Prospettiva Persona ha raggiunto il n. 100 e vuole continuare

“Prospettiva Persona” è al n. 100!

 

Guardando agli esordi.

L’azione culturale svolta in questi anni da “Prospettiva Persona” rivela luci, da cui siamo gratificati, e ombre che ci piacerebbero ridotte in futuro. È stata fondata a Teramo nel maggio 1992 nell’ambito del Centro Ricerche Personaliste (registrato ufficialmente nel 1988, ma già attivo precedentemente dal 1985). Il nome “Prospettiva Persona” indicava un taglio aperto alla cultura contemporanea, e al futuro in un orizzonte internazionale e interdisciplinare, illuminato da una antropologia relazionale, né individualista né collettivista (perciò “pecrsonalista” e non il più equivoco “personalistica”). Voleva collocarsi in ideale continuità con la rivista “Esprit”, fondata da E. Mounier nel 1932 ( nel primo numero ci fu un saggio dell’allora direttore Olivier Mongin) e con “Progetto Donna”, frutto di un movimento culturale di donne, fondato da Tina Leonzi nel 1982, cui si sono uniti i nomi migliori della intellighentia femminile cattolica sino al 1991, quando la rivista ha cessato trasformandosi in movimento culturale[1].

La storia di “Prospettiva Persona” si collega inevitabilmente alla esperienza personale nostra, come ricercatori universitari e come coppia. Dopo le tesi di laurea in Pedagogia (1971) e Filosofia (1976-79) sul giovane Hegel, entrambi abbiamo convenuto che quel genere di filosofia e quell’ambiente accademico ci stavano stretti. Hegel era un autore importante che ci aveva molto arricchito, per il quale avevamo studiato il tedesco e fatto ricerca per 10 anni anche Germania (con un bimbo ancora piccolo). Avevamo pubblicato più saggi su di lui, ma non poteva essere l’oggetto degli studi di tutta la vita[2]. Desideravamo una filosofia più impegnata, meno sistemica, più rispettosa delle risorse delle persone e dei gruppi sociali.

L’incontro con i testi di E. Mounier[3] e l’approfondimento del personalismo francese (in primis E. Mounier, J. Maritain, J. Lacroix, e sia pure con singolari e creative posizioni Paul Ricoeur e Simone Weil) ci hanno affascinato, unitamente alle letture dei personalisti italiani (L. Sturzo, I. Giordani, G. La Pira, G. Capograssi, L. Stefanini, L. Pareyson), tedeschi (M. Buber, E. Rosentock-Hussey, F. Ebner, Rosenzweiz), spagnoli (Alfonso Carlos Comin, Carlos Diaz, Mariano Moreno Villa, Josè Ortega y Gasset, Maria Zambrano, Miguel De Unamuno, Xabier Zubiri). Questo orientamento del pensiero, oltre a dare nuovo slancio al nostro insegnamento, ha sollecitato un impegno nell’attività professionale, orientando la ricerca verso il bene delle persone, in modo indipendente dall’accademia e all’occorrenza controcorrente. Approfondendo gli autori del personalismo, diveniva più agevole liberarsi dei virus principali che assediano ancora la cultura, soprattutto gran parte di quella universitaria, ossia:

1.La cultura come strumento del potere dei ‘vincitori’ (sui vinti, sui subordinati, sulle donne, sugli emarginati di tutti i tipi)

2. La cultura come occasione di guadagno

3. La ricerca della visibilità

4. La pretesa della neutralità

5. La frammentazione del sapere

6. Il rifiuto di ‘inquinare’ la ragione con la fede.

L’ispirazione cristiana non volevamo che fosse occultata, quando c’era, ma neanche imporla quando non c’era. Oggi possiamo liberarci dal timore di essere retrò e, del resto, i tentativi di scardinare Dio dal cuore delle donne e degli uomini non hanno sortito l’effetto desiderato; hanno piuttosto suscitato una più forte nostalgia. Sin dall’inizio il Centro Ricerche Personaliste doveva essere un’associazione laica e tuttavia cristianamente ispirata, di conseguenza anche l’impostazione della rivista. Non poteva contentarsi di fare cultura senza spendersi sui valori. Ma non poteva neppure fare della fede uno stendardo e una barriera. In fondo andava lasciata alla cultura illuministica l’ossessione di doversi liberare di un Dio onnipotente che opprime, palesemente o in modo latente, i singoli e la società. Bisognava valorizzare la coerenza tra idee, valori e comportamenti per riconoscere l’autorevolezza di una persona, oltre i diversi orientamenti politici, accademici e anche religiosi. Coniugare cultura e fede è continuare a sentire il dovere di porre domande a Dio, in maniera sempre nuova, perché nel dialogo creatura-creatore, Dio non diventi un idolo, individualista o collettivista, maschilista o femminista. È sullo sfondo di una reciprocità che ogni domanda su Dio è, analogicamente, domanda sulla donna e sull’uomo, e viceversa. Di qui la libertà interpretativa a tutto campo, secondo la specifica sensibilità e l’orientamento di ciascuno, senza pretese dogmatiche, senza fanatismi e paure, offrendo piuttosto sollecitazioni che dessero da pensare, piuttosto che un pensiero tout fait. La sintonia con la persona e il pensiero di E. Mounier, lo stile incisivo e sobrio della sua scrittura ci hanno coinvolto. La sua era una filosofia che si traduceva immediatamente in vita. L’altro, le circostanze e gli eventi diventavano indicatori di rotta non meno che la ragione e la Parola ( «L’événement  sera notre maître intérieur»[4] divenne anche il nostro fil rouge).

Ci fu approvato nel 1980 dal Ministero un progetto di ricerca su E. Mounier con la possibilità di soggiornare a Parigi per consultare libri e manoscritti inediti nella sua biblioteca, proprio dove aveva vissuto Mounier. All’Università si opposero: con questo autore non si faceva carriera. Ci suggerivano di stornare il fondo su altri autori, a rischio – che si rivelerà realistico – di non fare carriera. Noi tuttavia andammo avanti per la nostra strada. Volevamo corrispondere ai nostri interessi e alle ragioni per cui avevamo ricevuto la borsa di ricerca dal Ministero. Come preannunciato, le porte dell’Accademiasi chiusero, ma fummo oltremodo ripagati dalla vita: abbiamo avuto l’amicizia dei personalisti francesi e specialmente della moglie di Mounier, Paulette, di Paul Ricoeur e sua moglie Simone, dei coniugi Domenach e dei Fraisse, che vivevano nella comunità dei “Muri Bianchi” a Chatenay Malabry, dove stavano anche l’Archivio Mounier e la biblioteca.

