Dopo Todi

Ora che il convegno di Todi è concluso cosa resta? Non è bene essere distruttivi ma non si vede un gran che: il tam tam mediatico, le polemiche degli schieramenti contrpposti, le accuse reciproche, la soddisfazione di cattolici noti e meno noti, per il fatto di essere protagonisti di un evento apparentemente nuovo. Eppure abbiamo visto personaggi apicali della classe sociale  ed economica italiana. Le ambizioni erano grandi. Mons. G. Bassetti, vicepresidente della Cei e arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, in una intervista rilasciata al SIR, ha spiegato che il seminario è nato  da una legittima e spontanea iniziativa dei laici cristiani che, consapevoli della grave situazione economico-sociale e politica del Paese, hanno voluto ribadire che, per i cattolici, «l’impegno politico deve essere svolto con spirito di carità senza interessi personali, perché la politica è un alto esercizio della virtù della carità». Musica per le orecchie, parole cui siamo abituati da tempo, che richiamano quelle di padre Sorge quando istituì la scuola di politica a Palermo, esperimento ripetuto poi da numerose diocesi impegnate nella formazione politica dei laici.

Eppure L’Osservatore Romano non ha potuto fare a meno di sottolineare che  da Todi non arrivano “misure concrete”. Non ha avuto torto Marco Politi nello scrivere che l’idea di un nuovo partito cucito con le frange compatibili  dei diversi schieramenti: “È un’operazione tipicamente politica, che non entusiasma particolarmente quegli ambienti dell’associazionismo cattolico desiderosi di vedere nascere una “cosa” dichiaratamente nuova, sullo slancio di un appello sturziano al Paese, in una visione “nazional-popolare”. Quindi un partito non confessionale, ma che coinvolga esplicitamente credenti e non credenti”. ICattolici e non hanno potuto vedere schierati a Todi  volti già visti in TV, appartenenti ad un classe politica, economica, culturale  e sindacale “dominante” che non promette nulla di nuovo. Non è proprio questo uno dei problemi principali della politica italiana, quello cioè di collocare nei posti chiave personaggi scelti cooptando affiliati e occultando la parte migliore del Paese? E del resto chi ha invitato chi?

Vi sono state critiche alle  facili strumentalizzazioni politiche, all’ingerenza della Chiesa e del clero nella politica, ma soprattutto molti si sono chiesti dov’erano tanti laici di buona volontà che svolgono onestamente la loro professione e non vengono invitati o addirittura vengono respinti.  La Chiesa non ha intenzione di fondare partiti, è vero, ma  l’intento di promuovere nei cattolici la consapevolezza che l’impegno nel sociale e nel politico è una vocazione e una missione”. E’ facile a dirsi, non altrettanto a farsi.

Di fatto di fronte ai problemi del Paese e ad un futuro elettorale in cui  potrebbe essere fattibile il rinnovamento della classe politica, non é immaginabile che la gente voterà per dichiarazioni di appartenenza cattolica, per   essere messalizzanti e in ordine con i precetti della dottrina cattolica e neanche per il fatto di occupare posizioni apicali. Gli elettori vorranno avere prove della capacità dei candidati di confrontarsi con gli ostacoli, di saper lottare per migliorare la vita della gente, di avere competenze ed esperienza sufficienti a lavorare bene, a stare da una parte, facendo scelte politiche precise, senza con ciò essere di parte.

GIP