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La singolare proposta lanciata da Giorgio Campanini per costituire un “Senato nazionale dei laici cattolici in Italia” sembra raccogliere consensi. I possibili vantaggi di un tale organismo superano i rischi e le fragilità degli aspetti più problematici: i laici potrebbero essere responsabilizzati e dire una opinione autorevole quando la situazione lo richiede e i vescovi potrebbero avvantaggiarsi di un organismo di consultazione sulle questioni politiche e sociali, che li metterebbe al riparo dall’accusa di intromissione, senza con ciò abdicare al compito magisteriale di indicare la retta interpretazione del Vangelo e della tradizione della dottrina sociale cristiana. In questo editoriale rintracciamo conferme dottrinali al progetto sulla base della Traccia in preparazione di Verona, del Concilio e della Deus caritas est. Aquarant’anni dal Concilio molti avrebbero auspicato un’attuazione più significativa del cambiamento. In particolare nell’ambito del laicato cattolico, si era sperato in una maggiore presenza e responsabilità, sostenute dalle affermazioni dell’Apostolicam actuositatem e dalle indicazioni seguenti dei documenti del magistero. Non sono mancate le Consulte dei laici diocesane e i Consigli pastorali, qualche raro esperimento di Consiglio dei laici (a Teramo ha avuto 10 anni di vita con il compianto Vescovo Mons. Abele Conigli); c’è stata anche una Consulta nazionale dei laici, ma non un vero luogo nazionale rappresentativo di tutte le realtà laicali italiane, capace di elaborare opinioni condivise e responsabili da consegnare ai Vescovi. Non si può non essere d’accordo con quanto suggerisce Giorgio Campanini circa il “mancato decollo di un Consiglio dei Laici” e “un mancato approfondimento del concetto di collegialità”. Il testo di preparazione a Verona presenta: “Quattro domande, che declinano gli elementi indicati nel titolo del Convegno Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo: – Come Gesù Risorto rigenera la vita nella speranza? – Come la fede in Gesù Cristo, Crocifisso e Risorto, ci rende testimoni di speranza? – Come essere uomini e donne che testimoniano nella storia la speranza? – Come la speranza aiuta a comprendere e vivere le situazioni che maggiormente interpellano l’esistenza contemporanea?” (Ibidem). La proposta Campanini valorizza lo spirito della Traccia, quando sottolinea l’importanza dell’“impegno dei fedelicristiani, in particolare dei laici, per essere testimoni credibili del Risorto attraverso una vita rinnovata e capace di cambiare la storia” (p. 2). Il “Consiglio dei laici” potrebbe favorire la testimonianza di uno “stile credibile di vita, …. come novità capace di rispondere alle attese e alle speranze più profonde degli uomini d’oggi” (n. 1). Spesso, negli ultimi tempi, i laici cattolici sono stati presenti alla spicciolata, talvolta ritirati in difesa o chiusi in un sofferto silenzio. Non c’erano laici autorevoli e rappresentanti di tutto il laicato; ciascuno ha voluto crearsi uno spazio di risonanza personale, a volte in buona fede, altre volte per fini politici. Di fatto, i Vescovi hanno dovuto fare opera di supplenza, leggere i contesti politici, dare indicazioni che talvolta hanno offerto il pretesto alle proteste laiciste. Al fondo, quindi, c’è la necessità di ritrovare un tessuto comune: la politica, dopo la fine dell’unità dei cattolici, è stata spesso ragione di divisione degli stessi tirati da una parte e dall’altra, disorientati e spesso vittime di chi li ha voluti fratelli in Chiesa e nemici nei partiti. Gli appelli che da Palermo (1995) in poi si sono susseguiti, al fine di costruire tavoli di valori spendibili per tutte le appartenenze, hanno prodotto risultati generalmente insoddisfacenti, tranne che nel caso della astensione al referendum sulla Legge 40. Ma anche in quel caso la voce dei Vescovi ha dovuto precedere quella del laicato e di un Comitato ad hoc come “Scienza e vita”. C’è stato chi ha reagito rivendicando di essere “cristiano adulto”, che decide autonomamente, anche discostandosi dalla indicazione dei Vescovi, fornendo un cattivo esempio di relazione tra laici e vescovi. L’esigenza di una presenza più attiva del laicato nasce dal desiderio di evitare queste forme di confessione pub- E D I T O R I A L E Attilio Danese Verso Verona 2006: un “Senato dei laici?” blica di disunità e nello stesso tempo di potenziare l’“eserciziodella testimonianza come discernimento e ricerca di presenza significativa dei cristiani