Da questa scelta “controcorrente” è nata anche “Prospettiva Persona”. Dopo aver vinto nel 1985 il Premio internazionale “E. Mounier” a Parigi col libro Unità e plualità. Mounier e il ritorno alla persona in Attilio si faceva sempre più pressante il desiderio di rivivere l’avventura di Mounier e magari come lui (che aveva iniziato nel 1932 la rivista “Esprit” senza mezzi, abbandonando la carriera accademica per dedicarsi alla rivista), dare vita ad uno strumento di comunicazione culturale nuovo. Nel maggio 1992 (a sessant’anni dalla nascita di “Esprit”) la spuntammo e trovammo a Teramo l’editore Demian, giovane e senza pretese. Volevamo essere liberi dai poteri forti e non lasciarci ingabbiare da obblighi di restituzione.

Giulia Paola dal canto suo – che aveva all’attivo già qualche libro – era già era stata cooptata dalla rivista “Progetto Donna” fondata da Tina Leonzi e supportata dal gruppo di femministe intellettuali cattoliche di Milano, Brescia, Parma, che faticavano a muoversi tra il mondo tradizionale impermeabile al femminismo, i sospetti della gerarchia ecclesiastica e il dileggio delle femministe radicali… Bisognava   aprire un dialogo sereno con tutte le forze culturali e sociali, nella piena dignità del filone di ispirazione cristiana, offrendo una visione nuova e rassicurante delle relazioni paritarie uomo donna favorendo un sano femminismo di ispirazione cristiana centrato sulla relazionalità della persona ed evitando le trappole dell’egualitarismo e della differenza abissale[5]. Le difficoltà economiche e la scomparsa di alcune tra le protagoniste di questo gruppo hanno portato da una parte Marisa Bellenzier a continuare a promuovere convegni periodici su temi di attualità e dall’altra il Centro Ricerche Personaliste a produrre “Prospettiva Donna” che intendeva rileggere la cultura sul registro della reciprocità tra i sessi aprendo ai contributi di uomini e donne disposti a confrontarsi “ a due voci”.

“Progetto Donna” non poteva morire. Tuttavia era assolutamente impossibile pensare a sostenere due riviste. Potevamo solo farne una a quattro mani, aperta a donne e uomini di cultura che si riconoscessero nello stile della reciprocità. Qualunque argomento – compresi il personalismo europeo, africano, i problemi dello sviluppo – andava orientato alla giustizia, al miglioramento della qualità della vita e alla ottimizzazione dei rapporti tra uomini e donne, considerando la dialettica tra differenza e uguaglianza come il cuore dell’antropologia. Prospettiva Donna, proponendo la ricerca e lo studio della reciprocità, presentando testimonianze di donne impegnate, ha inteso non solo dare visibilità alla cultura con voce di donna ma anche dare un contributo alla cultura del dialogo e della reciprocità. Si è cercato di essere propositivi (si pensi allo speciale sul “Cognome materno” in tempi non sospetti o a quello sui “Diritti umani” come diritti delle donne e degli uomini) senza trascurare il confronto interdisciplinare, intra ed extra-ecclesiale, rispettando la diversità degli stili espositivi e degli approcci e sollecitando una “conversione” culturale senza enfasi e trionfalismi, ma anche senza timidezze.

“Prospettiva Persona” e “Prospettiva Donna” potevano procedere insieme e crescere conquistando un amico alla volta, tra abbonati, sostenitori, amministratori. Attorno al primo nucleo si sono via via aggiunti spontaneamente ricercatori e persone di cultura, con o senza fama e specifici titoli di studio, che hanno desiderato collegarsi ad una rete che evitasse l’isolamento culturale che spesso riscontrano le persone più sane nel panorama  contemporaneo postmoderno. “Prospettiva Persona” è divenuta pian piano un punto di riferimento nazionale e internazionale per gli studi sul personalismo, collegandosi al filone personalista che stava diventando sempre più attivo. La si trova nelle biblioteche delle principali Università italiane e in almeno 15 università straniere di prestigio ed è stata riconosciuta dal MIUR come “Rivista scientifica” (ISSN 1126-5191 in fascia B per i raggruppamenti ANVUR 11, 12, 14), superando  già tre revisioni dal 2012. Il metodo peer review è stato adottato da quando sono subentrate le nuove regole, i titoli e i sommari sono da qualche anno in inglese, la regolarità nelle pubblicazioni non ha segnato scivoloni, pur avendo cambiato editori (nell’ordine: Andromeda, Edigrafital, Rubbettino), la cura grafica e il corredo delle note degli articoli hanno fatto la differenza qualitativa. Soprattutto fiore all’occhiello è stato sin dalla fondazione il coinvolgimento di Paul Ricoeur, presidente del Comitato scientifico internazionale sino alla morte nel 2005, suggellando con la sua presenza la continuità discontinua col personalismo degli anni Trenta.

Scopi della rivista.

Essere nella rete personalista non comporta altro impegno che la condivisione del valore trainante della cultura, il rispetto della dignità e dei diritti di ogni essere umano, la donazione del proprio lavoro di ricerca senza scopo di lucro, l’intento di contribuire a costruire una società migliore pur provenendo da diverse ideologie e fedi, mettendo in dialogo il neo-personalismo con i diversi filoni del pensiero contemporaneo, a livello interdisciplinare. Anche a questo intento si collega lo spazio di “Prospettiva Donna”, che ha incontrato notevoli difficoltà a far confrontare donne e uomini liberi e creativi nel pensiero, non legati alle ideologie fondamentaliste del femminismo conflittuale e ateo, ma neanche ossequiosi rispetto ad un mondo cattolico ancora impermeabile alle tematiche lanciate dai movimenti delle donne.

La rivista pretende anche di essere bella; se ne occupa un esperto d’arte come il Giovanni Corrieri per la scelta delle immagini e la selezione delle mostre principali. Giovanni Marcotullio dà impulso all’aggiornamento della tecnologia della scrittura e dell’impaginazione on line. Possiamo dire che non è facile trovare nel panorama delle riviste scientifiche la cura grafica che è stata riservata a “Prospettiva Persona”?

La morte di Paul Ricoeur, col quale abbiamo avuto la fortuna di confrontarci a lungo (25 anni), spaziando su argomenti filosofici, socio-politici e teologici, è stata una vera perdita. Sentivamo di condividere l’impegno a sostenere la cultura in difesa della dignità e dei diritti della persona – egli pensava soprattutto ai paesi dell’Est e a quelli del Sud del mondo – nonché ad evitare le derive tecniciste, linguistiche, sistemiche se non riconducibili alla responsabilità della persona. Per questo aveva voluto rappresentata “Prospettiva Persona” nella persona di Attilio per il personalismo in Italia presso l’Unesco a Parigi, dove si festeggiavano i cinquant’anni dalla morte di Mounier.

