Battisti, adesso il pressing è su Dilma
Lettera di Frattini alla neopresidente Rousseff: riveda la decisione del suo predecessore
DA ROMA MARCO IASEVOLI
L a prima grana di Dilma Rousseff è già nella sua nuova e presidenziale buca della posta. Come promesso, un istante dopo il «no» di Lula all’estradizione di Cesare Battisti (il diniego, pronunciato nell’ultimo giorno dell’anno e del suo mandato presidenziale, al momento salva il leader dei Pac dall’ergastolo per quattro omicidi comminatogli dalla giustizia italiana), il ministro degli Esteri Franco Frattini le ha fatto recapitare una lettera in cui esprime «la ferma determinazione del governo italiano ad esperire tutte le possibili vie legali » perché Battisti non venga scarcerato e rientri nel nostro Paese. Si punta tutto su Dilma, dunque, la donna che più volte, in piena campagna elettorale, aveva detto di essere favorevole all’estradizione. «Credo che Lula – aveva detto Dilma – deciderà, ma nel caso non lo faccia, si dovrà applicare la decisione del Supremo Tribunal Federal: e tale decisione è stata chiara». Cioé «sì» all’estradizione.
Precedenti che la missiva della Farnesina non cita per cortesia istituzionale (ma Frattini li ha ricordati eccome in un’intervista televisiva del 31 pomeriggio), che appaiono in filigrana laddove si esprime il «forte auspicio affinché il nuovo presidente possa rivedere la decisione del suo predecessore ed uniformarsi alla sentenza del Tribunale supremo brasiliano», sentenza contraria alla liberazione di Battisti che nei fatti Lula ha rovesciato.
È il secondo passo formale dell’esecutivo, che segue il richiamo in Italia «per consultazioni» dell’ambasciatore di Roma in Brasile, Gherardo la Francesca. Il diplomatico, che ieri ha presenziato all’insediamento della Rousseff e le ha consegnato la lettera italiana, già oggi sarà in Italia. Un gesto forte, che nelle intenzioni di Frattini vuole dimostrare che l’esecutivo italiano fa sul serio e non, come si mormora in Brasile, solamente per calmare l’opinione pubblica interna. Ma c’è un terzo segno, forse il più significativo, che risale ancora al pomeriggio del 31, alle ore calde che hanno seguito la decisione di Lula: sempre Frattini dice che alla luce dei recenti eventi «non c’è un clima favorevole per ratificare a gennaio» l’ampio accordo commerciale tra i due Stati (vedi articolo in basso). Il «no» di Lula era nell’aria da tempo, ma è arrivato solo negli ultimi secondi del suo mandato. Forti le reazioni politiche, con l’esposizione in prima fila di Napolitano e Berlusconi («la faccenda non è chiusa qui», minacciava il premier), la sostanziale compattezza dalla destra radicale all’Idv, l’eccezione pro-Lula dell’estrema sinistra. E mentre l’ex presidente si approssimava a “graziare” Battisti, il governo brasiliano tacciava come «impertinente» la dura nota di palazzo Chigi emanata giovedì, quando ormai era chiaro l’orientamento di Lula. Uno scontro nello scontro, reso ancora più acuto dalla scelta del presidente uscente di non fare una chiamata previa a Berlusconi circa la sua decisione.
Ieri, invece, l’unità dei partiti si è frantumata. I senatori del Pd, dando seguito alle dichiarazioni critiche di Fassino, Bindi e Veltroni, hanno chiesto al governo di riferire in Aula. L’opposizione, infatti, ritiene che la decisione del Brasile sia legata «all’azione tardiva» dell’esecutivo e alla «scarsa credibilità internazionale dell’Italia». «Sciacallaggio», replicano dalla maggioranza. Se in Italia si confida in Dilma, in Brasile si continua a discutere sui tempi della scarcerazione. Arriva anche l’autorevole condanna al proprio Paese dell’ex giudice della Corte internazionale dell’Aja nonché ex ministro degli Esteri Francisco Rezek, favorevole all’estradizione. E i familiari delle vittime di Battisti (i Torregiani, i Sabbadin, i Campagna e i Santoro) riprendono la loro battaglia su due fronti: passare nella protesta «dal fioretto alla spada» e pretendere dal governo «trasparenza» sulle prossime azioni.
La nuova leader brasiliana si era già espressa a favore del provvedimento: si dovrà applicare la decisione del Supremo Tribunal Federal
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