laici che sanno mettere a fuoco le situazioni oggi più rilevanti per la vita delle persone” (n. 1). La Traccia sembra dare ragione a Campanini anche quando ricorda: “La testimonianza da rendere a Cristo Risorto è pure oggi soggetta alla fatica e alla prova. Essa rischia, infatti, di essere percepita come un fatto privato senza rilievo pubblico, limitata ai rapporti corti e gratificanti all’interno di un gruppo; oppure di essere ridotta a una proclamazione di valori senza mostrare come la fede trasformi la vita concreta. Il cristiano diventa testimone del Signore vivendo e comunicando il Vangelo con gioia e con coraggio, sapendo che la verità del Vangelo viene incontro ai desideri più autentici dell’uomo. Egli deve tenere congiunti i due aspetti della testimonianza, quello personale e quello comunitario, quello che si esprime nell’investimento personale e quello che manifesta il rilievo pubblico della fede”. Un organismo di laici adulti e affidabili, in sintonia con i vescovi, potrebbe essere la risposta originale e valida a questa esigenza e offrire una chance da giocare proprio in occasione del Convegno di Verona e dopo. Un “Senato dei laici” si candida ad essere il luogo per permettere ai vescovi di parlare dei valori e dei principi guida del comportamento corretto dei cristiani tutti, mentre potrebbe rendere ragione del protagonismo dei laici nel cercare gli strumenti e le strategie più adatte per realizzarli. Alcuni vescovi potrebbero così evitare di dare l’impressione di fare scelte di parte e potrebbero inoltre contribuire a ricucire gli strappi tra cristiani appartenenti ai due poli. Il “tavolo dei valori della politica” è forse ancora difficile da realizzare, ma ci auguriamo che almeno dopo gli scontri inevitabili del momento delle elezioni possa essere più che un semplice auspicio. Con un’azione di supporto e di richiamo ai principi del Vangelo, i Vescovi possono aiutare i cristiani tutti a procedere nel “cammino di crescita e di responsabilità ricordando l’ammonimento paolino: “Anche noi possiamo camminare in una vita nuova” (Rm 6,4)” (n. 8). Come “Prospettiva Persona” raccogliamo l’appello di Campanini perchè non rimanga soltanto un’utopia. È necessario mettere in pratica quanto dice la Traccia: “ Le comunità cristiane dovranno essere attente a coltivare cristiani adulti, consapevoli e responsabili, capaci di dedizionee di fedeltà. Ce n’è urgente bisogno… La figura adulta della testimonianza è la “fede che opera per mezzodella carità” ( Gal 5, 6). … La testimonianza è la fede che diventa “corpo” e si fa storia nella condivisione e nell’amore. Vivere responsabilmente in questo mondo, fiduciosi nel Dio vivente, carichi di speranza nella novità che si è manifestata nel Risorto, disponibili all’azione creatrice dello Spirito, comporta una coscienza battesimale viva, PROSPETTIVA PERSONA 55/06 6 non data una volta per tutte, capace di costruire cammini e progetti di vita cristiana nuovi, affascinanti e coinvolgenti.” (n. 8). Domandiamoci perciò con la Traccia: “Come essere uomini e donne che testimoniano nella storia la speranza? L’interrogativo concerne il rapporto tra testimone e destinatario della testimonianza. “La testimonianza della speranza ha così l’insostituibile funzione di dare consistenza e stabilità all’identità consapevole dei fedeli, rendendoli capaci di essere protagonisti maturi della fede, cioè, a loro volta, testimoni per i fratelli e nel mondo” (n. 10). “Come la speranza aiuta a comprendere e vivere le situazioniche maggiormente interpellano l’esistenza contemporanea?” (n. 13). I laici cristiani adulti sono “resi uomini nuovi dallo Spirito, caparra del mondo futuro… essi si sentono però realmente e intimamente solidali con il genere umano e la sua storia (cfr Gaudium et spes, 1). Proprio attraverso la lettura dei segni dei tempi, che nei quarant’anni del dopo Concilio è stata un’attenzione viva della nostra Chiesa, si è cercato di superare la separazione tra coscienza cristiana e cultura moderna, favorendo un più stretto rapporto tra evangelizzazione e promozione umana” (n. 13). La Traccia sembra motivare ulteriormente la proposta del “Senato” con le parole di Paolo VI: “Il Vangelo, e quindi l’evangelizzazione, non si identificano certo con la cultura, e sono indipendenti rispetto a tutte le culture. Tuttavia il Regno che il Vangelo annunzia, è vissuto da uomini profondamente legati a una cultura, e la costruzione del Regno non può non avvalersi degli elementi della cultura e delle culture umane. Indipendenti di fronte