Pian piano alla redazione centrale di Teramo si sono aggiunti diversi gruppi in varie città, oltre 45, con cui si è costituita una rete. La fatica iniziale – si pensi al contesto provinciale e ai costi della stampa – possiamo dire che è stata premiata. Il consenso via via dei centri culturali e di varie università, in Italia e all’estero (15 punti di riferimento) ha favorito un riconoscimento ormai indiscusso. Oltre al rapporto con i personalisti francesi, “Prospettiva Persona” ha varcato il mare sin dal primo anno nel 1992, quando fummo invitati come relatori ad un convegno di tagli filosofico per “Eco’92” all’Università do Estado di Rio de Janeiro. Sono nati man mano altri contatti e altri viaggi che ci hanno consentito di associare nuovi collaboratori invitati ad aderire alla rete. Non ci siamo preoccupati per le differeni ideologie, ma abbiamo avuto una particolare attenzione a verificare la coererenza tra pensiero e vita. Il continuo peregrinare per convegni e conferenze ci ha aiutato ad ampliare la rete. A tutt’oggi, se il numero degli abbonati in Abruzzo è ridotto, siamo lieti dei lettori che riusciamo a raggiungere in Italia e all’estero anche grazie alla possibilità dell’abbonamento on line.

Le rubriche.

Si continuano a pubblicare tre fascicoli ogni anno, di cui uno è doppio anche nella numerazione. La selezione degli articoli non segue una programmazione tematica rigida, ma viene fatta inizialmente dalla redazione sulla base della qualità, delle circostanze e delle richieste dei lettori e scrittori e poi inviati in lettura per la “peer review”   ai competenti membri del Comitato Scientifico, tenendo d’occhio il rigore scientifico ma anche l’alta divulgazione. Ci preme permettere anche ai giovani dottorandi di pubblicare senza dover necessariamente passare per i filtri di quei ‘baroni universitari’ soggetti a criteri di cooptazione concorsuale. Il lavoro redazionale è lungo e puntuale, dalla ricerca dei temi prioritari, alla lettura condivisa, alla correzione delle bozze. Gli autori non mancano, anzi spesso debbono attendere un anno dall’invio dell’articolo, anche a causa della trimestralità della rivista.

In questi anni sono stati prodotti molti numeri “speciali” dedicati a figure di pensatori da valorizzare eo a temi emergenti del dibattito culturale. Costante è lo spazio dedicato alla rubrica ”Pensiero e persona”, legato alla riscoperta di temi e autori personalisti. La sezione “Studi” non è direttamente di argomento personalista ma dà spazio ad un approfondimento della cultura contemporanea.”Prospettiva donna”, di cui siè detto, costituisce un apporto costante allo studio delle problematiche di genere e/o al femminile. “Prospettiva Impresa”, trasformata da qualche anno in “Prospettiva civitas” si avvale dell’apporto competente in campo economico sia della Fondazione Toqueville-Acton, sia della Fondazione bancaria Tercas di Teramo.   “Prospettiva Logos” neonata in fase sperimentale, in convenzione con l’ISSR “G. Toniolo” di Pescara, completa gli interessi scientifici e tematici della rivista, spaziando dall’antropologia alla dimensione teologica. Altre rubriche si alternano: “Laboratorio pedagogico”, “Prospettiva Bambino”, “L’angolo delle muse” (arte, musica, cinema, letteratura). Peridicamente si dedica spazio ad interviste a testimoni privilegiati e a “Confronti” sui libri che fanno opinione. ‘Ricordando’ è la rubrica che presenta profili di persone scomparse, che hanno avuto rapporto con “Prospettiva Persona” e hanno dato impulso nella teoria e nella prassi allo sviluppo della cultura personalista; “Speaker Corner” raccoglie riflessioni personali libere di lettori e/o autori, anche se non in linea con le idee della redazione. Recensioni e “Libri ricevuti” conto del materiale bibliografico che viene conservato nella Bibliotecha della “Sala di Lettura” del Centro Ricerche Persoanliste, polo della Biblioteca diocesana, collegata on line tramite il circuito CEI-BIB.

La rivista nel corso dei 25 anni ha organizzato 10 convegni nazionali (il convegno internazionale “Persona e impersonale in Simone Weil” del 2008) e 3 internazionali all’estero ed ha collaborato (https://www.centropersonalista.it\///index.php/cat/2-direzione.html) con enti nazionali e Università internazionali, come nel 2000 col citato Convegno Unesco , quello per il Centenario della nascita di Mounier del 2005 a Roma, quello sul personalismo eiuropeo e africano in Burkina Faso nel 2005, quello in Benin del 2007, internazionale su Ricoeur a Roma nel 2003 e nel 2013 in Brasile, Messico e Polonia; Nel 2005 altri convegni sono stati organizzati su Mounier a Roma, Arezzo, Padova, Teramo, Rio de Janeiro.

Ha senso continuare?

Ci si può domandare se il personalismo comunitario sia ancora attuale o meglio attraverso quali sentieri passa oggi la sua capacità di incidere nel mondo contemporaneo, dal momento che non sono poche le differenze tra gli anni Trenta e oggi. Dopo gli avvenimenti dell’11 settembre 2001, le guerre in Afganistan, in Irak, le così dette primavere arabe, la “terza guerra mondiale parcellizzata”, il terrorismo in Occidente, l’avanzare della globalizzazione della finanza, il mondo è immerso in una crisi che sembra senza sbocco. Non dissimile la situazione dei primi personalisti nel ’29 alle soglie della seconda guerra mondiale.

Alcuni aspetti del personalismo di quegli anni sono certamente desueti, ma l’ispirazione personalista resiste ed anzi è più attuale al confronto con il tramonto delle altre ideologie, perché fa appello direttamente alla responsabilità di ciascuno di fronte ai contesti in cui è situato e al confronto con le situazioni mutevoli con cui deve fare i conti.

Paradossalmente mentre aumentano i processi di centralizzazione del potere e dell’economia, cresce anche il ripudio per i sistemi di certezze che paiono asservire l’essere umano a fini egemoni di natura teorica e pratica.   «Il personalismo non è una filosofia tra le altre, scriveva Mounier, è il nome stesso dell’umanesimo che include ogni attività filosofica»[6]. È la risposta che ciascuno dà alla domanda sull’uomo. È decidersi e scegliere da che parte stare. Utilizzeremo le espressioni di due capofila: Paul Fraisse quando ha concluso lo storico convegno di Dourdan (1982): «Il personalismo non è una dottrina, non è un sistema …è l‘utopia fonda­mentale che deve reggere i nostri pensieri e guidare i nostri passi… è il riferimento costante delle nostre condotte e dei nostri giudizi»[7] e Denis de Rougemont nello stesso congresso: «Ciò che affermo è che noi non abbiamo finito di batterci per una società di persone libere e responsabili. Abbiamo appena cominciato»[8]. Perciò Mounier in Qu’est-ce que le personnalisme? scriveva: «Intendiamo il personalismo come un’avventura aperta fatta più di avvenire che di passato»[9].

