22 agosto 2008. Trent’anni dalla morte di Silone

Percorsi di una coscienza inquieta: Silone l’uomo e lo scrittore

Attilio Danese e Giulia Paola Di Nicola 

 E’ un segno di vitalità il fatto che non si spenga l’attenzione sui tanti “casi” e le tante “uscite di sicurezza” di Ignazio Silone, specie  nel momento celebrativo dei trent’anni dalla morte. Si vogliono forse ancora prendere le distanze da questo personaggio scomodo che nel giro di pochi giorni la Maraini lo definisce  “donchisciottesco”, Teodori lo rivendica come “anticomunista”  e “difensore della libertà della cultura”(cf “Corriere della sera“ dell’11 agosto e del 19 agosto 2008), mentre lo scrittore R. Paris ritira le ingiallite carte di Biocca e Canali del “Silone Spia” ( “Il Centro” del 21 agosto)?

Vorremmo che Silone fosse letto e non fosse solo oggetto di dibattiti. Occorre accostarsi al personaggio Silone in continua filigrana con i suoi scritti, da considerare (come voleva Geno Pampaloni) “materia autobiografica”. Se un romanzo non può essere confuso con una autobiografia, per altri versi Silone stesso ha voluto indicare i suoi scritti come la fonte più veritiera per conoscerlo. In Uscita di sicurezza, accennando al nichilismo degli scrittori suicidi, egli ha chiesto ai lettori: «  “Le vicende degli autori hanno meno importanza dei loro libri”? “Non credo”».

Avendo illustrato il suo coraggio e il suo lucido messaggio in Congressi internazionali come a Madrid, Ouagadogou (Burkina Faso), Rio de Janeiro, Buenos Aires, Cotonou  (Benin) dal 2005 ad oggi, possiamo testimoniare l’interesse che il nostro scrittore suscita specie in studiosi  che si trovano oggi in circostanze storiche simili a quelle da lui vissute. Il respiro internazionale conferma l’apprezzamento dei lettori delle sue opere e l’interesse per tradurre ancora oggi  i romanzi o di studiosi e ricercatori meno “targati” di quelli più provinciali  e condizionati dalle contrapposizioni ideologiche ancora forti nel nostro paese.  

Come possiamo dimenticare lo sconcerto suscitato tempo addietro dall’accusa di “Silone-spia”? (Per evitare di farne un “santino” c’è il rischio di  infangare ancora Silone?)  All’estero come possono capire  l’attenzione dedicata dai nostri mass-media a simili polemiche? Anche per noi abruzzesi  il “caso politico” di Silone non può essere affrontato se non nell’intreccio con quello umano e letterario. Intrigano non solo il rifiuto del fascismo e l’adesione prima e l’abbandono poi del comunismo, ma anche la sua vicenda affettiva (quali i reali rapporti con Gabriella Seidenfeld, con Aline Valangin e con Darina Silone?), nonché la travagliata tensione verso un cristianesimo non clericale o piuttosto verso una laicità intrisa di spiritualità evangelica (come giustamente sostenuto da Lanfranco Di Mario su “Il Centro” del 20 agosto 2008), tutti aspetti che costituiscono un richiamo irresistibile per i giovani. Ai laici piace la sua ricerca senza le frontiere di Dio. Ai cristiani scontenti e critici la sua indipendenza. Agli anticlericali la sua scelta di restare fuori della Chiesa (ma la Maraini ad es. cita – estrapolando – solo due brani a conferma). Durante il periodo della guerra fredda, Silone rappresentava il simbolo vivente dell’anticomunismo ci ripete Teodori. Ma è vero anche che era giudicato un “miscredente” dai cattolici conservatori e un “rinnegato”  dai comunisti e dai loro alleati. Sul fronte letterario non è andata meglio: osannato dai lettori e guardato con sospetto dalla critica per la sua scrittura non conforme alle regole del bello scrivere.

 E’ possibile oggi a trent’anni dalla morte un accostamento più sereno e distaccato a questo autore, magari posizionandosi in sintonia con gli studiosi dell’Africa o nel Nord e nel Sud America, oppure bisognerà attendere ancora a lungo prima di vedere i giovani con i mano i testi di Silone? E’ possibile non considerarlo solo un letterato ma cominciare ad annoverarlo tra i filosofi della politica ( giustamente Teodori ha ricordato La scuola dei dittatori e  Der Fascismus)?

Allo stato attuale le ricerche serie non consentono conclusioni univoche su un autore che resta “notturno” solo se non si leggono i suoi scritti. E’ chiaro che occorre scavare dentro la sua «dimensione segreta», cercando di ricollegare le sue aspirazioni e la sua scrittura agli scenari politici e culturali del Novecento e alle sue plurali dimensioni esistenziali, passate per il vaglio di vicende tormentate e particolarmente complesse  sul piano personale, familiare, religioso, sociale e politico: l’emigrazione e la precoce morte del padre, il terremoto e la morte della madre, il vagare da un istituto all’altro, l’incontro con don Orione, la scelta della “piazza” piuttosto che della sagrestia, il rapporto con i cafoni e la politica, le relazioni affettive..

