Comunicato stampa – Invito per il Salotto culturale (10 e 12 Febbraio 2016)
Il 10 febbraio 2016 alle ore 17,45 il Salotto culturale “Prospettiva Persona” in Via N. Palma 33, in Teramo (con patrocinio di Fondazione Tercas, Ministero per i Beni artistici culturali e turismo, Ufficio per il progetto culturale della Diocesi di Teramo Atri e Arciconfraternita SS. Annunziata) presenta la rubrica “I poeti e la fede” con particolare attenzione a Giovanni Pascoli,
a cura di Modesta Corda
approfondimento
Sostiene Pietro Vassallo:« Pascoli appartiene al decadentismo, concepito in senso positivo. Invano il lettore cercherebbe nei componimenti di Pascoli quella tetra e talora laida immaginazione del nulla che invade la letteratura e il giornalismo filosofico dei decadenti rigettati dal mito del progresso.
Il decadentismo di Pascoli, infatti, è rimpianto e nostalgia della fede smarrita nella opprimente selva dei dolori familiari. Non l’acrobatica retorica declinante le fantasie intorno all’ateismo che, contorcendosi, afferma che non può non dirsi cristiano.
Nei versi di Pascoli si manifesta il dolore del ritorno: “Le campane che suonano a gioia, a gloria, a messa, a morte, specialmente a morto. Troppo? Ma la vita senza il pensiero della morte, cioè senza religione, senza quello che ci distingue dalle bestie, è un delirio, o intermittente o continuo, o stolido o tragico”.
L’opera di Pascoli non può essere gettata nella pattumiera in cui si decompone l’ateismo dei moderni.
La luce crepuscolare emanata dalle poesie che hanno commosso generazioni di buoni italiani possono ridestare la coscienza delle nuove generazioni, ubriacate e avvelenate ma non conquistate dal nichilismo in corsa sulle piste della disfatta storicista»( http://www.riscossacristiana.it/giovanni-pascoli-ateo-devoto-ante-litteram-di-piero-vassallo/).
Venerdì 12 febbraio 2016 alle ore 17,45 il Salotto culturale “Prospettiva Persona” nei locali di Via N. Palma 33 a Teramo riprende ilconsueto Venerdì dantesco, nel 750 della nascita del poeta, a cura diBenedetto di Curzio, con esame critico e lettura del canto XXVI dell’Inferno
Argomento del Canto
Visione dell’VIII Bolgia dell’VIII Cerchio (Malebolge), in cui sono puniti i consiglieri fraudolenti. Incontro con Ulisse e Diomede, avvolti dalla stessa fiamma. Ulisse racconta a Dante e Virgilio le circostanze della sua morte. È mezzogiorno di sabato 9 aprile (o 26 marzo) del 1300.
Invettiva contro Firenze (1-12)
Dante rivolge un’aspro rimprovero a Firenze, che può davvero vantarsi della fama che ha acquistato in ogni luogo e persino all’Inferno, dove il poeta ha visto (nella VII Bolgia) ben cinque ladri tutti fiorentini che lo fanno vergognare e non danno certo onore alla città. Ma se è vero che i sogni fatti al mattino sono veritieri, allora Firenze avrà presto la punizione che molti le augurano, compresa la piccola città di Prato: se anche già fosse così sarebbe troppo tardi e più passerà il tempo, più il castigo della città sarà grave per il poeta invecchiato.
«Godi, Fiorenza, poi che se’ sì grande,
che per mare e per terra batti l’ali,
e per lo ’nferno tuo nome si spande!
Tra li ladron trovai cinque cotali
tuoi cittadini onde mi ven vergogna,
e tu in grande orranza non ne sali.
Ma se presso al mattin del ver si sogna,
tu sentirai di qua da picciol tempo
di quel che Prato, non ch’altri, t’agogna.
E se già fosse, non saria per tempo.
Così foss’ei, da che pur esser dee!
ché più mi graverà, com’più m’attempo.»