L’amore, la bellezza e la purezza: La via per comprendere il mistero di Maria

20 Maggio

Amore e bellezza elevano e purificano l’anima sotto l’influsso dello Spirito, come sottolinea San Paolo: «L’uomo lasciato alle sue forze non comprende le cose dello Spirito di Dio: esse sono follia per lui, e non è capace di intenderle, perché di esse si può giudicare per mezzo dello Spirito» (1Cor 2, 14). Gregorio Nisseno precisa: «I concetti formano idoli di Dio, soltanto lo stupore coglie di lui l’eco e il barlume»[1]. Per S. Weil: «La follia d’amore inclina a discernere e preferire ugualmente, in tutti gli ambienti umani senza eccezione, in tutti i luoghi del globo, le fragili possibilità terrestri di bellezza, di felicità e di pienezza; ad augurarsi di preservarli tutti con una cura ugualmente religiosa; là dove mancano, ad augurarsi di riscaldare teneramente le minime tracce di quelle che sono esistite, i più piccoli germi di quelle che possono nascere»[2].

Con Maria Dio agisce “da Dio”, donandole quella purezza originaria che rende capaci di ‘vedere’ Dio. Scrive Gregorio di Nissa: «“Nessuno fra gli uomini lo ha mai visto, né lo può vedere” […] Questa è quella roccia liscia, sdrucciolevole e ripida, che non offre in se stessa alcun appoggio o sostegno per i concetti della nostra intelligenza […]. Se trovandoci pencolanti sull’abisso di queste speculazioni si accosterà anche a noi la mano del Verbo, si poserà sull’intelligenza e ci farà vedere il vero significato delle cose, saremo allora liberi dal timore e seguiremo la sua via. Ma purché il nostro cuore sia puro. Dice, infatti: “Beati coloro che hanno un cuore puro, perché essi vedranno Dio”»[3].

[1] Cf A. Valentini, Teologia mariana, EDB, Bologna 2019, 275.

[2] EL, 56. È noto che la Weil considerava Platone un mistico (Weil, Intuitions préchrétiennes, La Colombe, éd. Du Vieux Colombier, Paris 1951, 50-51. Cf G.P. Di Nicola – A. Danese, Simone Weil. Abitare la contraddizione, Dehoniane, Roma 1991). Sulla figura di Maria S. Weil è disorientata e, da amante della cultura greca, cita il Timeo (50 b – c – d): «La Santa Vergine, dal momento che occupa un posto così centrale nel cielo nella teologia cattolica, non è Maria, ma qualcosa che ha un rapporto col Verbo analogo al rapporto di Maria con Gesù, altrimenti come la si potrebbe mettere al di sopra degli angeli? È Demetra; la Grande madre; Astarte, Cibele ecc. La Santa Vergine è stata incarnata in Maria come il Verbo in Gesù. Ed è proprio questo che Platone chiama qui la Madre. Ma che cos’è?» (C II, 403-404).

[3] Gregorio di Nissa, Omelie, Om. 6, Sulle beatitudini; PG 44, 1263-1266.