Noi “tradizionali” rispetto al futuro “trans”

EDITORIALE di Prospettiva Persona

N. 69-70/09

 

Noi “tradizionali”

rispetto al futuro “trans”

Attilio Danese

Dopo gli ultimi avvenimenti politici in Italia, l’attenzione

di alcuni media, la petulante insistenza sul gossip

durata una estate intera, nel momento in cui si sono scoperte

varie situazioni da pruderie voyeristica l’obiettivo

è cambiato e viene in evidenza una rivoluzione dei parametri

di giudizio che ci interroga sui riferimenti identitari,

in particolare sui trans diventati la nuova frontiera

dell’etica sessuale.

Parlando della persona nella cultura contemporanea

non si può non affrontare la messa in questione della

identità di genere: c’è chi pensa che la differenza sessuale

non abbia in sé alcun valore oggettivo e, come già prevedono

alcune leggi regionali in Italia (leggi Regione Toscana

ed Emilia Romagna) e un disegno di legge nazionale

contro la violenza in famiglia, diffonde la convinzione

che ogni individuo possa stabilire a piacimento la

propria identità sessuale e dichiararla alla pubblica amministrazione.

L’orientamento sessuale sarebbe una variabile

dipendente dai gusti soggettivi, dai contesti, dalle

necessità. Su questa linea si sono collocate diverse battaglie

“contro l’omofobia”, specie dopo la messa in vetrina

delle violenze ripetute contro i gay. Nell’arrière pensée si

intravedono le linee di indirizzo promosse dalla UE, con

relativo budget di sostegno, che vorrebbero tacciare di

oscurantismo – e perseguire forse penalmente – eventuali

pronunciamenti considerati discriminanti nei confronti

degli omosessuali, da parte di chi non riesce proprio a

disgiungere l’orientamento sessuale dalla conformazione

fisiologica della persona.

La battaglia contro l’identità ha conquistato una nuova

frontiera: non ci si contenta più di glissare sui termini

sessualità, genere (gender) e orientamento sessuale (sexual

orientation); si vuole ricondurre l’identità sessuale alla scelta

individuale e si teorizza conseguentemente la promozione

del principio della “neutralità della crescita” nella educazione

di bambini e bambine. Volenti o nolenti dobbiamo

fare i conti con la rivoluzione del “genere non binario”.

Perché accettare supinamente – si dice – che esistono due

generi per natura, come se il corpo e la natura determinassero

il nostro modo di essere persone?

Accade così che il censimento di alcune eccezioni transessuali

diventi la frontiera di comportamenti incoraggiati,

sostenuti da psicologi d’avanguardia, sempre pronti a giustificare,

difendere ed anche incoraggiare tali comportamenti

invitando alla creatività di situazioni inedite, a piaceri

sognati e mai esercitati. «Avere una relazione con un

trans è un modo per abbassare finalmente tutte quelle difese

che si devono per forza tenere alte nel resto della giornata

», così G. Siani su “Il Fatto quotidiano”. Il direttore di

“Rizza Psicosomatica” arriva a teorizzare: «Un uomo-donna

capace di dominare e farsi dominare è l’ideale per chi

non è riuscito a tenere separate le componenti femminili e

maschili con cui tutti nasciamo». Sul «Corriere» si trova

l’affondo: «Frequentare trans è il massimo della trasgressione,

poiché è come avere un rapporto con un essere mitologico

o una divinità». Peccato che anche Umberto Galimberti

su «Repubblica» aggiunga del suo: «(la trans)

…con la sua fusione dei codici sessuali (può) costituire un

richiamo archetipico a questa unità originaria segretamente

custodita nel fondo della nostra natura». L’operazione

più sottile e più à la page è sempre ad opera di “Repubblica”,

sulla quale scrive il grande mentore Francesco Merlo:

«Andare a trans non è affatto un vizio di cui vergognarsi.

