Sconfitti e contenti gli onorevolini che vanno a casa alle prossime regionali

Ai consiglieri regionali non rieletti andranno 32 milioni di euro di liquidazioni. Mentre i vitalizi per gli ex supereranno i 100 milioni. Ecco i privilegi della casta local. E il governo rinvia il taglio delle poltrone
Altro che onorevolini. La casta locale dei consiglieri regionali spende e spreca come quella global di Montecitorio. E il diminutivo fa davvero sorridere: costano cari quando sono in carica e si paga salato pure chi perde la poltrona. Berlusconi aveva annunciato sforbiciate e tagli negli enti locali. E invece niente. Succederà tutto di nuovo il 28 e 29 marzo, quando 13 regioni andranno alle urne e l’esercito dei trombati, anziché piangere per la delusione, riderà passando alla cassa. Pronto a intascare la liquidazione d’oro che spetta agli ex e che regalerà oltre 32 milioni di euro netti ai reduci di questa legislatura, senza contare il vitalizio che succhia un centinaio di milioni l’anno e potrebbe crescere del 15 per cento.

LA MAPPA INTERATTIVA Stipendi e privilegi dei consiglieri regionali

Cifre che raddoppiano se si calcola l’esborso lordo per le casse pubbliche e triplicano sommando le regioni che hanno votato in anticipo. Tanto a pagare il conto ci penseranno come sempre gli italiani. La sfera di cristallo per stimare quanti incasseranno la buona uscita non c’è, ma la statistica aiuta.

“L’espresso” ha analizzato i dati delle precedenti elezioni, arrivando a una stima. A ogni ex andranno in media 43 mila euro per 5 anni di carica, già sgravati da tasse e contributi. Con picchi da super manager per i veterani, che in alcuni casi si porteranno a casa fino a 257 mila euro dopo tre mandati. A colpi di simili Tfr per sforare il tetto dei 30 milioni basta che la metà dei 709 consiglieri (e un centinaio di assessori) chiamati al rinnovo non sia rieletto, calcolando due legislature a testa. Sono costi della politica che salgono in silenzio a ogni elezione. Nessuno ci fa caso perché quei parlamentini sembrano minuscoli, contano fra 30 e 90 consiglieri ciascuno. Ma presi tutti insieme fanno quasi 1.100 onorevoli, più di Camera e Senato. Ecco che in bilancio c’è chi infila 8,9 milioni in più come la Lombardia, chi 3,5 come il Veneto o 4 come il Piemonte. Crescono le spese anche nelle regioni più piccole, come le Marche, dove stanziano mezzo milione. “Sono conti fatti a spanne. Noi abbiamo previsto 6 milioni e non è certo che ci basteranno”, spiegano nel Lazio. A Napoli il 28 dicembre su queste spese s’è sfiorata la rissa in aula: “Il presidente Mucciolo faccia chiarezza sul punto, senza se e senza ma”, ha chiesto Angelo Giusto del Pd. Nel bilancio non c’è traccia di quattrini, eppure la legge prevede fra 46 e 140 mila euro, solo in minima parte accantonati con le trattenute. Austerity? Macché, un escamotage per non far crescere, almeno in apparenza, i conti di un consiglio dove quasi il 40 per cento viene inghiottito dagli stipendi dei politici. Fanno oltre 32 milioni l’anno.

La patata bollente passerà alla nuova giunta che dovrà trovare altri soldi per rimborsare chi rimarrà senza poltrona. Nel 2005 capitò a 35 consiglieri su 60 e costò più di 4 milioni: “Prevediamo una cifra simile anche stavolta”, ammettono a Palazzo.

L’ira del cardinale
Sulla casta dei regionali è stato scagliato perfino un anatema. A Natale il cardinale di Torino, Severino Poletto, tuonò contro la “vergogna” di una politica che in tempi di crisi nera non ha di meglio da fare che aumentarsi lo stipendio. Il Tfr piemontese con i suoi 85 mila euro netti a legislatura è il più alto d’Italia, assieme a quello della Puglia, pari a 80 mila. Le regioni che si sono raddoppiate i fondi (due mesi di stipendio per ogni anno passato fra i banchi) stanno una al Nord e l’altra al Sud, a dimostrare che la mappa delle liquidazioni da sogno non rispetta il confine del Po, ma straripa dappertutto. “Servirebbero esempi di austerità quando tanta parte della popolazione vive male”, denuncia il porporato. E in tutta risposta il consiglio scarica la colpa sull’ex governatore di centrodestra Ghigo, che introdusse il nuovo tariffario. Anche se pure con il Pd nell’era Bresso l’indennità che per un operaio Fiat equivale a due vite e mezzo in fabbrica è rimasta invariata. La motivazione ufficiale fa sorridere, anche perché rievoca la procedura per gli ex detenuti: “Quei soldi servono al reinserimento sociale”, ripetono un po’ tutti i politici. Insomma, risarcisce il professionista che ha perso clienti per dedicarsi alla cosa pubblica, come Luca Caramella del Pdl: “Non è facile ripartire da zero quando non vieni rieletto, soprattutto se il consigliere lo fai a tempo pieno come me”, risponde al vescovo. Ma anche il bancario a 2 mila euro al mese, come Mariano Rabino del Pd: “Nel 2000 mi sono pagato una costosa campagna elettorale e non sono riuscito a farcela. Per coprire i debiti ci ho messo qualche anno. In banca ho ritrovato il mio posto, ma la carriera era ormai ferma “. Eppure nel plotone dei reduci non tutti sono d’accordo. Come Luigi Bianchini, avvocato marchigiano eletto nel 1970, proprio all’esordio dei nuovi enti. È un senior degli ex, ma ammette che quando è troppo è troppo: “L’indennità di fine mandato per chi ritrova il posto di lavoro non ha alcun senso. Andrebbe abolita”, taglia corto. Per ora è un sogno.
(20 gennaio 2010)
di Tommaso Cerno

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