LA SCUOLA PER IMPARARE A CRESCERE

LA SCUOLA PER IMPARARE A SCEGLIERE

Che cosa augurare alla scuola italiana? Che dia il meglio di sé
perché gli studenti abbiano successo. I cambiamenti introdotti
in apertura del nuovo anno scolastico sono ritenuti innovativi a
fronte di una scuola che non risponde alle esigenze formative del
momento e che, nelle graduatorie di merito, si colloca, sempre più
spesso, tra gli ultimi posti: grembiule scolastico, fine della
ricreazione, aggiunte disciplinari, pacchetti formativi per i
docenti, ripristino dei voti, attenzione agli apprendimenti
matematici e scientifici, blocco delle riedizioni dei libri di testo,
….

Come considerazione preliminare diciamo
che esse si presentano metodologicamente in linea con il precedente
governo: aspirazioni, buone intenzioni, enunciazioni, richiami,
rimproveri, valutazioni. La perplessità è d\’obbligo
per la consapevolezza acquisita in precedenza circa gli scostamenti,
in negativo, accertati tra traguardi auspicati e i risultati
ottenuti.

Certo che in assenza di valutazioni
delle progettualità dei docenti, delle iniziative formative in
atto nella scuola, delle realtà di attuazione sperimentate,
delle variabili di successo dei percorsi didattici attuati ( e
personalmente sono portato a dire anche degli insuccessi rispetto a
variabili incontrate in corso d\’opera ), tutti possono dire di tutto:
bene e male del primo pacchetto di innovazioni, della bontà
dei voti, della opportunità di ritorno al maestro unico e via
dicendo. Proprio come accade alla curva est dello stadio dove ognuno
si improvvisa, alternativamente, esperto allenatore, arbitro,
giocatore, presidente di società, ecc…. C\’è una sola
differenza che mentre nel caso del calcio se ne parla durante e al
termine della partita vista, nella scuola se ne parla sempre
dall\’esterno del perimetro dell\’edificio che si apre al “pubblico”
solo per incontri istituzionalmente previsti o celebrativi. É
rarissimo che se ne parli per aver vissuto il clima di lavoro, per
visione diretta di ciò che accade; e il tutto allora sfugge
alla riflessione e si fa “chiacchiera”. In tante circostanze si
fa riferimento a visite di politici nelle carceri, mai si ascolta di
loro visite alla scuole durante lo svolgimento di attività
didattiche. Questa consapevolezza ha determinato un alone di
diffidenza che si muove su più versanti: dal piano dell\’alunno
a quello della richiesta dei genitori, dalle valutazioni
professionali ai poteri del ministro, ai temi del sindacato, alla
situazione del precariato.

Pur nella consapevolezza e
nell\’indirizzo di solidarietà nei riguardi di quanti sono
coinvolti sul versante occupazionale, lo spazio della nostra
riflessione si limita a registrare l\’opportunità e la
tempestività nella apertura del “bleg”, per il potenziale
di socializzazione che può offrire alle tensioni, alle
valutazioni progettuali, ai confronti culturali e professionali che
motivano un itinerario di formazione pedagogica della e sulla
“persona”.

Esaminando i provvedimenti adottati per
fare uscire la scuola italiana “dall\’orlo del collasso “, non si
può sottacere il riferimento al momento culturale che
attraversiamo e che era posto alla attenzione della scuola già
in un importante documento: “Orientamenti dell\’attività
educativa nelle scuole materne statali” D.M. 3 giugno 1991.

una società in
movimento
La società italiana è caratterizzata
da ampie, profonde e contrastanti trasformazioni che, rifrangendosi
in maniera differenziata nei diversi contesti storici, sociali e
culturali del Paese, configurano una particolare condizione di
complessità…. la rapidità dei processi di
transizione, che sta alla base di comune senso di insicurezza sui
valori e di una crescente contraddittorietà nelle condotte e
negli stili di vita, si profila al tempo stesso ricca di potenzialità
ed opportunità di sviluppo positivo “.

