Da “Il Sole 24 Ore”, 29 maggio 2017
Il discorso di Papa Francesco a Genova sembrerebbe dirci con estrema chiarezza che il lavoro non lo porta la “cicogna” che chiamiamo Stato, ma lo crea l’impresa. Ciò che lo Stato può e deve fare è favorire e promuovere il processo di inclusione sociale mediante il contributo che ciascuna donna e ciascun uomo possono dare con il proprio lavoro.
In una società interconnessa, in cui tutto si lega e si intreccia in un groviglio di interessi e di particolarismi, il mondo del lavoro è esposto a nuovi problemi e a nuove conflittualità. Non la vecchia conflittualità tra lavoratori e imprenditori ma, come ci ricorda Francesco, tra chi promuove la dignità del lavoro e chi “specula” su di esso.
Innanzitutto, per indicare chiunque neghi la dignità del lavoro, Francesco usa le espressioni “mercenario” e “speculatore”. Guardando alla figura dell’imprenditore, così importante per una buona economia, il Papa afferma che il buon imprenditore è colui che si prende cura della sua impresa e del lavoro che in essa si svolge. Il suo compito non si esaurisce nella creazione di valore. In una buona economia, il valore economico deve anche tradursi in reddito, consentire una vita materiale decente e innescare quel processo di inclusione sociale al quale abbiamo accennato poc’anzi.
La speculazione, invece, come la intende Papa Francesco, risulta un atto disumano, dal momento che essa impedisce alle persone di contribuire liberamente e responsabilmente al benessere materiale e spirituale proprio e di coloro che gli stanno accanto: in primo luogo della sua famiglia, fino a comprendere il benessere del suo Paese. È questo il senso della sovranità popolare, in una Repubblica fondata sul lavoro quale strumento di inclusione sociale e di realizzazione della personalità.
In secondo luogo, il Papa ci ricorda che una Repubblica fondata sul lavoro, che riconosca la centralità della persona quale principio cardine del proprio ordinamento, non può tollerare i costi sociali di un sistema economico e istituzionale incapace di guardare alla cooperazione umana e all’inclusione sociale come leve per lo sviluppo. La risposta di una comunità politica che voglia perseguire il bene comune richiede istituzioni ordinate al principio di sussidiarietà e di solidarietà e l’adozione di politiche tese ad offrire al lavoro umano protezione e promozione, da un lato, garantendo la libertà d’impresa e i diritti dei lavoratori e, dall’altro, promuovendo l’occupazione, non ricorrendo a politiche assistenziali che mortificano e deresponsabilizzano il lavoratore, bensì, rimuovendo gli ostacoli e ponendo le condizioni istituzionali per un libero e responsabile esercizio della soggettività creativa di ciascuno.
Infine, il Papa ammonisce il mondo della politica, quando afferma che, a volte, “il sistema politico sembra incoraggiare chi specula sul lavoro e non chi investe e crede nel lavoro”. È noto, infatti, che istituzioni economiche estrattive producono istituzioni politiche altrettanto estrattive – e viceversa –, creando un circolo vizioso che impoverisce e genera esclusione. Riteniamo che quella di Francesco sia una dichiarazione che si possa inserire nella tradizione del liberalismo delle regole, del popolarismo sturziano e della cosiddetta ‘economia sociale di mercato’. Non è un caso che il Pontefice la sostenga citando proprio il cattolico liberale Luigi Einaudi. La politica non detiene il monopolio sul bene comune, sebbene spesso eserciti tale pretesa. Un ordinato sistema sociale è quello in cui la politica si preoccupa della difesa dello stato di diritto, della definizione di una cornice istituzionale inclusiva, capace di sostenere l’attività dei buoni imprenditori e della buona economia, penalizzando ogni forma di speculazione a discapito del lavoro.
In breve, le nuove sfide del lavoro non si risolvono auspicando la trasformazione dei disoccupati in assistiti, bensì, con la condivisione di una gerarchia di valori che trovi proprio nella dignità del lavoro il vertice della piramide, capace, a sua volta, di tradursi in una legislazione in grado di assegnare quote premiali alle attività economiche ad alto valore aggiunto. Il vero obiettivo da raggiungere, infatti, non è “il reddito per tutti”, ma il “lavoro per tutti” perché, richiamando l’insegnamento della “Centesimus Annus” di Giovanni Paolo II, ‘intervenendo direttamente e deresponsabilizzando la società, lo Stato assistenziale provoca la perdita di energie umane e l’aumento esagerato degli apparati pubblici, dominati da logiche burocratiche più che dalla preoccupazione di servire gli utenti, con enorme crescita delle spese’.
Flavio Felice