza civile

di Bruno Forte *

 
 
 

 Alcide De Gasperi, uomo di altissimo profilo morale e cristiano dalla profonda tensione spirituale, è stato anche un campione di rispetto per l’altro e di laicità civile, intesa come legittima autonomia dell’agire socio-politico da ogni indebita interferenza o manipolazione del sacro. Forse perciò mi colpì il racconto che sua figlia Maria Romana ebbe a farmi delle ultime ore del padre: fissando il crocifisso dal letto di morte, quell’uomo, umile e grande, circondato dai suoi affetti più cari, ripeteva continuamente una sola parola: «Gesù». Mi chiedo che cosa “vedesse” De Gasperi morente in quel condannato appeso alla croce. Non faccio fatica a rispondere che vi leggeva concretizzato il messaggio evangelico nella sua forma pura: il perdono offerto a chi ci avesse ingiustamente colpito: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Luca 23,34); l’amore più grande, quello che spinge all’esodo da sé senza ritorno per il bene degli altri: «Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine» (Giovanni 13,1); l’accoglienza spalancata al bisogno altrui: «Oggi sarai con me nel paradiso» (Luca 23,43).
De Gasperi era troppo fine culturalmente e politicamente, troppo dotato di conoscenza della storia e degli uomini, per non ricordare le violenze commesse da alcuni imbrandendo contro altri la croce. Ma sapeva anche che gli errori e gli abusi commessi da questi, nulla potevano togliere alla forza di amore che si sprigiona da Gesù crocifisso: perciò,