Dopo tali premesse ogni impegno
valutativo va argomentato su due piani: il primo di fare chiarezza,
il secondo di prospettare un percorso convincente sia sul piano
funzionale, sia sul piano del recupero e integrazione di tutte le
possibili relazioni positive: facendo ciò equivale a
collocarci nei luoghi del “tra”.

Ieri – oggi. Nella società
delle certezze , c\’era il convincimento familiare di una scuola che,
se frequentata con serietà ed impegno, non solo avrebbe
assicurato al figlio la certezza di lavoro, ma lo avrebbe sottratto
dall\’impiego in lavori pesanti ed usuranti. Oggi siamo di fronte ad
una scuola che parla di diritto allo studio ed alla cittadinanza.
Sul piano del lavoro è come dire che oggi lo studio delle
statistiche, del computer, della seconda e terza lingua,
dell\’apprendere a fare ricerche, dal sapersi esprimere con chiarezza,
di essere affezionato al lavoro, di avere atteggiamento positivo, ed
altro ancora, sono elementi che favoriscono le opportunità di
trovare lavoro, più ancora di costruirsi un settore di lavoro,
ma anche di essere capace di aggiornarsi continuamente, ma anche di
cambiare professione. É una consapevolezza trasversale, non
applicabile solo sui versanti di innovazioni tecnologiche. É
un bagaglio di doti, di competenze umane, psicologiche,
contenutistiche da acquisire per poter esercitare, giorno dopo
giorno, il loro ampliamento; incrementare un bagaglio sempre
finalizzato alla prerogative culturali di persona intesa come
capacità di “misurare e commisurarsi”, di cogliere
le potenziali direttrici occupazionali dai giornali, dalle
statistiche, dai finanziamenti nazionali e internazionali, dai nuovi
lavori, da tempi di riconversione; in sintesi dalla disponibilità
a farsi cittadino di un mondo policentrico. Sono questi gli aspetti
che favoriscono, più ancora favoriranno, non solo una certezza
lavorativa, ma anche una qualità di vita.

Si tratta di progettare il futuro; un
futuro letto non deterministicamente ma come luogo del “tra” il
poeta e lo scienziato; tra una esistenza gregaria o come persona
capace di attrezzarsi per vivere, sia nelle dimensioni dei problemi
reali e complessi come la pace, l\’ecologia, la democrazia, sia nella
dimensione del sogno da realizzare. Progettare è capacità
di vivere da regista il film che ognuno dovrebbe predisporre della
propria vita; un film sintonizzato sui propri bisogni, orientato
consapevolmente alla gratificazione delle proprie peculiarità,
predisposto per riallinearsi in rapporto agli accadimenti, capace di
pregustare le gioie dei successi che certamente ci saranno. Il sogno
come unità di senso, di presenza consapevole della storia
dell\’umanità; relazioni di senso, confronti di mondi, io –
altro come memoria, come compresenza, come futuro. Avere un sogno è
l\’invito che ai giovani rivolgono da tempo i Presidenti della
Repubblica, scienziati e uomini di cultura, gli atleti che hanno
partecipato alle recenti olimpiadi, i docenti dei corsi di master che
hanno sostituito “quando lo vedrò, allora crederò”, con “lo vedrò se l\’avrò desiderato”. Solo
pochi anni e siamo già la memoria e testimoni dei cambiamenti.

La cultura degli alunni di ieri era
libresca, confinata all\’orizzontalità del banco, del tavolo,
con uno scenario molto limitato per sognare; sogni contenuti dalle
pareti sulle quali a sera si animavano gli eroi TEX e TARZAN. Gli
alunni di oggi vivono la dimensione del “non luogo”, della
pluralità dei “tempi”, delle memorie, delle percezioni
ingannevoli.

Una madre si racconta:

A settembre, quando compriamo i
libri, quaderni, lo zaino, la vedo felice di andare a scuola e
rincontrare gli amici, ma poi, durante l\’anno…. che fatica farla
studiare! Mi fa delle domande che mi fanno pensare che a scuola non
hanno imparato niente o che non sia intelligente. Ma poi nelle altre
cose, quelle che le interessano è bravissima a sbrigarsela.
Non può essere poco dotata. Non so cosa concludere. Cosa
imparano a scuola questi ragazzi? Vanno per studiare o per passare
delle ore in compagnia degli amici?
1

Se colloquiassimo con i giovani
troveremmo degli elementi di conoscenza tecnologica e informatica ad
alto livello. Ci sono adolescenti capaci di assemblare un computer
spendendo pochi euro.