alle culture, il Vangelo e l’evangelizzazione non sono necessariamente incompatibili con esse, ma sono capaci di impregnarle tutte, senza asservirsi ad alcuna” (Evangelii nuntiandi, 20)” (n. 13). In altri termini, in un Consiglio dei laici nazionale italiano potrebbero essere discusse le questioni sul tappeto, se di tipica competenza laicale, esaminate alla luce del Vangelo e preparate in proposte. “Si tratta – si legge ancora nella traccia –, più precisamente, di sviluppare una continua interconnessione tra la formazione cristiana e la vita quotidiana, tra i principi dell’antropologia cristiana e le decisioni etiche, tra la dottrina sociale cristiana e le scelte e i comportamenti, per cercare con libertà, con creatività e nel dialogo con le diverse espressioni culturali le iniziative più efficaci e le soluzioni appropriate” (n. 14). Se si va, infine, a vedere l’ultimo ambito del convegno di Verona, quello della cittadinanza, il discorso si commenta da solo: “Un ultimo ambito di riferimento è quello della cittadinanza, in cui si esprime la dimensione dell’appartenenza civile e sociale degli uomini. Tipica della cittadinanza è l’idea di un radicamento in una storia civile, dotata delle sue tradizioni e dei suoi persoPROSPETTIVA
PERSONA 55/06 naggi, e insieme il suo significato universale di civiltà politica”. Condividiamo a questo proposito quanto ha detto il presidente del MEIC Balduzzi all’assemblea del novembre 2005: “Ai pastori della Chiesa italiana credo dovremmo chiedere di proseguire con determinazione nella comunicazione serena e pacata di una concezione antropologica, attenti più ai valori che alle convenienze, senza pensare che esistano leggi di per sé intoccabili, stimolando la legittima autonomia della politica e dei laici cristiani illuminati dal Magistero nel compito di elaborare quelle non sempre facili soluzioni” (dal discorso di R. Balduzzi, assemblea del MEIC, novembre 2005). Proviamo a riprendere un altro documento che ci può confortare il n. 43 della Costituzione pastorale Gaudium etSpes: “Ai laici spettano propriamente, anche se non esclusivamente, gli impegni e le attività temporali. Quando essi, dunque, agiscono quali cittadini del mondo, sia individualmente sia associati, non solo rispetteranno le leggi proprie di ciascuna disciplina, ma si sforzeranno di acquistarsi una vera perizia in quei campi. Daranno volentieri la loro cooperazione a quanti mirano a identiche finalità. Nel rispetto delle esigenze della fede e ripieni della sua forza, escogitino senza tregua nuove iniziative, ove occorra, e le realizzino. Spetta alla loro coscienza, già convenientemente formata, di inscrivere la legge divina nella vita della città terrena. Dai sacerdoti i laici si aspettino luce e forza spirituale. Non pensino però che i loro pastori siano sempre esperti a tal punto che ad ogni nuovo problema che sorge, anche a quelli gravi, essi possano avere pronta una soluzione concreta o che proprio a questo li chiami la loro missione: assumano invece essi, piuttosto, la propria responsabilità, alla luce della sapienza cristiana e facendo attenzione rispettosa alla dottrina del Magistero”. Ai laici cattolici del 2006 si richiede una coscienza formata, il discernimento della gradualità dell’animazione della città terrena, la capacità di stare dentro il proprio status e di comprendere quello altrui. “Richiede – continua Balduzzi – la compresenza di coscienza e di ragione come mezzi di inveramento storico dei principi, di mediazione culturale. Richiede altresì l’esercizio di una laicità alta, sia in senso soggettivo (questo sforzo di mediazione culturale spetta non esclusivamente, ma “propriamente” ai laici), sia in senso oggettivo, come consapevolezza che tale lavoro di mediazione sta sotto il segno del relativo e non dell’assoluto, e dunque impone il dialogo, il parlarsi… Né vi sono ragioni per pensare che l’insegnamento di GS 43 sia stato superato: allora, esso costituisce uno dei sentieri interrotti che, ove ripreso con intelligente determinazione e senza indulgere a uno sterile rivendicazionismo (confondere con esso questo richiamo all’impegno laicale non aiuta, perché sposta il problema all’interno della comunità ecclesiale mentre questo è un problema che coniuga l’adintra e l’ad extra), può consentire ai cattolici e ai non cattolici una feconda e reciproca contaminazione per il bene comune” (Ibidem). La soggettività del laicato organizzato di cui parliamo è “civile”, non “politica”, nel senso che la sua traduzione in indirizzi parlamentari e