Anzi, l’accoppiamento bisex è l’incontro col mito ambiguo

e antico, che ‘attrae e spaventa’». Insomma si sta tentando

l’operazione “sdoganamento dell’amore trans” appoggiandosi

all’intera mitologia classica, a Rimbaud e Verlaine

(“Rimbaud attivo, lo sposo infernale, e un Verlaine passivo,

la vergine folle») ad Almodovar. La teorizzazione va oltre,

si scomoda Benjamin, Stoller, Jünger, Hegel e Freud e

si prosegue nell’affondo: «L’idea che esistono due essenze

radicalmente differenti, la maschile e la femminile è servita

nei secoli a giustificare la separazione e a creare gerarchie

di diseguaglianze».

Ma dove sono tutti questi soggetti sessualmente multiformi?

Oppure viviamo in un altro pianeta, nel quale vediamo

ogni giorno uomini e donne affaticati, che la politica la

fanno solo andando a votare perché non hanno tempo che

per la casa, i figli, il lavoro, il sindacato, la parrocchia, la scuola…

e perché soprattutto devono sopravvivere?

Un tempo – che non rimpiangiamo – ad una precisa

conformazione fisica corrispondevano modelli comportamentali

precisi e rigidi del maschile e del femminile,

riproposti dall’ambiente circostante: un modello maschile

ispirato alla forza, all’autorità e alla razionalità e

uno femminile alla emotività, all’obbedienza e all’intuizione.

Il superamento di quegli stereotipi rigidi, che oggi

cedono di fronte al mutamento del profilo maschile (secondo

altri troppo debole) e al protagonismo femminile,

genera ora una controreazione pendolare: l’annullamento

delle differenze, la rivendicazione della indipendenza

assoluta dalla natura e la libertà di scegliere tra

identità equipollenti e indifferenti rispetto alla conformazione

del proprio corpo.

La guerra culturale contro il maschile e il femminile

coinvolge i riferimenti fondamentali di una cultura e di

una religione come quella cristiana che si ostinerebbero

nella tradizione di presentare il “maschio e femmina li

creò” come modelli di riferimento irrinunciabili. Che si

tratti di una frontiera cultural religiosa viene confermato

leggendo gli articoli di giornalisti-intellettuali che inneggiano

alla fine del modello biblico e cristiano.

Dietro il tentativo di santificare i frequentatori di trans

c’è sicuramente di più che una lotta politica tra destra e si-nistra. La lobby massonica e scientista non accetta più fonti

regolative che non siano se stessa e l’estensione del proprio

potere. Lobby trasversali ci paiono opere a livello di

Organismi internazionali (Onu, OMS, EU, FMI, Fondazioni

massoniche) con interessi economici e farmaceutici indifferenti

alle conseguenze di certi orientamenti.

Molti vi leggono non tanto una guerra tra religioni ma

una guerra alle religioni. Se Dio crea “a sua immagine e somiglianza”,

la risposta contro questo principio maschile e

femminile viene vista come una guerra contro l’iniziatore

della vita, sia esso Dio, Allah o Javhè. Ne abbiamo parlato

su questa rivista in tempi non sospetti (n. 60 luglio 2007);

quelle riflessioni ci paiono oggi ancora più valide.

Ci pare che sia una doverosa operazione di ecologia

della mente quella di sostenere che ogni individuo alla

nascita in maniera generalmente evidente risulta maschio

o femmina (salvo qualche eccezione certo non trascurabile

ma neppure da scambiare per norma). Proviamo a

chiedere a ostetriche e ginecologi quante volte hanno risposto

ai genitori curiosi di conoscere il sesso biologicamente

evidente del nascituro (quando l’ecografia non era

norma), che non se ne sapeva niente. Non è né maschio

né femmina, ma un “genere” che in futuro, l’elaborazione

culturale dimostrerà appartenente ad una identità.

