Identità in relazione

Identità in relazione

 di Giulia P. Di Nicola

A che punto è la reciprocità donna uomo? “Progetto donna” ha sostenuto sin dai suoi esordi che sarebbe stata impossibile qualunque liberazione della donna senza uno speculare mutamento dell’uomo. Il gruppo Promozione Donna di Milano, aveva scritto una lettera aperta nel 1997: “Scriviamo a voi uomini perché con voi vogliamo dialogare. Perché, in quanto cristiane, crediamo che il fatto di essere entrambi simili a un Dio che è relazione e comunicazione non sia accidentale. Scriviamo: per essere ascoltate ed eascoltare; per abbattere gli stereotipi e dar vita a una conoscenza vera; per costruire un confronto non prevaricante che, cogliendo le diverse letture della realtà, crei dei ponti; per non disperdere la ricchezza dei differenti linguaggi  pervenire a una verità dialogando…Attendiamo le vostre reazioni e abbiamo fiducia che non vorrete deluderci. Le vostre compagne di viaggio”[1].

In effetti, la collaborazione maschile è sempre più indispensabile per una uguaglianza basata sulla valorizzazione dei talenti rispettivi, sulle corresponsabilità domestiche, sui compiti di cura, in  cooperazione attiva con le parti sociali, gli attori della società civile ed  il settore privato. Perché allora non si lavora per ri-orientare i rapporti uomo donna? Occorre ricostruire le identità in relazione e cambiare le categorie mentali, prima ancora che puntare su atti di accusa e di rivendicazione, su conquiste legali e istituzionali.

Oggi è più chiaro che l’uguaglianza senza differenza rimane soffocata tra il rancore per il passato, la mancanza di modelli alternativi, l’appiattimento sulla cultura dominante, la sottovalutazione del  dato genetico (differenze anatomiche, funzionamento ormonale ciclico nella donna, gravidanza, parto, allattamento, differenza dei processi di senescenza, longevità, cause di mortalità). Si sa che la differenza esalta l’unicità della persona ed è la ricchezza della vita, ma richiede la valorizzazione delle risorse e l’acoglienza dei limiti.  Si è in grado di dare senso maturo e personale alla femminilità e alla maschilità, potenziando creativamente le risorse e prendendo atto dei limiti della dotazione naturale. Questo accordo tra l’io ideale e la dotazione naturale ha a che fare con il senso “laico” della vocazione. Vi rientra la differenza di genere che sta al cuore dell’antropologia relazionale, qualificandola come “uniduale”. 

Non si può essere felici senza tenere conto di ciò che la natura dà a ciascuno come dono e come compito (Jede Gabe eine Aufgabe!). La disponibilità “lavorare” la propria realtà naturale costituisce la differenza fondamentale tra personalismo ed esistenzialismo, come pure tra personalismo comunitario e quei  falsi personalismi che pongono al centro la pienezza dell’esistenza in quanto affermazione di sé e dei propri diritti.

Per questo è una sfida del futuro una serena  identità di genere. Chiediamoci: la differenza sessuale ha un suo aspetto oggettivo – seppure non impositivo – oppure ciascuno ha il potere di scegliere a piacimento il proprio sesso? L’orientamento sessuale è solo una variabile dipendente dai gusti, dai contesti, dalle necessità? Su questo nodo si innestano le proposte  di legge “contro l’omofobia”, promosse dalla UE, con budget relativo, che, per combattere i pregiudizi del passato, vorrebbero tacciare di oscurantismo – e perseguire penalmente – eventuali pronunciamenti considerati discriminanti.

Glissando sui termini sessualità, genere (gender) e orientamento sessuale (sexual orientation) si promuove il principio della “neutralità della crescita”. Eppure, se è vero che una antropologia rispettosa della persona si dissocia dal  determinismo, per cui tutti i ruoli e le relazioni tra i sessi sarebbero fissati staticamente dalla natura, è vero anche che una persona non è solo cultura e, per quanti sforzi faccia, non può liberasi della natura con un colpo di spugna.

Un tempo – che non rimpiangiamo – ad una precisa conformazione fisica corrispondevano modelli comportamentali rigidi del maschile e del femminile: un modello maschile ispirato alla forza, all’autorità e alla razionalità e uno femminile alla emotività, all’obbedienza e all’intuizione. Oggi assistiamo ad una controreazione pendolare: l’annullamento delle differenze. Ma un essere umano non può sviluppare i suoi talenti senza una  ermeneutica  del proprio corpo, con tutte le sue specificità morfogeniche, ormonali, fisiologiche. Diversamente, la natura violentata si vendica, violentandoci a sua volta, come hanno ben capito gli antichi: “Natura non facit saltus” (Linneo) e “Natura enim non nisi parendo vincitur” (Bacone).

Una folla di domande si accavallano. Come mai non viene rilevata la contraddizione tra anni di Women’s Studies, dedicati ad approfondire la differenza, e l’esaltazione di un modello uni-pluri-sex? Dove va a finire l’ego-sintonia? Come si può scambiare l’eccezione con la norma e dare per scontato che esistano  cinque possibili sexual orientations, tutti equivalenti[2]? Si potrà  ancora ragionare liberamente di questi temi, oppure con la guerra all’omofobia, gli eterosessuali uniti in matrimonio saranno solo dei tradizionalisti? Perchè si rivendica l’ecologia dell’ambiente solo quando si tratta della natura da proteggere, delle specie in estinzione, dell’inquinamento, mentre si incoraggia una libertà astratta quando si tratta del corpo umano? Come mai si punisce severamente chi ferisce o mutila un cane e non si difende il buon essere del proprio corpo? Perchè si afferma il principio della biodiversità per la natura mentre per l’essere umano si esalta l’indifferenza della differenza? Giova al processo di liberazione della donna l’indifferenza della sua condizione femminile?

A noi pare che i  fautori dell\’equivalenza tra unisex, transex, omosex, esaltano di fatto il modello di un Adamo indifferenziato, espressione dell’onnipotenza dell’io e, anche se in buona fede, indeboliscono il cuore dell’antropologia relazionale: la reciprocità originaria uomo-donna che è alla base del matrimonio e della procreazione, e che si ritrova in tutti i racconti delle origini e nella Bibbia.


[1] Gruppo Promozione Donna, Cari uomini vi scriviamo, in “Prospettiva Persona”,  21\\22 (1997), pp. 75-78

[2] Alfred Kinsey, nel 1948, col saggio Il comportamento sessuale nel maschio  umano, cominciò a rivoluzionare il concetto di sesso e a influenzare la coscienze con una serie di «Rapporti Kinsey». Da questi partì il dato del 10% di omosessuali nella popolazione. Eppure quando infatti il presidente Clinton commissionò un\’indagine scientifica ai migliori centri statistici universitari, la percentuale si ridusse a un misero 1% circa.