Nel nostro “Percorsi di una coscienza inquieta” (Fond. Silone, L’Aquila 2006) abbiamo trovato la sua persona affascinante, inquieta e inquietante, a cavallo tra passione (sia nel senso di totale trasporto che di interiore e sofferta lacerazione) e follia, come totale distacco dalla valutazione degli effetti delle sue posizioni e delle sue azioni. Nel Confiteor, come ha ricordato Vittoriano Esposito,  egli  ha detto di voler scrivere “a donne, a uomini inquieti, disposti anch’essi a riflettere”.  Il fatto che tanti uomini e donne l’abbiano letto e continuino a dare credito alla sua prosa e alla sua persona è un documento da inserire anch’esso nella tradizione che invera la storia.

Troppo spesso invece si indugia su aspetti letterari e commemorativi, come nelle pure importanti annuali celebrazioni di Pescina e durante i Premi “Silone”. A nostro avviso, non basta il solo scavare negli archivi per risolvere un problema storico e lasciare Silone come un autore di provincia. Vorremo che l’attenzione principale si rivolgesse a suscitare nei giovani il gusto di leggere i romanzi di un autore, tradotto in molte lingue quando era ancora vivo, per entrare così nel suo mondo assetato di giustizia, di verità, di fraternità.

Per ritrovare il rapporto personale con l’uomo e con lo scrittore, passando attraverso i meandri della sua anima tormentata, “allo sbaraglio” in un contesto europeo dilacerato dalle guerre occorre “volare alto” in una dimensione europea e internazionale. S’incontra così la sua radicata sensibilità cristiana, rafforzata nell’adolescenza dall’incontro con Don Orione e nello stesso tempo la decisa scelta di laicità. Silone era convinto che dentro o fuori della Chiesa, Dio offrisse a tutti la possibilità di ricevere la Grazia gratis data. In una lettera scrittaci da Darina Laracy Silone  si legge: «Silone (come Simone Weil d’altro canto, al pensiero della quale si legò molto dopo che nel ’50 gli regalai Attente de Dieu) sarebbe stato un uomo “extra moenia”, fuori dalle mura, che non significa  però ‘fuori dalla chiesa’ ma ‘dentro una chiesa più grande, quella delle coscienze, dell’autentica ed universale fraternità, il “Cristo più grande della Chiesa”….»[1].Ciò che Silone ha scritto non può che nascere da un’avventura umana maturata nel dolore. Silone sa che la sua ricerca, come uomo e come naturaliter cristiano, rimane aperta, che ad una certa età l’importante è soprattutto rifiutare la menzogna dell’utopia, del successo ad ogni costo, dei richiami fascinosi e ingannatori della cultura postmoderna dell’effimero. Molte delle antinomie che egli ha vissuto e consegnato ai lettori restano irrisolte e insolubili. Eppure, leggendo le lettere, i passaggi più “autobiografici” dei suoi libri, le confessioni agli amici o a se stesso (come nel caso del suo “Confiteor”), i lettori confermano il percorso di maturità di Silone nell’approfondimento delle grandi verità dell’umanesimo e del cristianesimo, laddove i due filoni si toccano e si perfezionano a vicenda: «La regola cristiana del riconoscersi nell’altro – ha scritto Silone nel 1972  è certo uno dei valori fondamentali della vita, forse non il solo né l’estremo, ma è uno di quei valori visibili: insomma è già una risposta, non è solo una domanda. Mi attengo a quel valore: già per mia natura io non odiai nessuno, non odiai Mussolini pur combattendolo e non odiai Togliatti che mi combattè. Ma ora, con l’età avanzata, vado sempre più avvicinandomi a una comprensione per tutti, e forse è già un traguardo intermedio. Si acquista con gli anni e col dolore. Meditandovi su, naturalmente; poiché non basta sommare anni e dolore». 

Giulia Paola Di Nicola e Attilio Danese, condirettori della rivista “Prospettiva Persona”, autori del volume Ignazio Silone. Percorsi di una coscienza inquieta, Fond. Silone, L’Aquila 2006.


[1]  Darina Laracy Silone, Lettera  ai direttori di “Prospettiva Persona”, in Attilio Danese (a cura di), Laicità e religiosità in Ignazio Silone, cit, 9. L’espressione “Cristo è più grande della Chiesa “si ritrova in APC, 564. La lettura di Attente de Dieu è per Silone la scoperta di una figura femminile limpida e profonda nonché la scoperta di un’affinità misteriosa come confesserà in un articolo del 1963 pubblicato su «Témoins» (si veda O. Gurgo – F. de Core, op. cit., 398).