governativi non è compito del soggetto che propone Campanini. “Invece che tra “politico” e “partitico”, come talvolta si usa fare, si è preferito distinguere tra “civile” e “politico”, intendendo con il primo termine il luogo di elaborazione di principi etici comuni applicati ai problemi della convivenza (in un’accezione non distante dal “prepolitico” nel senso di Habermas sopra richiamato) e con il secondo il luogo di traduzione degli stessi in indirizzi parlamentari e governativi” (Ibidem). Quanto alle procedure, ci pare che esse debbano assicurare, con trasparenza, l’apporto delle espressioni del laicato cattolico secondo una procedura di costruzione dal basso, espressione dei legami tra realtà già esistenti. AVerona il laicato cattolico – anche secondo Luigi Alici, presidente nazionale dell’Azione Cattolica italiana – è chiamato a fare un passo avanti, realizzando una “avanguardia profetica” in tutti i campi, compreso quello politico. Come ciliegina sulla torta nella direzione della proposta di Campanini, la “Deus Caritas est” recita: “Il compito immediato di operare per un giusto ordine nella società è invece proprio dei fedeli laici. Come cittadini dello Stato, essi sono chiamati a partecipare in prima persona alla vita pubblica. Non possono pertanto abdicare “ alla molteplice e svariata azione economica, sociale, legislativa, amministrativa e culturale, destinata a promuovere organicamente e istituzionalmente il bene comune”. Missione dei fedeli laici è pertanto di configurare rettamente la vita sociale, rispettandone la legittima autonomia e cooperando con gli altri cittadini, secondo le rispettive competenze e sotto la propria responsabilità Anche se le espressioni specifiche della carità ecclesiale non possono mai confondersi con l’attività dello Stato, resta tuttavia vero che la carità deve animare l’intera esistenza dei fedeli laici e quindi anche la loro attività politica, vissuta come “ carità sociale ” (Deus caritas est, n. 29). Non resta che il coraggio di tradurre i principi in istituzioni concrete, consapevoli dei limiti e dei possibili rischi, ma non bloccati nel tentativo di dare voce pubblica e ufficiale all’anima laicale dell’unica Chiesa. 1 Traccia, n.1, in http://www.chiesacattolica.it/pls/cci_new/consultazione. mostra_pagina?id_pagina=2938. NOTE PROSPETTIVA PERSONA 55/06
Dall’articolo di Giorgio Campanini Verso Verona 2006. Un senato laicale nella Chiesa italiana?, in Aggiornamenti sociali, n. 11 (2005), pp 703-712 Rischi e opportunità dì una innovazione …Sullo sfondo rapidamente tracciato non sembra inopportuno riprendere l’indicazione conciliare circa un Consiglio dei laici, almeno per valutarne insieme le opportunità e i rischi, evitando un puro e semplice accantonamento di questa pur autorevolissima proposta. Ciò nella consapevolezza che tanto più forte sarà il senso dell’appartenenza ecclesiale dei laici se essi,a tutti i livelli, si sentiranno coinvolti nei procedimenti decisionali e di essi saranno partecipi. Troppo spesso i fedeli si sentono estranei rispetto a una comunità cristiana alla quale pur aderiscono, nella quale si riconoscono, cui appartengono, ma che sembra talora considerarli come semplici e passivi esecutori di decisioni che calano dall’alto. Leggere sui giornali il nome del proprio vescovo, spesso sconosciuto perché venuto da lontano; apprendere dalla televisione quali saranno le scelte decennali della Chiesa italiana; sapere a pubblicazione ormai avvenuta quale sarà il “piano pastorale” cui tutti dovranno attenersi nell’anno che inizia, e così via: questa mancanza di consultazione previa, di dialogo, di riflessione comune sulle vie da seguire in vista della nuova evangelizzazione non favorisce l’attiva partecipazione dei fedeli alla vita della Chiesa. La Chiesa rischia di essere avvertita come una realtà astratta e lontana. La creazione di un organismo di rappresentanza laicale non sarebbe certamente il toccasana per questo insieme di problemi, ma rappresenterebbe un importante segnale di partecipazione: anche perché dovrebbe inevitabilmente seguire la vitalizzazione dei Consigli pastorali diocesani che pure soffrono di una generale crisi di partecipazione, dato che dovrebbe essere metodologia normale quella del raccordo tra Consiglio nazionale e Consigli diocesani (ed eventualmente regionali) in vista delle decisioni da adottare, delle metodologie da proporre, delle priorità da individuare in modo da offrire alla Conferenza episcopale, ultima istanza decisionale, utili materiali di riflessione.
