Siamo tutti “fans” dei trans?
Noi “tradizionali” rispetto al futuro “trans”*
Attilio Danese
Dopo gli ultimi avvenimenti politici in Italia, l’attenzione di alcuni media, la petulante insistenza sul gossip durata una estate intera, nel momento in cui si sono scoperte varie situazioni da pruderie voyeristica l’obiettivo è cambiato e viene in evidenza un cambiamento di costumi e di parametri di giudizio che ci interroga sui riferimenti identitari, in particolare sui trans diventati la nuova frontiera dell’etica sessuale.
Parlando della persona nella cultura contemporanea non si può non affrontare la messa in questione della identità di genere: c’è chi pensa che la differenza sessuale non abbia in sé alcun valore oggettivo e, come già prevedono al-cune leggi regionali in Italia (leggi Regione Toscana ed Emilia Romagna) e un disegno di legge nazionale contro la violenza in famiglia, diffonde la convinzione che ogni individuo possa stabilire a piacimento e dichiarare alla pubblica amministrazione la propria identità sessuale. L’orientamento sessuale sarebbe una variabile dipendente dai gusti soggettivi, dai contesti, dalle necessità. Su questa linea si sono collocate diverse battaglie “contro l’omofobia”, specie dopo la messa in vetrina delle violenze ripetute contro dei gay. Nell’arrière pensée si intravedono le linee di indirizzo pro-mosse dalla UE, con relativo budget di sostegno, che vorrebbero tacciare di oscurantismo – e perseguire forse penalmente – eventuali pronunciamenti considerati discriminanti per gli omosessuali, da parte di chi non riesce proprio a disgiungere l’orientamento sessuale dalla conformazione fisiologica della persona.
La battaglia contro l’identità ha conquistato una nuova frontiera: non ci si contenta più di glissare sui termini sessualità, genere (gender) e orientamento sessuale (sexual orientation); si vuole ricondurre l’identità sessuale alla scelta individuale e si teorizza conseguentemente la promozione del principio della “neutralità della crescita” nella educazione di bambini e bambine. Volenti o nolenti dobbiamo fare i conti con la rivoluzione del “genere non binario”. Per-ché accettare supinamente – si dice – che esistono due generi per natura, come se il corpo e la natura non determinassero il nostro modo di essere persone?
Accade così che il censimento di alcune eccezioni tran-sessuali diventi la frontiera di comportamenti incoraggiati, sostenuti da psicologi d’avanguardia, sempre pronti a giustificare, difendere ed anche incoraggiare tali comporta-menti invitando alla creatività di situazioni inedite, a piaceri sognati e mai esercitati. «Avere una relazione con un trans è un modo per abbassare finalmente tutte quelle difese che si devono per forza tenere alte nel resto della giornata», così G. Siani su “Il Fatto quotidiano”. Il direttore di “Rizza Psicosomatica” arriva a teorizzare: «Un uomo-donna capace di dominare e farsi dominare è l’ideale per chi non è riuscito a tenere separate le componenti femminili e maschili con cui tutti nasciamo». Sul “Corriere” si trova l’affondo: «Frequentare trans è il massimo della trasgressione, poiché è come avere un rapporto con un essere mitologico o una divinità». Peccato che anche Umberto Galimberti su Repubblica ci aggiunga del suo: «(la trans) …con la sua fusione dei codici sessuali (può) costituire un richiamo archetipico a questa unità originaria segretamente custodita nel fondo della nostra natura». L’operazione più sottile e più à la page è sempre ad opera di “Repubblica”, sulla quale scrive il gran-de mentore Francesco Merlo: «Andare a trans non è affatto un vizio di cui vergognarsi. Anzi, l’accoppiamento bisex è l’incontro col mito ambiguo e antico, che ‘attrae e spaventa’». Insomma si sta tentando l’operazione “sdoganamento dell’amore trans” appoggiandosi all’intera mitologia classica, a Rimbaud e Verlaine (“Rimbaud attivo, lo sposo infernale, e un Verlaine passivo, la vergine folle») ad Almodovar. La teorizzazione va oltre, si scomoda Benjamin, Stoller, Jünger, Hegel e Freud e si prosegue nell’affondo: «L’idea che esistono due essenze radicalmente differenti, la maschile e la femminile è servita nei secoli a giustificare la separazione e a creare gerarchie di diseguaglianze».