Proponiamo alcuni sentieri per il “personalismo davanti a noi”: l’impegno per la cultura e la cultura dell’impegno, il mondo socio-politico, la fragilità delle istituzioni, la reciprocità uomo-donna.

  1. La cultura. In periodi di crisi dei valori, di confusione, di dispersione, ci si domanda perché e per chi vale la pena impegnarsi e ancor prima se nel mondo postmoderno si può ancora parlare di una filosofia dell’impegno, stante la debolezza del pensiero filosofico. Prima o poi ciascuno è costretto dalle situazioni a scegliere tra la lacerazione nichilista e la presa di cura. L’alternativa sarebbe l’azione al seguito delle urgenze, l’allineamento alle mode, l’amministrazione del quotidiano. Chi s’impegna deve decidere di non restare neutrale, coinvolgersi e pagare di persona. Deve prendere delle decisioni, quindi scegliere, ma anche lasciare, rifiutare. Occorre decidersi per le priorità, i mezzi e le strategie da porre in atto, gli alleati e gli avversari. Non è un puro passatempo e comporta inevitabilmente dei rischi. Chi s’impegna non può evitare di “sporcarsi le mani” («Toutes les situa­tions sont des situations impures, mêlées, ambiguës, et par ce fait, déchirantes[10]» diceva Mounier). Non si tratta di assumere le vesti dell’eroe, ma di riconoscere e prendersi cura delle fragilità del proprio ambiente, delle istituzioni, della natura, del prossimo, ivi compreso quel   ‘ciascuno’ – per utilizzare il linguaggio di Paul Ricoeur – che possiamo raggiungere soltanto attraverso i canali istituzionali. Nella cultura contemporanea non si assume l’impegno al seguito di norme etiche impositive ma neanche abbandonarsi al nichilismo dell’indifferenza dei valori. Valga come esempio il tema della uguaglianza e differenza uomo donna tanto sentito da E. Mounier e dalla nostra rivista: il personalismo che ha lottato per   affrancare la “metà del cielo” dall’androcentrismo, oggi ha da fare i conti con l’indifferenza di genere, trasformata in ideologia del gender. In ogni settore della cultura ci si può sentire convocati dalla fragilità di assiomi che sotto la bandiera della conquista di nuove frontiere rischiano di rinchiuderci in nuove vecchie gabbie. Al centro della relazione c’è la cura di chi si lascia coinvolgere dalla necessità di pensare e agire in un mondo globalizzato in cui per l’interdipendenza internazionale, dipendiamo tutti da tutti e non è possibile salvarsi da soli. Di fronte alla crisi dei sistemi democratici, alla corruzione dilagante, in Europa come in America o in Giappone, una Rivista come “Prospettiva Persona” vuole contribuire a fornire dei punti di riferimento che sollecitino a riorientare la cultura teorica e pratica al bene delle persone, liberandole dal rischio dell’alienazione nel pensiero dominante, pluralista e unico, propinato da un potere anonimo, mondialista, finanziario e senza volto.

B. Cittadini responsabili. L’intento di Mounier era quello di ridare alla democrazia il suo conte­nuto sostanziale, contro l’eccesso di formalismo e di numerolatria, tipici di quella democrazia che egli considerava frutto bastardo dell’ideologia del 1789, individua­lista e astratta, «soffocatrice della libertà e promotrice, almeno indirettamente, del regno del danaro»[11].  L’esperienza dei fascismi nati dalle maggioranze plebiscitarie ha insegnato che anche oggi è possibile regredire in una oppressione peggiore di quella espressamente dittatoriale, alimentata da strumenti manipolatori come la rete o la TV. Oggi è ancor più evidente che non si può fondare la democrazia solo sulla rivendicazione delle libertà e dei diritti individuali. Sarebbero «le dimissioni dalle responsabilità collettive… mani libere per la corsa individuale al profitto o ai posti… La libertà è una delle dimensioni della democrazia. Se si vuole farne la sola dimensione, la democrazia esplode: bisogna aggiungervi l’esigenza di una collettività organizzata e quella di un ordine della giustizia»[12].

L’invecchiamento della democrazia delle maggioranze, fondate sull’individualismo borghese, già denunciato agli inizi del secolo scorso, si è fatto evidente e minaccioso. La democrazia non può ridursi a tirannia della maggioranza,, se questa non è composta di persone che hanno preso coscienza dell’interesse generale della nazione e delle libertà minoritarie. Altrimenti la sedicente democrazia non è che un fascismo mascherato. Non può consistere nemmeno nell’oppressione di minoranze agguerrite e manipolatrici sulle maggioranze. Allora come oggi non bastano nuove formule. Occorre una iniezione di cultura, di fiducia e di spiritualità per poter avere   cittadini responsabili.

La filosofia sociale e politica di Prospettiva Persona non esige solo l’instaurazione di strutture sociali postcapitaliste, post liberiste e post comuniste, ma anche e parallelamente la partecipazione piena e re­sponsabile a gruppi intermedi nei quali avvertire il peso della propria capacità di diffondere intelligenza, amore, cura, ossia quelle risorse attrattive che sprigionano da sorgenti interiori dell’anima. Perciò «Chiamiamo democrazia quel regime che poggia sulla responsabilità e sull’organizzazione funzionale di tutte le persone costituenti la comunità sociale»[13] .

C. Sulla fragilità delle istituzioni. Il sistema democratico non può essere criticato sulla base di modelli regressivi alla maniera dei fascisti che lo giudicavano svirilizzato, decadente, superato dalla storia. Il personalismo non ha ricette risolutorie ma lancia la sfida a pensare oltre, rifiutando di accontentarsi di un modello formale puramente liberale e parlamentare, che di fatto conduce alla tirannia dei capipartito, della burocrazia e della corruzione. Si tratta di chiedersi se sia ancora possibile e come fecondare l’idea stessa di democrazia con la rivoluzione personalista e comunitaria, sostituendo alla freddezza dell formalismo una “forma ardente” di “democrazia personalista responsabile”. Non è facile trovare risposte fuori dal coniugare democrazia partecipazione, responsabilità e cura delle istituzioni da parte di ciascun cittadino: «Chiamiamo democrazia, con tutti i qualificativi e i superlativi che necessitano per non confonderla con le sue minuscole contraffazioni, il regime che riposa sulla responsabilità… Allora sì, senza indugi, siamo dalla parte della democrazia. Aggiungiamo che, tradita sin dalle origini dai suoi primi ideologi, strangolata poi nella culla dal mondo del denaro, questa democrazia non è stata mai realizzata nei fatti, e lo è stata appena negli spiriti»[14]. La democrazia può restare vitale se poggia su una rivoluzione permanente dei cittadini che lottano per ringiovanirla, nella cultura e nella prassi, contro la plutocrazia, la demagogia, la retorica.