Siamo chiaramente di fronte
all\’esercizio delle competenze. Competenze maturate all\’esterno degli
edifici scolastici; senza libri di testo, senza “mentori”, senza
“diritto allo studio”. Circostanze che hanno richiesto impegni,
progettazioni, calcoli, contabilità, ricerche,…. Se le
potenzialità espresse negli apprendimenti liberi sono di tali
portata e pari a quelle che, su versanti complementari, dovrebbero
essere sollecitate dalla scuola, come mai si assiste al proliferare
di fenomeni come la dispersione scolastica, le disaffezioni, i
disimpegni, solo per citare gli aspetti meno gravi?

Chiediamoci in modo più
esplicito senza sofismi, ma con tutta umiltà,:

  • come mai non vengono ancora
    esaminate la situazioni di ostacolo degli apprendimenti per
    competenze sulla base del successo esterno e rapportate
    all\’insuccesso in classe? Il processo di analisi della situazione è
    il primo livello di un itinerario di programmazione per norma
    attribuita ala competenza della collegialità dei docenti;

  • come mai nella scuola continua a
    permanere l\’attaccamento al termine interesse che l\’alunno non
    avrebbe e non si assiste alla piena consapevolezza professionale
    della “ motivazione “? E\’ questo uno snodo fondamentale per una
    adesione professionale alla scuola innovata.

  • interessare è – secondo
    la definizione di Treccani – “ fare che qualcuno intervenga
    attivamente per il conseguimento di un fine”; Es. ; l\’alunno
    non è coinvolto da un lavoro di senso ma risponde solo ad una
    richiesta di prestazione.

  • motivazione è “l\’insieme
    dei bisogni, desideri o intenzioni che inducono ad un comportamento
    e che conferiscono a questo unità e significato”. Tra
    persone che si confrontano si stabiliscono e si articolano forme di
    incontro e di confronto tra “mondi vissuti”, in contesti
    diversi, e che ora si esplicitano differenziati per ragioni, per
    logiche, per esperienze, per età, per… Es. .

Consapevolezze di questo tipo, se
appartengono al bagaglio professionale dei docenti di istituto, posso
essere inserite all\’interno del POF, magari all\’interno del glossario
per la lettura dei documenti di riforma dell\’autonomia, ed essere
offerte alla consapevolezza dei genitori.

A ben leggere,
nella lettera sopra riportata, avvertiamo il bisogno della madre di
capire, di voler essere informata, probabilmente per potere offrire
una collaborazione al momento inesprimibile, ed in tale direzione
formula richieste specifiche: mia figlia
che cosa apprende ? Perchè ? Quando ? Come ? Queste sono le
domande che la società, nel suo insieme, rivolge ai
professionisti della scuola. Come ritenerle illegittime? Come
lasciarle senza risposta? Ogni ritardo su questo piano di esposizione
delle competenze professionali, potrebbe ingenerare valutazioni
ingenerose rispetto ai colleghi, all\’istituto e sulla scuola in
genere.

In questo scenario le innovazioni
apportate alla scuola appaiono più elementi di immagine che di
sostanza. Certo assisteremo ad altri segnali di innovazioni che
meglio espliciteranno la presenza di un progetto coeso o di
frammenti, di palliativi, di “secondo me”. Al momento sembrano di
supporto alla parola “autorevolezza” incapace di assicurare ad
ogni alunno il passaggio dal direttivo delle “unità
didattiche” alla libertà delle “unità di
apprendimento”.