Ma dove sono tutti questi soggetti sessualmente multiformi? Oppure viviamo in un altro pianeta, nel quale vediamo ogni giorno uomini e donne affaticati, che la politica la fanno solo andando a votare perché non hanno tempo che per la casa, i figli, il lavoro, il sindacato, la parrocchia, la scuola… e perché soprattutto devono sopravvivere?
Un tempo – che non rimpiangiamo – ad una precisa conformazione fisica corrispondevano modelli comporta-mentali precisi e rigidi del maschile e del femminile, riproposti dall’ambiente circostante: un modello maschile ispirato alla forza, all’autorità e alla razionalità e uno femminile alla emotività, all’obbedienza e all’intuizione. Il supera-mento di quegli stereotipi rigidi, che oggi cedono di fronte al mutamento del profilo maschile (secondo altri troppo debole) e al protagonismo femminile, genera ora una controreazione pendolare: l’annullamento delle differenze, la rivendicazione della indipendenza assoluta dalla natura e la libertà di scegliere tra identità equipollenti e indifferenti rispetto alla conformazione del proprio corpo.
La guerra culturale contro il maschile e il femminile coinvolge i riferimenti fondamentali di una cultura e di una religione come quella cristiana che si ostinerebbero nella tradizione di presentare il “maschio e femmina li creò” come modelli di riferimento da cui non si dovrebbe prescindere. Che si tratti di una frontiera cultural religiosa viene confermato leggendo gli articoli di giornalisti-intellettuali che inneggiano alla fine del modello biblico e cristiano.
Dietro il tentativo di santificare i frequentatori di trans c’è sicuramente di più che una lotta politica tra destra e sinistra. La lobby massonica e scientista non accetta più fonti regolative che non siano se stessa e l’estensione del proprio potere. Lobby trasversali ci paiono operano a livello di Organismi internazionali (Onu, OMS, EU, FMI, Fondazioni massoniche) con interessi economici e farmaceutici indifferenti alle conseguenze di certi orientamenti.
Molti vi leggono non tanto una guerra tra religioni ma una guerra alle religioni. Se Dio crea “a sua immagine e somiglianza”, la risposta contro questo principio maschile e femminile viene vista come una guerra contro l’iniziatore della vita, sia esso Dio, Allah o Javhè. Ne abbiamo parlato su questa rivista in tempi non sospetti (n.60 luglio 2007); quelle riflessioni ci paiono oggi ancora più valide.
Ci pare che sia una doverosa operazione di ecologia del-la mente quella di sostenere che ogni individuo alla nascita in maniera generalmente evidente risulta maschio o femmina (salvo qualche eccezione certo non trascurabile ma neppure da scambiare per norma). Proviamo a chiedere a ostetriche e ginecologi quante volte hanno risposto ai geni-tori curiosi di conoscere il sesso biologicamente evidente del nascituro (quando l’ecografia non era norma), che non se ne sapeva niente. Non è né maschio né femmina, ma un “genere” che in futuro, l’elaborazione culturale dimostrerà appartenente ad una identità.
Chi accentua il ruolo della cultura sostiene la possibilità di autodeterminarsi indipendentemente dal corpo, attraverso la costruzione e la scelta dipendenti dai gusti e dai condizionamenti. Secondo tale interpretazione culturalista, ciascuno ha il diritto sacrosanto di ritagliarsi l’identità di genere su misura. Ci troviamo così nel mezzo dell’annosa contrapposizione tra naturalismo e culturalismo.