a) Possibili rischi Accanto alle opportunità, inevitabilmente, non mancano i rischi: anche con essi occorre confrontarsi per potersi muovere nella giusta direzione. Il primo rischio è quello di dar vita a uno strumento puramente formale (al limite, burocratico),simile a non pochi altri di cui è dotata la comunità ecclesiale (e la stessa società civile). Perché questa eventualità non si avveri saranno importanti, da un lato la qualità delle persone che saranno chiamatea farne parte (e la loro capacità di autentica parres?a, o libertà e franchezza di parola, oltre le tentazioni del piatto conformismo o della permanente conflittualità), dall’altro la convinta fiducia dell’Assemblea dei vescovi (ultima istanza decisionale) in questo organismo, ricorrentemente richiesto di collaborazione e tenuto in attenta considerazione nelle sue indicazioni e proposte. Il secondo rischio è quello dell’esplosione di una conflittualità, occulta palese, tra Consigliodei laici ed episcopato. Se i suggerimenti e le indicazioni del primo venissero sistematicamente elusi o ignorati e se venisse meno un effettivo dialogo, si offrirebbe lo spettacolo, non edificante, di una Chiesa divisa al suo interno con tensioni che inevitabilmente si trasferirebbero nel corpo ecclesiale. Ecco perché avviare un Consiglio nazionale dei laici implica grande senso di responsabilità, tanto da parte dei laici che ne faranno parte quanto dei pastori che lo promuoveranno e si avvarranno della sua consulenza. Un terzo pericolo è che il Consiglio dei laici diventi semplicemente la “cassa di risonanza”degli orientamenti e delle indicazioni dei vescovi (come talora accade per gli stessi Consigli pastorali), al di fuori di ogni novità e originalità di proposta e con l’accentuazione della tendenza non di rado presente in Italia, a un piatto conformismo ecclesiale (le voci critiche, pur se dettate da appassionato amore alla Chiesa, sembrano non avere buona udienza in taluni ambienti ecclesiastici). In tale ipotesi, l’organismo a poco o a nulla servirebbe perché non rifletterebbe la varietà e complessità di un corpo ecclesiale che esprime esigenze e istanze non sempre adeguatamente recepite e raccolte dall’episcopato.
b) Nuove opportunità Dopo questa doverosa messa in guardia conviene tuttavia mettere in evidenza anche le nuove opportunità che un Consiglio dei laici italiano potrebbe offrire. Il primo dato positivo sarebbe quello di una minore esposizione dell’episcopato. Per riferirsi alla recente, e già ricordata, vicenda del referendum sulla legge circa la procreazione assistita, certamente minori sarebbero state le critiche in merito alla posizione assunta dalla Chiesa italiana se la decisione dell’astensione dal voto fosse stata adottata, e ben motivata, da un autorevole e rappresentativo organismo laicale, piuttosto che assunta, quasi in solitudine, dall’episcopato. E prevedibile che in futuro occasioni di questo genere si moltiplicheranno e numerosi saranno i temi su cui i cristiani che sono in Italia dovrebbero avere una autorevole parola da dire attraverso un loro organismo specifico, piuttosto che identificarsi puramente e semplicemente con la Conferenza episcopale. Un secondo aspetto positivo può essere rappresentato dalla funzione esercitata dal Consiglio dei laici come strumento che consentirebbe all’episcopato, e a tutta la Chiesa italiana, di avere una maggiore conoscenza della realtà delle cose, entro e fuori la Chiesa. I vescovi e i loro collaboratori sono certo attenti alla realtà sociale; ma gran parte delle conoscenze relative a questa proviene da un entourage prevalentemente presbiterale, con il rischio che altre voci – soprattutto le voci problematiche, o anche critiche, seppur sanamente ed evangelicamente critiche – vengano lasciate fuori della porta. Comprendere quali siano le esigenze, le attese, le istanze del popolo di Dio non è facile; ma sforzarsi di calarsi più a fondo nella realtà è necessario, per l’efficacia stessa dell’azione pastorale. Ancora, la collaborazione con il Consiglio dei laici consentirebbe all’episcopato di disporre di un utile strumento dì consultazione in ordine alla elaborazione dei documenti periodicamente pubblicati dalla CEI, sia per quanto riguarda le priorità pastorali, e dunque i contenuti, sia per quanto concerne il linguaggio dei documenti stessi. Infine, la costituzione di un Consiglio dei laici italiano consentirebbe alla cattolicità italiana di disporre di un interlocutore non puramente gerarchico- ecclesiastico nei vari organismi sia pontifici sia internazionali (soprattutto in ambito ecumenico), ove il nostro Paese è raramente rappresentato da personalità laicali. Si verrebbe inoltre a colmare il vuoto di rappresentanza in non pochi i organismi internazionali ecumenici in cui i vescovi non sempre possono essere presenti. Anche i rapporti con vicine realtà ecclesiali di altri Paesi, dalle Semaines sociales di Francia ai Katholikentagen tedeschi, verrebbero favoriti, e resi più organici, da un preciso collegameneto con un organo di rappresentanza per così dire ufficiale del laicato italiano.