D. Per un personalismo della reciprocità donna-uomo

La relazionalità della persona non può esulare da una filosofia e una antropologia della reciprocità. La persona può conoscersi solo se si riconosce in un’altra persona. Non possiamo rispondere alla domanda sull’io, se non ripercorrendo il movimento nel quale l’io, relazionandosi ad un tu, diviene se stesso. Tendere alla reciprocità nei rapporti interpersonali è un desiderio di ogni persona in quanto orientata alla ricerca di relazioni soddisfacenti, a costruire con gli altri quella zona di condivisione in cui si attua lo scambio di sé passada un minimo (osservazione critica, distruttiva, indifferente) ad un massimo di corrispondenza.

Tale aspirazione non si realizza mai completamente. La reciprocità è gioco di precari equilibri in cui il noi, se non è frutto di costrizione – e a sua volta fonte di oppressione – deve costruirsi sulla libera adesione dell’io e del tu, senza sovrapporsi ad essi. La riuscita è soggetta ai condi­zionamenti della psicologia di ciascuno, della cultura, delle variabili economiche e politiche, alle ca­dute nel dominio dell’io o del noi, al trionfo delle logiche del capo (in politica), del marito padrone (in famiglia), del Dio degli eserciti (in teo­logia). La reciprocità tuttavia resta la molla che spinge a rimet­tere in moto lo statico meccanismo delle opposizioni.

Il paradigma per eccellenza della reciprocità è la relazione donna-uomo, nella quale la differenza e l’uguaglianza hanno l’impronta originaria della creazione. Sarebbe però riduttivo restringere la reciprocità ai soli rapporti tra i generi, giacché essa qualifica tutti i rapporti interpersonali. Nella nostra epoca sembra essere particolarmente sentita l’aspirazione a realizzare un rapporto di reciprocità ideale in contrasto con la patologia dei rapporti conflittuali e persino violenti che sembrano dominare nelle famiglie e nella società. I fidanzati e gli sposi desiderano modulare il loro rapporto più sul modello dell’amore-ami­cizia che su quello della passione amorosa e della divisione dei ruoli; vorrebbero essere an­zitutto i migliori amici, perché il rapporto regga l’usura del tempo, essere solidali a tutto campo, nel lavoro, nell’impegno sociale, nella cura dei figli. Eppure sono tante le coppie che non ce la fanno, abbandonano il progetto e dichiarano fallimento.

Reciprocità e istanze della soggettività entrano in conflitto perché la prima richiede distacco dall’io e le seconde attaccamento alla sua autonomia. La cultura postmoderna esalta l’io nella conoscenza e nella valorizzazione del corpo, della sua bellezza, della visibilità dell’essere uomo e donna, della possibilità di scegliere a proprio piacimento partner, stili di vita, carriera… «Non si pensa più – è stato scritto – che a ge­stire il proprio tempo e a utilizzare tutte le proprie capacità. Lasciare incolta qualcuna delle potenzialità è un crimine imperdonabile contro il nuovo capitalismo dell’io… Alla fin fine non amare se stessi è mortale e non si domanda niente altro alla psicanalisi che di apprendere a soste­nere l’io»[15]. I singles vengono considerati donne e uo­mini moderni, capaci di non incappare nelle reti vinco­lanti dei rapporti stabili, di co­struire un’identità che fa a meno dell’altro, salvo amicizie flessibili, sempre soggette al possibile scacco, già previsto e perciò senza traumi. E` una que­stione di prestigio saper stare soli, sapersi lasciare se un rapporto fi­nisce, senza manifestare troppo la sofferenza e senza drammi di gelosia (evitando gli episodi numerosi di femminicidi). Si teme di impegnarsi per­dendo de­finitivamente la possibilità di successo, di libertà, di amore libero. Vi si può leggere il bisogno di protezione dai ri­schi del fallimento, control­lando le relazioni entro i limiti del revo­cabile, purgandole da oneri sentiti come eccessivi. Si teme altresì di perdere la propria personalità, sul piano psicologico ed anche su quello concreto dell’autonomia lavorativa e finanziaria

La contraddizione sta nel fatto che fare a meno dell’altro è una aspirazione che si affianca a quella di non voler affrontare la solitudine e il problema diviene quello di dosare autonomia e con-vivenza, io e noi, libertà e fedeltà, amore ed eticità. Non si esce dal vicolo cieco se non si coniuga l’aspirazione alla reciprocità con l’impegno etico, salvando la libertà della persona, ma indirizzandola a spendersi nei rapporti con gli altri. Si comprende sempre più che la reciprocità non è un dato di natura o di cultura. Esige l’intenzione e l’atto della volontà, dell’affettività e dell’intelligenza da parte delle persone coinvolte. E’ legata all’ethos della persona, non tanto dunque alla morale intesa come insieme di prescrizioni normative, quanto alle aspirazioni più profonde, realizzando le quali si ha la migliore garanzia di un esistere pienamente umano. Nell’ottica della reciprocità vale la rispondenza di ciascuno all’altro, la significatività del dire e dell’agire in sintonia con colui/colei a cui ci si rivolge, più che la valutazione oggettiva e moralistica dell’azione.

Nelle sue migliori realizzazioni la reciprocità allude al dono che ciascuno rappresenta per l’altro. Questa donazione reciproca è spesso tacciata di utopia, ma – che si realizzi più o meno – risponde al bisogno insopprimibile della persona non solo di es­serci per occupare uno spazio, uno status e svolgere un ruolo, bensì di vivere con qualcuno, il che esige l’impegno a combinare due diversi ritmi di vita, accordare due solitudini, andando oltre la semplice prossimità spaziale, poco di atten­zione reciproca, conservando il massimo per sé.Reciprocità è più dell’ essere con, se ciò si traduce in lontananza di due solitudini che rifiutano di dipendere l’una dalla volontà dell’altro; è soprattutto un es­sere per. Ciò implica giocare fino in fondo la scommessa cui l’incontro allude: restare individui o pas­sare ad es­sere persone, stare nella difesa di sé o spendersi per l’altro.