Chi accentua il ruolo della cultura sostiene la possibilità

di autodeterminarsi indipendentemente dal corpo, attraverso

la costruzione e la scelta dipendenti dai gusti e dai

condizionamenti. Secondo tale interpretazione culturalista,

ciascuno ha il diritto sacrosanto di ritagliarsi l’identità

di genere su misura. Ci troviamo così nel mezzo dell’annosa

contrapposizione tra naturalismo e culturalismo.

È compito di una cultura personalista sostenere la ego

sintonia con il proprio corpo? Infatti da una parte una antropologia

rispettosa della persona si dissocia dalla nozione

determinista e biologica, secondo cui tutti i ruoli e le relazioni

tra i sessi sarebbero fissati in uno statico modello

determinato dalla natura. D’altra parte l’essere umano non

è solo cultura e la storia si costruisce in un confronto dialettico

e quotidiano con la natura e con tutti i suoi condizionamenti.

Nello sviluppare la propria identità si recepiscono

i modelli trasmessi dall’educazione, si adottano comportamenti

e valori acquisiti dalla frequentazione di ambienti

diversi, dalle letture e dalle aspirazioni di ciascuno,

ma tutto ciò non può avvenire senza un confronto o se si

vuole una ermeneutica del proprio corpo, con tutte le sue

specificità morfogeniche, ormonali, fisiologiche.

I media, che spesso fanno da gran cassa per tali potenti

minoranze, hanno preso di mira il cuore dell’antropologia

relazionale: l’identità originaria maschio-femmina,

che si ritrova in tutti i racconti delle origini come

pure nel Corano e nella Bibbia. Persino nella moda hanno

presentato colezioni per l’inverno da poter indossare

indifferentemente tra uomo e donna fautori dell’unisex,

transex, omosex, intaccando questa originaria e originale

differenza, fomentando la libera scelta minano l’eterosessualità

che consente il matrimonio e la procreazione,

ovvero la famiglia naturale.

Di più, essi minano il disegno di Dio sull’uomo. Su

“Repubblica”, infatti, F. Merlo lancia l’affondo ideologico

anti cristiano: «Se davvero il futuro è trans, allora salterebbe

tutta l’iconografia della cristianità fondata su mamma e

papà, su San Giuseppe e la Madonna… adeguare Bibbia e

Corano, e niente più tabù dell’incesto». Per fortuna Merlo

ricorda che anche il Corano, come la Bibbia, poggia su “maschio

e femmina” iniziali. Così il Corano: «E Dio v’ha creato

di terra, poi di una goccia di sperma, poi v’ha ordinato a

coppie», Corano XXXV,11 e ancora: «è Lui che creò la coppia,

il maschio creò e la femmina», LII,45).

Chi ha interesse a distruggere la storia di Adamo ed

Eva, Maria e Giuseppe?

Adesso che anche la Corte di Giustizia si mette a far

guerra al Crocifisso, a noi pare che tutto rientri in quella

battaglia culturale che non avendo voluto le “radici cristiane”

sembra aver vinto contro la cultura della famiglia

“tradizionale” e l’avvento delle unioni libere di pluriformi

gusti sessuali. Si mira a preparare il terreno ai matrimoni

gay, alle adozioni gay, alla pedofilia libera, all’abbassamento

della responsabilità personale ai 12 anni, alla

libertà di aborto a 16 anni (vedi la Spagna), alle nuove

sperimentazioni della scienza che gioca a creare l’uomo

e la donna in laboratorio dalle cellule staminali. Dopo le

tante disastrose esperienze del passato come si può credere

che l’esaltazione di uno sviluppo senza regole, di una

umanità “al di là del bene e del male” ci regalerà la felicità?

La famiglia naturale viene presentata di conseguenza

come una scelta di soggetti propensi a costumi di vita

arcaica e “tradizionale” rispetto a forme di convivenza

moderne e “aperte” al futuro come quelle dei “trans”.

Noi preferiamo quell’Adamo che nel vedere Eva gridò

di gioia: «Questa, finalmente, è ossa delle mie ossa e

carne della mia carne» (Gen. 2,23-24).