Alcune Indicazioni operative Compiti, strutture, modalità di lavoro dell’auspicato Consiglio dei laici italiano non possono essere in questa sede indicati né tanto meno definiti: non potranno che essere il risultato della riflessione di un apposito gruppo di lavoro da costituirsi sotto gli auspici della Conferenza Episcopale Italiana e del suo organo specifico, la Commissione Episcopale per il Laicato, ovviamente con una qualificata presenza laicale. Sia consentito tuttavia, in questa sede, prospettare alcune linee di fondo cui potrebbe ispirarsi il futuro Statuto di questo organismo. Per quanto riguarda i suoi compiti e responsabilità – ribadite alcune indicazioni generali sul ruolo e le responsabilità dell’intero popolo di Dio nella missione della Chiesa, nella linea della costituzione dogmatica Lumen gentiumdel Concilio Vaticano II – si dovrebbe mettere in evidenza la sua funzione di organo di consultazione permanente dell’episcopato; quella di rappresentanza del laicato italiano negli organismi internazionali, nei vari organismi pontifici, nelle assise internazionali dei cattolici; quella della pubblicazione di note e di documenti su temi di attualità ecclesiale e sociale. Circa la composizione del Consiglio, esso dovrebbe essere costituito da un numero non troppo elevato di componenti (ad esempio cento, un terzo almeno dei quali costituito da donne), dei quali una metà eletta, su base regionale, dai Consigli pastorali diocesani con rappresentnanza proporzionale in relazione alla popolazione cattolica residente. La rimanente metà potrebbe essere costituita per una parte dai rappresentanti designati dai movimenti e associazioni riconosciuti dalla Chiesa e per l’altra parte da membri designati dalla Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana, sia sulla base della rappresentanza di imprtanti realtà ecclesiali (dal Comitato permanente delle Settimane sociali dei cattolici italiani ai rettore protempore delle istituzioni universitarie cattoliche), sia mediante l’individuazione di credenti, uomini e donne, che abbiano acquisito particolari competenze e benemerenze in ambito scientifico, artistico, sociale, umanitario e così via. Attraverso quest’ultimo canale potrebbero essere inserite nel Consiglio personalità di particolare prestigio e autorevolezza. Un Consulente e un vice-consulente ecclesiastici (augurabilmente vescovi) potrebbero garantire il costante raccordo con la Conferenza episcopale. Il Consiglio designerebbe al proprio interno il Presidente e le varie cariche e funzionerebbe secondo il consueto modello degli organi collegiali, alternando sessioni plenarie e incontri di gruppi di lavoro. Alle spese di funzionamento si dovrebbbe provvedere in parte attraverso contributi delle Chiese locali, in parte attraverso un apposito capitolo del bilancio della CEI, ma con la possibilità di fare appello direttamente al laicato cattolico attraverso un’apposita “Giornata nazionale”. Uno stile di estrema semplicità e sobrietà dovrebbe comunque caratterizzare la vita e l’attività del Consiglio. Nell’elaborazione dello Statuto sarà assai utile tenere conto delle norme regolative e dell’esperienza stessa di consimili organismi laicali operanti in diversi Paesi, soprattutto europei. |