Un ostacolo alla reciprocità, alimentato dalla cultura massmediale, è quello di essere intesa come una unione che nasce dalla necessità di appoggiarsi all’altro anche a costo di “svendersi” (rinunciare alla dignità, ai valori, per evitare la solitudine, per avere successo, adeguarsi alle mode, lasciarsi andare alle proposte affettive sempre e comunque, fare commercio del proprio corpo…). L’etica della reciprocità esige la stima di sé, che argina la tentazione di assoggettarsi o assoggettare l’altro, di costruire con luilei un’unità simbiotica e totaliz­zante. La reciprocità esige al contrario una distanza rispettosa, un silenzio di contemplazione di fronte al mistero della persona, che impedisce di assorbire tutta la vita dell’uno nell’altro, cancellandone l’identità.

Mounier pone in evidenza anche la fedeltà, che implica che la persona, per riconoscere se stessa degna di stima, abbia la capacità di mantenere la parola data ( “mantenere la promessa” direbbe Ricoeur); una fedeltà che, lungi dall’essere immobilismo o assuefazione alla routine, é frutto di reiterate azioni di fiducia, in una rifondazione perenne del rapporto, in corrispondenza con i mutamenti delle diverse fasi della vita. Restare fedeli ai fili intrecciati da una intesa è il segno di un impegno che non abbandona la spugna di fronte ai malintesi, ma prova a rinnovare le modalità della comunicazione giorno dopo giorno.

La reciprocità esige pertanto flessibilità, adattabilità ai ritmi, ai pensieri, ai punti di vista dell’altro. Questo può risultare un indebolimento della persona fino alla sua frammentazione nichilista, tanto bene rappresentata dalla cultura postmoderna. In una società complessa a rapide trasformazioni, al soggetto forte della tradizione metafisica e dell’individualismo, si contrappone un soggetto “debole”, in balia degli eventi e degli altri. In realtà debole è l’individuo etero diretto dalle mode, dalle ideologie, dai compagni, incapace di gestire i rapporti restando fedele alla propria vocazione, disperso nella complessità dei sistemi che si autoregolano. La stessa debolezza però può avere un significato positivo se si contrappone al soggetto ‘forte’ in senso tradizionale, capace sempre e comunque di decidere, controllare se stesso e gli altri, dominare la natura e la società flettendole al proprio volere. Un soggetto ‘forte’ nella società postmoderna sarebbe rigido e incapace di adattarsi ai mutamenti sociali, culturali e tecnologico-scientifici, di mettere in questione la propria identità, le proprie idee, di rinunciare all’ottimismo ingenuo sul progresso della storia… La fragilità può giocare a vantaggio della reciprocità, se intesa in senso positivo come flessibilità relazionale e in fin dei conti, come capacità di prendere le distanze dal proprio io[16].

La reciprocità vive un equilibrio dialettico tra persone in grado di lavorare insieme facendo attenzione alle altrui esigenze e alle proprie possibilità. Quando tale valutazione è fatta in termini di puro tornaconto, la relazione con il partner è vi­ssuta in fun­zione dell’arricchimento e della realizzazione dell’io. I rapporti si esprimono con i termini “investire” (se va bene, se c’è ricambio, se si è garantiti dai rischi) e “disinvestire” (se i conti dell’andirivieni non tornano piú) e la reci­procità significa equilibrio di scambi. La negoziazione, implicita o esplicita, si sosti­tuisce alla gratuità: solo la previsione di un ri­torno, anche se differito, può giustificare il sacrifi­cio dell’io. Compiere atti di servizio e di donazione appare in tal caso come un inve­stimento nel mercato dello scambio simbolico affettivo e viene a legare l’altro col debito da assolvere, pena l’interruzione del rapporto[17]. L’amore, per durare nel tempo, ha biso­gno di prove. Neanche la maternità ne è esente: il libro della Col­lange: Io ,tua madre , è l’espressione esplicita di questo modello di scambio che si preoc­cupa di non dare a fondo per­duto, sempre e comunque[18]. La mistica della mater­nità, come donazione in­condizionata, diviene in questa luce un investi­mento, il cui conto passivo deve poter tornare a breve o a lungo termine. Il concetto di reciprocità in questa prospettiva consente di evitare la contrapposizione tra mondi vitali e sistemi, che possono apparire agli antipodi di una socialità intesa da una parte in maniera idilliaca e limitata (che può generare solo mondi vitali, relazioni affettive, comunione) e dall’altra in maniera strumentale (rapporti di ruoli e funzioni). I due poli che sono le due anime della società non sono poi così alternativi, giacché i rapporti più intimi non sono immuni dalla logica dello scambioe, d’altra parte, la dimensione contrattualistica del sociale esige il ricorso alla persona e al suo ambiente vitale.

Del resto, l’attesa del ritorno di un dono non ha solo evocazioni etiche negative. Si può giungere certamente al limite di intendere la reciprocità come calcolo strumentale in cui l’altro è qualcuno che deve rendere l’esistenza più piacevole giacché se la li­mita   viene abbandonato[19]. Questo rischio però non giustifica la contrapposizione tra il moralismo dell’oblazione incondizionata (la “mistica della oblatività incondizionata”) e la logica perversa e machiavellica del rapporto strumentale. La persona non può restare in una donazione oblativa all’infinito, ten­sione forse eroica ma penalizzante e talvolta anche inutile, perché esaurirebbe la sua carica umana, che si nutre invece di recipro­cità, in cui lo scambio compensa perdite e guadagni. La sua dispo­sizione etica deve prima o poi suscitare risposte in un circolo di dare e rice­vere, per soddisfare il bisogno di amare ed essere amati, di collaborare e con-vivere[20]. La trascendenza dell’io verso l’altro non può andare incontro solo al vuoto, al nulla. Intendere la relazionalità come recipro­cità significa essere sostenuti dalla convinzione che alla tensione dell’io verso il tu corrisponde tendenzialmente la reciproca, alla trascendenza dell’io la trascendenza dell’altro, al dono il ri­cambio.

Mounier considerava fonte di patologia i rapporti non riusciti. Nella cultura contemporanea, troppo spesso le relazioni interper­sonali subiscono lo scacco della comunicazione: l’altro è “l’inferno”(Sartre). Quando mancano rapporti di reciprocità, la relazione è asimmetrica, l’alter diviene alienus e l’io alienato; si acuiscono il di­sagio sociale, l’ostilità, la diffidenza; la società si trasforma in massa, con tutti i possibili esiti totalitari che tale termine evoca[21]. Lo scetti­cismo e la sfiducia sostituiscono l’incontro gioioso col tu: l’altro appare come nemico, oppure immagine proiettiva dell’io, qualcuno da studiare e analizzare o infine un volto anonimo tra i tanti.