É forse questo il momento utile
per ripensare le opportunità comunicative che avrebbe svolto
il documento del “portfolio” sul piano referenziale del lavoro
docenti, sulla corresponsabilizzazione delle famiglie e delle
istituzioni; un documento capace di illustrare come le competenze
acquisite dagli alunni fossero commisurate ai personali e reali
bisogni. Proviamo a ripensare a tutta la proposta innovativa del
documento elaborato dal Ministro L. Berlinguer; riportiamo alla
memoria l\’impianto di riforma organizzativa, pedagogica e didattica
predisposta, in fedeltà di continuità educativa, dalla
Ministra L.Moratti; ricordiamo le devastanti agitazioni per la non
attuazione della seconda parte dei provvedimenti: tutti slogans gratuiti perché urlati e mai motivati, mai illustrati,
indirizzati a documenti neppure letti. Norme applicate dalla “scuola
reale”, per una modesta parte, generalmente organizzativa, formale.
La letteratura specifica ci informa del mancato aggancio pedagogico
con il disegno unitario che l\’avrebbe dovuta sostenere. L\’autonomia
scolastica è nata per esaltare l\’identità di ogni
singolo istituto, di ogni team, di ogni docente, ma tutti uniti sui
riferimenti valoriali della persona, della partecipazione dei
genitori, orientata alle educazioni, alla importanza della
formazione, agli impegni di responsabilità, alla opportunità
di contestualizzazione delle iniziative, aperta alla ricchezza delle
libertà professionali ( si faccia riferimento al superamento
dei programmi e alla offerta di indicazioni ). Opportunità
unica di autonomia da esplicitarsi sul terreno delle iniziative
personali e di team, costruita, peraltro, con le stesse indicazioni
offerte dai collegi dei docenti.

Tutto questo per dire che, se le
differenze influenzano le modalità apprenditive, occorre
allora attrezzarsi culturalmente, tutti, per un profondo cambiamento
che preveda, da parte della scuola, la gestione non più del
modello apprenditivo trasmissivo, ma che si esalti della pluralità
di strategie apprenditive. Sono queste le condizioni che potrebbero
portate a risoluzione anche il problema, statisticamente evidenziato
che, sempre più, gli insuccessi formativi coinvolgono
soggetti appartenenti a classi sociali più modeste, meno
culturalmente attrezzate. Il superamento della lezione
standardizzata, a vantaggio di apprendimenti più
laboratoriali, favorisce un processo di equità di tecnologie
alternative e di aggregazione di scuole, orientate a fare sì
che si superino le difficoltà grammaticali e si accolgano i
postulati della scienza, ma soprattutto che ragazzi e giovani si
sensibilizzino al cammino dell\’uomo per i problemi risolti e per i
problemi da affrontare , solleciti rispetto alle opportunità e
ai richiami di una umanità intesa come “ fratellanza laica”
(E. Morin )2 con lo sguardo orientato ad un futuro responsabilmente operoso e in
pace tra i popoli.

Un orientamento di senso per un diritto
costituzionale da garantire ai giovani, per una conquista identitaria
maturata nella esplorazione di tutte le opportunità
comunicative messe a disposizione dalla tecnica. In tale prospettiva
internet, il telefonino, il minicomputer, il testo, il registratore,
il videoproiettore ma anche le discipline, ma anche i giornali a
scuola, ma anche la banale fotografia, la stessa lavagna, il parco,
l\’edicola, sono assunti dai giovani come mediatori tecnologici che
veicolano significati di diversità e originalità di
competenze.

La soluzione non è facile né
rapida perché non è tecnologica né
terminologica; si tratta di introdurre ogni alunno ad un progetto di
educazione evolutiva permanente della sua persona, non più
percorso scolastico a scadenza ma esistenziale, di cittadinanza.