È compito di una cultura personalista sostenere la ego sintonia con il proprio corpo? Infatti da una parte una antropologia rispettosa della persona si dissocia dalla nozione determinista e biologica,secondo cui tutti i ruoli e le relazioni tra i sessi sarebbero fissati in uno statico modello de-terminato dalla natura. D’altra parte l’essere umano non è solo cultura e la storia si costruisce in un confronto dialettico e quotidiano con la natura e con tutti i suoi condizionamenti. Nello sviluppare la propria identità si recepiscono i modelli trasmessi dall’educazione, si adottano comporta-menti e valori acquisiti dalla frequentazione di ambienti di-versi, dalle letture e dalle aspirazioni di ciascuno, ma tutto ciò non può avvenire senza un confronto o se si vuole una-ermeneutica del proprio corpo, con tutte le sue specificità morfogeniche, ormonali, fisiologiche.
I media, che spesso fanno da gran cassa per tali potenti minoranze, hanno preso di mira il cuore dell’antropologia relazionale: l’identità originaria maschio-femmina, che si ritrova in tutti i racconti delle origini come pure nel Corano e nella Bibbia. Persino nella moda hanno presentato colezioni per l’inverno da poter indossare indifferentemente tra uomo e donna(la nuova moda avanza facilmente). Ifautori dell’unisex, transex, omosex, intaccando questa originaria e originale differenza, fomentando la libera scelta, e minando l’eterosessualità che consente il matrimonio e la procreazione, ovvero la famiglia naturale.
Incoraggiando la libera scelta, questi intellettuali mina-no l’eterosessualità che consente il buon essere della persona con il proprio corpo, il matrimonio e la procreazione. Di più essi minano il disegno di Dio sull’uomo. Su “Repubblica”, infatti, F. Merlo mette l’affondo ideologico anti cristiano: «Se davvero il futuro è trans, allora salterebbe tutta l’iconografia della cristianità fondata su mamma e papà, su San Giuseppe e la Madonna… adeguare Bibbia e Corano,e niente più tabù dell’incesto». Per fortuna Merlo ricorda che anche il Corano, come la Bibbia, poggia su “maschio e femmina” iniziali: Così il Corano: «E Dio v’ha creato di terra, poi di una goccia di sperma, poi v’ha ordinato a coppie», Corano XXXV, 11 e ancora: «è Lui che creò la coppia, il maschio creò e la femmina», LII,45).
Chi ha interesse a distruggere la storia di Adamo ed Eva, Maria e Giuseppe?
Adesso che anche la Corte di Giustizia si mette a far guerra al Crocifisso, a noi pare che tutto rientri in quella battaglia culturale che non avendo voluto le “radici cristiane” sembra aver vinto contro la cultura della famiglia “tradizionale” e l’avvento delle unioni libere di pluriformi gusti sessuali. Si mira a preparare il terreno ai matrimoni gay, al-le adozioni gay, alla pedofilia libera, all’abbassamento della responsabilità personale ai 12 anni, alla libertà di aborto a 16(vedi la Spagna), alle nuove sperimentazioni della scienza di giocare a fare Dio volendo creare l’uomo e la donna in laboratorio dalle cellule staminali. Dopo le tante disastrose esperienze del passato come si può credere che l’esaltazione di uno sviluppo senza regole, di una umanità “al di là del bene e del male” ci regalerà la felicità?
La famiglia naturale viene presentata di conseguenza come una scelta di soggetti propensi a costumi di vita arcaica e “tradizionale” rispetto a forme di convivenza presenta-te come moderne e“aperte”al futuro come quelle dei“trans”.
Noi abbiamo e preferiamo rimanere col gusto di Adamo che nel vedere Eva gridò di gioia: «Questa, finalmente, è ossa delle mie ossa e carne della mia carne» (Gen. 2,23-24).