Il personalismo rappresenta una iniezione di positività: esso non evidenzia soltanto l’essenziale relazionalità della persona, ma l’esigenza fondamentale di reciprocità interpersonale, come viene messo in evidenza dal personalismo contemporaneo.

Nel concetto di reciprocità il dono non calcola il ritorno, ma non è indifferente alla risposta dell’altro perché ha in sé implicita la domanda di un segnale che indichi che il dono è stato apprezzato e che anche l’altro si pone nella stessa disposizione donativa. “Amor ch’a nullo amato amar perdona” scriveva Dante[22], volendo significare che l’amore attende la verifica della corrispondenza, immediata o differita, al progetto di in­tesa che vuole suscitare, in modo tale che da un gesto altruistico, passionale, paternalistico nasca un rapporto di reciprocità.

      L’unità ori­ginata dalla reciproca trascendenza delle differenze non può essere raggiunta una volta per tutte, non può fissarsi in un universale astratto (benché ciò sia possibile sul piano del diritto formale), giacché nasce da un movimento dialettico che non esclude il conflitto. Sarebbe irrealistico fare riferimento soltanto alle relazioni interpersonali pienamente realizzate e   ideali. La gamma di sfumature che qualificano le relazioni di reciprocità va da un minimo di interazione (osservazione, saluto, scambio di battute) ad un massimo di comunione; è connotata da indicatori di segno positivo o negativo (attrazione, repulsione, amore odio), varia nel tempo, è condizionato dalle circostanze e dalla psicologia di ciascuno, s’ inscrive in un processo che, senza escludere i fallimenti e gli scacchi della comunicazione, orienta la relazione verso una comunione completa, quando la per­sona perde l’opacità che la nasconde all’altro per divenire capace di farsi “tu” e viceversa[23].

E. Mounier ha gettato le basi di una concezione della reciprocità interpersonale che poi altri hanno portato avanti. In particolare Ricoeur ha così sintetizzato l’ethos della reciprocità: “Aspirazione ad una vita felice, con e per gli altri, in istituzioni giuste”. Si tratta di tre poli (stima di sé, cura dell’altro, aspirazione a vivere in istituzioni giuste) indispensabili a delineare la vita sociale in generale e in particolare particolarmente le tre direzioni etiche del rapporto interpersonale. Il giusto rapporto tra le tre dimensioni evita le cadute nella dialettica della disuguaglianza. Il terzo polo abbraccia, in senso lato, l’ambito che unisce l’io e il tu, che non s’identifica con essi, sembra sussistere in modo oggettivo e va dal linguaggio alle istituzioni, agli ideali a Dio.

Il bilancio per il rilancio.

La celebrazione del numero 100 segna un bilancio e un rilancio. Non sappiamo chi porterà avanti questo impegno ma crediamo che su queste basi “Prospettiva Persona” possa avere ancora una lunga vita, un compito e una missione davanti a sé. Ci piace pensare che la rivista continuerà a far dialogare donne e uomini nel rispetto e nella valorizzazione delle diverse potenzialità. Come agli albori della storia anche oggi dal loro incontro si creano e rigenerano idee, progetti, modelli di comunità[24]. Mounier era convinto che le donne introducendo nella città il loro vissuto privato potessero essere « la più ricca riserva di umanità… una riserva d’amore da far scoppiare la città degli uomini, la città dura, egoista, avara e menzognera ». Non era fiducia ingenua, ma la speranza che esse potessero liberare« questa immensa zona che l’uomo moderno ha sdegnato e il cui centro è l’amore »[25].

La rivista ha dato un suo contributo anche alle discussioni sull’economia e sulla bioetica: in ogni ambito ha contribuito all’affermazione del modello di   reciprocità nel quadro della dialettica tra uguaglianza e differenza.

Contiamo ancora di contribuire, come già fatto nei numeri dall’1 al 99, alla conoscenza diretta o indiretta di autori collocabili nel filone personalista, molti dei quali piuttosto trascurati dalla cultura ‘dominante’ e dai personalisti stessi, quali C. Antoni, C.S. Bartnik, M. Buber, J.Burgos, G. Capograssi, T. De Maria, D. De Rougemont, V. Filippone-Thaulero, J.Gaos, I. Giordani, P. Landsberg, C. Lubich, A. MacIntyre, I. Mancini, G. Marcel, J. Maritain, G. B. Montini, E. Mounier, J. H. Newman, T. Olivelli, L. Pareyson, Ch.Péguy, M. Polanyi, P. Ricoeur, A. Rigobello, A. Rosmini, M.Sangnier, M.Scheler, Scoto, I.Silone, E. Stein, L. Sturzo, Ch.Taylor, G.Thibon, J.Tischner, Ch.Vella, S.Weil, K.Woityla.

Non sappiamo se si riuscirà ad aumentare il numero degli abbonati, ma speriamo più probabilmente di aumentare i lettori on line, senza con c iò abbandonare, finchè saarà possibile, la rivista cartacea, a cui molti sono affezionati e che desiderano consevare nella biblioteca di casa. Ci auguriamo anche di aggiornare il sito che già conta una frequenza di visite giornaliere di circa 50 visitatori e checonsente di restare aggiornati:    www.centropersonalista.it\// .

Il traguardo raggiunto è anche l’occasione per passare la mano della presidenza onoraria e della direzione responsabile, come da statuto ad un nuovo presidente e ad un nuovo direttore. Come già detto alla nascita il presidente onorario è stato P. Ricoeur, è stato nominato poi Alino Lorenzon, dell’università di Rio de Janeiro e poi Giorgio Campanini dell’Università di Parma. Abbiamo chiesto al Prof. Robert Royal del Faith & Reason Institute di Washington, nonché Editor-in-chief of The Catholic Thing, già recensito dalla rivista e amico del CRP da molto tempo. Come direttore responsabile proponiamo il prof. Felice Flavio, già membro della direzione, coordinatore di Prospetttiva Civitas, testimone e attore da lungo tempo della vita di PP per raccogliere il testimone, con la promessa che non sarà lasciato solo,   ma come in una buona famiglia con il pudore e il rispetto della terza età verso i giovani adulti, la saggezza dell’età e la disponibilità a collaborare avendo a cuore da “fondatori” la crescita e la lunga vita della rivista stessa.

