Il Messia atteso dagli Ebrei: il desiderio di un figlio maschio

Gli Ebrei attendevano un maschio

L’atteso d’Israele era un maschio – come conferma la preghiera di Anna – sia perché le società antiche avevano bisogno di soldati e lavoratori e quindi volevano che le donne generassero numerosi figli maschi su cui basare la difesa e la potenza della nazione, sia perché tutta la tradizione ebraica abbinava il figlio maschio alla promessa del liberatore. È significativo che l’escatologia ebraica associasse il Messia a un condottiero in grado di affrontare una serie di ostacoli ed esaltare la gloria di Dio e dell’etnia prediletta: il ritorno in Israele, la ricostruzione del Tempio, un’era messianica di pace (cf Is2, 4) in cui “la saggezza del Signore” avrebbe riempito la Terra (cf Is 11, 9). Il nascituro ideale avrebbe avuto i caratteri di un leader benedetto da Dio, discendente genealogicamente dalla stirpe del re Davide, atto a governare, combattere, giudicare, insegnare la Torah. Non a caso, come sappiamo, la grande maggioranza degli Ebrei non riconobbe in Gesù il Messia, perché il figlio del falegname non aveva nulla di immediatamente percepibile come regale, sacerdotale, potente, vittorioso: non poteva essere il liberatore. Gli eventi attesi non si verificarono né durante il corso della vita di Gesù, né in seguito (tranne che per il ritorno e la fondazione dello Stato d’Israele nel Novecento).

 La classe sociale privilegiata aspettava la venuta del Messia sentendosi deputata ad accoglierlo e supportarlo, distinguendosi dai tanti pagani che non osservavano la legge…

Gioacchino e Anna avranno certamente avvertito il tono minore – quando non il disappunto – che accompagnava  – non solo presso gli Ebrei – la nascita di una femmina, un ‘insuccesso’ rispetto al primo figlio che doveva essere maschio da consacrare al Signore. Nel Codice di Hereford si legge: «Si avvicinò il giorno della Festa delle encenie e i figli di Israele partendo da tutte le genti e tribù andavano a Gerusalemme, nel tempio del Signore, ad offrire ognuno i propri doni. Tra loro c’era pure Gioacchino, che preparò i suoi doni da offrire al cospetto del Signore. Ma gli si avvicinò uno scriba del tempio di nome Ruben e gli domandò come mai egli, infecondo, osasse stare tra i fecondi, e gli disse: “A te non è lecito offrire doni e sacrifici nel tempio del Signore, giacché tu non hai suscitato una discendenza in Israele. Infatti la Scrittura dice: “Maledetto chiunque non ha generato un maschio in Israele”»[1]. Il contesto non poteva non influire sulla disposizione con cui parenti e amici accoglievano un maschio o una femmina. Perciò non si dovrebbe passare sotto silenzio la reazione sottotono che ha circondato la nascita dell’Immacolata, in un popolo che attendeva il sospirato Messia.

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[1] Codice di Hereford, Natività di Maria e di Gesù, H3, consultabile in http://www.esolibri.it:80/testi/religiosita/nativita_maria_e_gesu_codice_hereford.pdf (visit. il 14.06.2020).