Siamo certi che la scelta del maestro
unico non sia preclusiva rispetto al progetto educativo che vogliamo
realizzare anche perchè, dalle cronache giudiziarie, nelle
aule dei tribunali sono passati ex alunni provenienti dalle scuole
che avevano insegnanti unici e da giovanissimi che hanno attraversato
scuole con pluralità docenti. Entrambi, in stragrande
maggioranza, non solo sapevano leggere e scrivere ma molti avevano
studiato letteratura, legge, poesia, tabelline, discipline; mancavano
solo le qualità valoriali e di senso. Pedagogicamente onoriamo
le scuole di Pestalozzi e di Don Milani. Non altrettanto possiamo
fare oggi per scuole che funzionano bene e non. Di certo non mancano
esperienze qualificate ma solo perchè, mancando dati
sulla applicazione della normativa, tutti si sentono
deresponsabilizzati dall\’effetto “a macchia di leopardo” che
permette ad ogni docente, ad ogni istituto di collocarsi,
nell\’anonimato generale, in zona di eccellenza. Nella società
della comunicazione, il servizio scolastico, il pianeta scuola, tutti
insieme docenti, istituti, istituzioni hanno difficoltà a
comunicare e quindi a rendersi trasparente. Capita molto spesso che
la mancata comunicazione si motivi ad assenze di denaro o di tecnici
utili per approntare le strutture adeguate, ma anche quando, con
sacrifici personali, le strutture vengo realizzate e messe a
disposizione gratuitamente, “l\’effetto non comunicativo” permane.

Nel tentativo di evitare di essere
schierati tra gli ipercritici del momento, consentiamoci la lettura piacevole ed interessante di un frammento di una circolare
ministeriale (P.I. n. 173/L/ES del 22.12.1992) sulle “attività
di prevenzione e di educazione alla salute” ,

…. la
scuola non può perseguire i suoi fini istituzionali
d\’istruzione e di promozione dell\’apprendimento per rendere effettivo
il diritto allo studio, senza farsi carico per la sua parte, della <
rimozione degli ostacoli > che compromettono più o meno
gravemente il raggiungimento di tali fini. …..L\’impegno di
rimozione che la scuola deve affrontare, in quanto istituzione di
questa Repubblica, implica la necessità di lavorare non solo
con i contenuti disciplinari e con le esperienze didattiche
specifiche, ma anche con i processi, le relazioni, con i
significati, con le motivazioni da cui dipendono il successo o
l\’insuccesso scolastico, la gioia la tristezza, la voglia di vivere e
di lavorare, la rinuncia, la disistima di sé, il rifiuto più
o meno esplicito della vita, nelle forme dell\’uso della droga, della
fuga da casa, della noia, della devianza, della delinquenza, della
violenza, del suicidio. Il diritto allo studio acquista sempre più
il carattere di diritto alla qualità della vita scolastica,
condizione indispensabile per l\’efficacia e l\’efficienza del
servizio offerto. ….. ”-

A queste
condizioni lo studio è allora il piacere di “far rinasce
una cultura”,
3 una relazione di amore che contagia.

Riportiamo
alcune affermazioni della Ministra dell\’istruzione, università
e ricerca MARIASTELLA GELMINI rilasciate a “MAGAZINE” del
CORRIERE DELLA SERA del 4 settembre 2008 p.52-56


Insegnare è un\’inclinazione naturale prima che frutto di un
mestiere.”
il docente “ … anzitutto deve essere animato
da una grande passione educativa e sentire la responsabilità
del ruolo che gli è stato affidato. …”
preparazione
“…. ad alti livelli, ovviamente.” Carattere “….empatico, capace di appassionare i ragazzi, di prepararli alle
sfide della vita. Un buon insegnante deve trasmettere valori, non
solo nozioni” ….. “in classe si devono apprendere i corretti
stili di vita, acquisire gli strumenti per combattere le obesità,
bulimia, anoressia, dipendenza da droghe e da alcol”.

Il BLEG –
Laboratori Educativo del CENTRO RICERCHE PERSONALISTE formula alla
MINISTRA i migliori auguri di BUON LAVORO

1 Lucia, madre di 37 anni, Sassari, da una lettera alla psicologa Dal
testo: Attilio Danese – Giulia Paola Di Nicola, “Da amore a
zapping” – Manuale definitivo per incomprensivi adolescent, San
PAOLO, Cinisello Balsamo 2008.

2 Edgard Morin: Educare gli educatori, Ed. EDUP, Roma 2005p.74

 

3 Edgard Morin: Educare gli educatori Ed. EDUP Roma 2005, pag.74