Prospettiva Persona potrà sopravvivere alla crisi, al trionfo di internet, alla trascuratezza nei confronti della cultura umanistica? Non possiamo dirlo. A noi pare già straordinario essere arrivati fin qui e di ciò vogliamo ringraziare tutti, i primi editori, i tanti collaboratori, molti dei quali sono ormai scomparsi, i redattori che hannno offerto nel tempo generosa collaborazione in spirito di volontariato e in condizioni di precarietà, gli attuali che hanno rinnovato la grafica e la cura dei contenuti, coloro che hanno creduto nell’impresa e profuso la loro competenza nelle rubriche, i lettori che non hanno considerato vano essere sostenitori della cultura personalista e/o hanno versato l’abbonamento a sostegno di un ideale che va ben oltre la pubblicazione di una rivista.

 

Giulia Paola Di nicola e Attilio Danese

 

 

 

[1] Tra i primi componenti: Gianna Campanini, Marisa Bellenzier, Maria Dutto, Wilma Preti, Elisabetta Fiorentini, Albertina Soliani, Tina Anselmi, Ida Bozzini, Maria Luisa Cassanmagnago Cerretti, Sandra Codazzi, Paola Colombo Svevo, Cettina Militello, Claudia Zanon Gilmozzi, Renata Livraghi, Carla Ricci, Giulia Paola Di Nicola.

[2] Cf A. Danese, Il cammino verso l’eticità in Hegel , EIV, Teramo 1975; A. Danese- G. P. Di Nicola, Il ruolo socio-politico della religione nel giovane Hegel, Patron, Bologna 1977; G. P. Di Nicola, Interazione, lavoro e società, Università, Teramo 1979; A. Danese, Pensiero dialettico e società occidentale. Hegel e le scienze sociali, Ist.S.S., Teramo 1979.

2. Cf A. Danese, Unità e Pluralità. Mounier e il ritorno alla persona, pref. di Paul Ricoeur, Città Nuova, Roma 1984, pp. 294; questo libro ha ricevuto il Premio internazionale “E. Mounier” 1985; ID., La questione personalista. Mounier e Maritain nel dibattito per un nuovo umanesimo (a cura), Città Nuova, Roma 1986; G. P. Di Nicola- A. Danese, Ethique et personnalisme, Ciaco éd., Louvain La Neuve 1989, 1-66, 2 éd. hors commerce Teramo 1992.

 

[4]

[5] E’ nota l’attenzione con la quale Mounier, nella rivista «Esprit » affrontava la questione femminile. Nel 1936 aveva dedicato un numero speciale (“La femme est aussi une personne” n. 45), con un suo personale contributo dal titolo : “La femme chrétienne dans les mœurs et dans la pensée” (cf E. MOUNIER, La femme est aussi une personne e E. MOUNIER – J. PERRET, La femme chrétienne dans les moeurs et dans la pensée chré­tienne , in “Esprit”, n. 45 (1936), pp. 291-297 et 392-407, di cui le pagine 396-407 sono di Mounier. CITARE IL MIO COMMENTO NEL LIBRO LAS

[6] E. MOUNIER, Les tâches actuelles d’une pensée d’inspiration per­sonnaliste, cit p. 13.

[7] P. FRAISSE, “L’espoir des Désespérés” , in AA. VV., Le personnalisme d’E. Mounier hier et de­main. Pour un cinquantenaire, Seuil, Paris 1985, p. 245.

[8] Témoignage de Denis de Rougemont , in AA. VV., Le personnalisme, cit., pp. 35-39, p. 39.

[9] E. MOUNIER, Qu’è-ce que le personalismo?, III ,p. 229.

   [10] E. MOUNIER, Révolution Personnaliste et communautaire, Éditions du Seuil, Paris 1961, 2000, p.80.

[11] Cf B. Ferrari, Mounier e l’ideologia dell’ ’89, in «Vita e Pensiero», 1(1955), 70-82. Se l’illuminismo ha rovinato la democrazia, tradendo la sua radice cristiana, nei tempi moderni l’ispirazione evangelica può tornare ad esserne l’anima, per costruire le fondamenta di una «nuova democrazia»: «[L’illuminismo] ha così ben alterato il principio vitale delle democrazie mo­derne – afferma Maritain – che si è potuto a volte confonderla con la Democrazia stessa mutata in Democratismo… ciò che i nostri padri più amavano realmente nella Democrazia, intesa come una marcia verso la giustizia e il diritto, e verso la liberazione dell’essere umano, proviene Révolutionda una filosofia del tutto differente, le cui fonti sono evangeliche» (J. Maritain, Christianisme et démocratie, New York 1943, tr. it. Cristianesimo e democrazia,Vita e Pensiero, Milano 1981, 116-118).

[12] Id., Réflexions sur la démocratie, cit., 24.

[13] Cf Id., Lettre ouverte sur la démocratie, in «L’Aube», 27. II. 1934, in Révolution…, cit., I, 292-297.

[14] Id., , cit., 294.

[15]E.BADINTER, L’un et l’autre. Des relations entre hommes et femmes, Odile Jacob, Paris 1986., p.308.

[16] ‘Fragile’ è l’identità oggi per S.MANGHI, Il soggetto ecosistemico. Identità e complessità biosociale, in AA.VV.,Figure d’identità, Angeli, Milano, pp.173-238. Cf su questi temi gli studi di G.BATESON, Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano 1980 e ID., Mente e natura, Adelphi, Milano 1984.

[17]Cf.S. CHALVON-DEMERSAY, Concubin-Concubine, Paris 1983, pp.56 ss.

[18] Cf. C.COLLANGE, Io, tua madre, Rizzoli, Milano 1988.

[19]       C’è sotto un ideale titanico di indipendenza affettiva dell’io, al di sopra di ogni dipendenza dall’altro. Lipovetsky riporta questa espressione: “Rinunciare all’amore per amare me stessa tanto da non avere bisogno di un altro per essere felice” (G.LIPOVETSKY, op.cit., p.67).

[20] Cf.L.von BERTHALANFFY, Teoria generale dei sistemi, New York 1968, trad.it. Milano 1971.

[21] Cf. E.MOUNIER, Le personnalisme, in Oeuvres, cit., III, p.453.

[22] Più completamente i versi sono: “…Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende, prese costui de la bella persona che mi fu tolta; e ‘l modo ancor m’offende. Amor, ch’a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m’abbandona. Amor condusse noi ad una morte: Caina attende chi a vita ci spense» (Dante Alighieri, Inferno V, 100-108).

 

[23]       E’ ciò che esprimono i neologismi del bel di­stico dante­sco: “Già non attendere io tua dimanda s’io m’intuassi come tu t’immii ” (DANTE, Paradiso, IX, 80-81).

[24] Cf E. Mounier, Traité du caractère, II, page 106,

[25] Ibid.., I, p. 560