I
dati ci dicono che Brunetta ha avuto ragione e che l\’assenteismo è
diminuito significativamente nell\’impiego pubblico specialmente.
Eppure, mentre ci si felicita di questo risultato non si può non
pensare all\’aspetto punitivo di cui si serve per tenere i lavoratori al
chiodo: la pura del castigo dovrebbe produrre ordine e produttività.
Tutti
sanno però che si può stare 24 ore sul posto di lavoro e avere la testa
altrove, dare al servizio che si sta svolgendo un terzo delle proprie
potenzialità riservando il resto a ciò che si ritiene primario nella
propria vita; si può obbedire maledicendo colui\\colei che ci impone ciò
che non vogliamo, si può stare inchiodati alla propria scrivania
leggendo fumetti o scrivendo poesie.
\”L\’obiettivo
primario è avere impiegati che non hanno bisogno di un capo\” questa è
la proposta della peruviana Carmen Yates, specialista in coaching, ovvero in business coach (allenatrice in affari), e autrice del libro: La impresa sabia (L\’impresa sapiente).
L\’autrice ha viaggiato molto per i cinque contenimenti e creato imprese
in Europa e America Latina. Attualmente è socia e fondatrice del World Works, compagnia di traduzioni tecniche e scientifiche, nonché direttrice de \”La Rueda\”, il centro di coaching in Barcellona. E\’ anche membro della Associazione madrilena delle
imprese della globalizzazione e de Club finanziario di Genova. Una
grande esperienza dunque nel campo della finanza e delle imprese, che
l\’ha condotta a privilegiare una prospettiva significativamente diversa
dalla severità del nostro Brunetta. Mira a creare un ambiente umano e
dunque non contraddice la terapia d\’urto ma la integra con ciò che è
più essenziale e precedente al castigo da infliggere ai fannulloni: il
buon vivere nell\’azienda.
Si tratta di trasformare la mediocrità del Fracchia nostrano in
lavoratore che prende gusto nel fare ciò che fa e valorizza pienamente
il suo talento imprenditoriale. E\’ un\’arte che richiede lo sviluppo
integrale della persona capace di vedere nel lavoro una espressione
importante del suo stare al mondo in maniera piena di senso e che
riesce a tradurre questo suo atteggiamento verso il lavoro in pratiche
lavorative e azioni di cooperazione. Per chi lavora è fondamentale
stare con un leader capace di portare avanti un progetto intelligente
con esperienza, trasparenza, coerenza, favorendo una impresa umana in
cui ciascuna persona si apre ad incorporare le nuove tendenze. Implica
tenere coscienza del fatto che generare ricchezza è molto più che
guadagnare soldi. Bisogna guardare l\’espansione economica e la
prosperità non come fini a se stessi, il che comporta rischi di
trappole e speculatori finanziari. Il leader del XXi secolo è una
persona che si mette a servizio dei più, che insegna attraverso
l\’esempio, che sa generare équipes solidali formate da persone che
riescono a esprimere nel lavoro i propri talenti e applicarli in
maniera fruttuosa per tutti. Una delle chiavi che un dirigente deve
assumere per imparare ad essere leader è vedere l\’impresa come un tutto
che risulta dall\’equilibrio e dalla integrazione, piuttosto che un
ingranaggio di mera efficienza tecnica.
Volendo
attuare una trasformazione interna all\’impresa in cui si percepiscano
tutti gli impiegati come legati in una rete in cui ciascuno apporta la
sua creatività e si impegna a potenziare e imparare tutto ciò che può
contribuire a migliorare la sua prestazione sentendosi stimolato da
coloro che lo circondano. E\’ sempre questione di essere allenati a
pensare in termini di noi piuttosto che di \”io\”.
Nella
integrazione, nel tenere impiegati che partecipano attivamente alla
esecuzione della visione impresaria e non hanno bisogno di un capo che
stia lì a dire ciò che devono o non devono fare. L\’epoca dell\’ordine
attuato su comando è ormai passata. Oggi siamo nell\’era della sinergia,
che reclama doti umane e motivazioni convincenti nella impresa.
Forse
questa proposta contiene una dose di idealismo e risponde al problema
della produttività semplicemente col metodo opposto a quello di
Brunetta. Chi saprà trovare il giusto equilibrio? E\’ un dato comunque
che i tanti che sospirano il giorno in cui potranno andare in pensione
non pensano che finalmente staranno con la mani in mano. Hanno mille
progetti in testa, purtroppo non realizzabili o realizzabili in minima
parte. Probabilmente dopo una vita di orari stressanti e cartellini da
timbrare, si prenderanno dei giorni di assoluto riposto, faranno
qualche viaggio, ma il più delle volte essi riprendono i progetti
interrotti e faticano forse più di prima. Desiderano semplicemente
lavorare nel modo che credono più confacente alle loro possibilità,
vogliono poter dire liberamente dei sì e dei no, spendere le proprie
energie senza risparmiarsi ma forse per i figli, i nipoti, per la
propria casa, per gli amici, con mezzi più poveri, ma nella pace di una
organizzazione personale.
Tra
utopia e realtà corre una differenza spesso abissale, ma questo non ci
libera dal dovere di provare a far sì che il lavoro non sia una
condanna.