25 Maggio 2023
La singolare chiamata di Maria e Giuseppe a vivere come vergini e come sposi per molti suona antiquata. Si comprende come possa essere incompresa perché non paradigmatica per gli sposi. Neanche però la si dovrebbe ritenere insensata e relegabile ai miti.
Nella cultura ebraica la dimensione erotico-sessuale era libera da visioni negative e sessuofobiche, quali si possono trovare nella letteratura patristica. Quel che contava per un israelita era la fedeltà all’alleanza e ai precetti della legge. Nel Decalogo si comandava solo di «non commettere adulterio» (Es 20,14), benché non mancassero restrizioni che proibivano rapporti incestuosi tra parenti, con persone dello stesso sesso, con le donne nel periodo mestruale, moglie inclusa (cf Lev 18, 7-20 ), fino alla sua purificazione. I rapporti sessuali erano parte integrante di un’antropologia creazionale: Dio aveva considerato tutto “molto buono”, compreso il piacere. La bellezza dei corpi – non divinizzati né demonizzati – suggeriva la legittimità dell’eros. Per di più, la letteratura profetica si serviva di immagini erotiche per descrivere il rapporto tra Dio e Israele. In particolare il famoso Cantico dei cantici che, con richiami allegorici, si soffermava proprio sull’esperienza di due amanti e sulla reciproca attrazione dei corpi maschile e femminile. L’unione sessuale era considerata capace di attirare la divina presenza, Shekinah, e donare fecondità.