Verso Verona 2006: Un senato dei laici? di Attilio Danese

 

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PROSPETTIVA PERSONA

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La singolare proposta lanciata da Giorgio Campanini

per costituire un “Senato nazionale dei laici cattolici in

Italia” sembra raccogliere consensi. I possibili vantaggi

di un tale organismo superano i rischi e le fragilità degli

aspetti più problematici: i laici potrebbero essere responsabilizzati

e dire una opinione autorevole quando la situazione

lo richiede e i vescovi potrebbero avvantaggiarsi

di un organismo di consultazione sulle questioni politiche

e sociali, che li metterebbe al riparo dall’accusa di intromissione,

senza con ciò abdicare al compito magisteriale

di indicare la retta interpretazione del Vangelo e della

tradizione della dottrina sociale cristiana.

In questo editoriale rintracciamo conferme dottrinali

al progetto sulla base della Traccia in preparazione di Verona,

del Concilio e della Deus caritas est.

Aquarant’anni dal Concilio molti avrebbero auspicato

un’attuazione più significativa del cambiamento. In particolare

nell’ambito del laicato cattolico, si era sperato in

una maggiore presenza e responsabilità, sostenute dalle

affermazioni dell’Apostolicam actuositatem e dalle indicazioni

seguenti dei documenti del magistero. Non sono

mancate le Consulte dei laici diocesane e i Consigli pastorali,

qualche raro esperimento di Consiglio dei laici (a

Teramo ha avuto 10 anni di vita con il compianto Vescovo

Mons. Abele Conigli); c’è stata anche una Consulta nazionale

dei laici, ma non un vero luogo nazionale rappresentativo

di tutte le realtà laicali italiane, capace di elaborare

opinioni condivise e responsabili da consegnare ai

Vescovi.

Non si può non essere d’accordo con quanto suggerisce

Giorgio Campanini circa il “mancato decollo di un

Consiglio dei Laici” e “un mancato approfondimento del

concetto di collegialità”.

Il testo di preparazione a Verona presenta: “Quattro domande,

che declinano gli elementi indicati nel titolo del

Convegno Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo:

– Come Gesù Risorto rigenera la vita nella speranza?

– Come la fede in Gesù Cristo, Crocifisso e Risorto, ci rende

testimoni di speranza?

– Come essere uomini e donne che testimoniano nella storia

la speranza?

– Come la speranza aiuta a comprendere e vivere le situazioni

che maggiormente interpellano l’esistenza contemporanea?”

(Ibidem).

La proposta Campanini valorizza lo spirito della Traccia,

quando sottolinea l’importanza dell’“impegno dei fedelicristiani, in particolare dei laici, per essere testimoni

credibili del Risorto attraverso una vita rinnovata e capace

di cambiare la storia” (p. 2).

Il “Consiglio dei laici” potrebbe favorire la testimonianza

di uno “stile credibile di vita, …. come novità capace

di rispondere alle attese e alle speranze più profonde

degli uomini d’oggi” (n. 1).

Spesso, negli ultimi tempi, i laici cattolici sono stati

presenti alla spicciolata, talvolta ritirati in difesa o chiusi

in un sofferto silenzio. Non c’erano laici autorevoli e rappresentanti

di tutto il laicato; ciascuno ha voluto crearsi

uno spazio di risonanza personale, a volte in buona fede,

altre volte per fini politici. Di fatto, i Vescovi hanno dovuto

fare opera di supplenza, leggere i contesti politici, dare

indicazioni che talvolta hanno offerto il pretesto alle proteste

laiciste.

Al fondo, quindi, c’è la necessità di ritrovare un tessuto

comune: la politica, dopo la fine dell’unità dei cattolici,

è stata spesso ragione di divisione degli stessi tirati da una

parte e dall’altra, disorientati e spesso vittime di chi li ha

voluti fratelli in Chiesa e nemici nei partiti. Gli appelli che

da Palermo (1995) in poi si sono susseguiti, al fine di costruire

tavoli di valori spendibili per tutte le appartenenze,

hanno prodotto risultati generalmente insoddisfacenti,

tranne che nel caso della astensione al referendum sulla

Legge 40. Ma anche in quel caso la voce dei Vescovi ha

dovuto precedere quella del laicato e di un Comitato ad

hoc come “Scienza e vita”. C’è stato chi ha reagito rivendicando

di essere “cristiano adulto”, che decide autonomamente,

anche discostandosi dalla indicazione dei Vescovi,

fornendo un cattivo esempio di relazione tra laici e

vescovi.

L’esigenza di una presenza più attiva del laicato nasce

dal desiderio di evitare queste forme di confessione pub-

E D I T O R I A L E

Attilio Danese

Verso Verona 2006:

un “Senato dei laici?”

blica di disunità e nello stesso tempo di potenziare l’“eserciziodella testimonianza come discernimento e ricerca di

presenza significativa dei cristiani laici che sanno mettere

a fuoco le situazioni oggi più rilevanti per la vita delle persone”

(n. 1).

La Traccia sembra dare ragione a Campanini anche

quando ricorda: “La testimonianza da rendere a Cristo Risorto

è pure oggi soggetta alla fatica e alla prova. Essa rischia,

infatti, di essere percepita come un fatto privato

senza rilievo pubblico, limitata ai rapporti corti e gratificanti

all’interno di un gruppo; oppure di essere ridotta a

una proclamazione di valori senza mostrare come la fede

trasformi la vita concreta. Il cristiano diventa testimone

del Signore vivendo e comunicando il Vangelo con gioia

e con coraggio, sapendo che la verità del Vangelo viene incontro

ai desideri più autentici dell’uomo. Egli deve tenere

congiunti i due aspetti della testimonianza, quello personale

e quello comunitario, quello che si esprime nell’investimento

personale e quello che manifesta il rilievo

pubblico della fede”.

Un organismo di laici adulti e affidabili, in sintonia con

i vescovi, potrebbe essere la risposta originale e valida a

questa esigenza e offrire una chance da giocare proprio in

occasione del Convegno di Verona e dopo. Un “Senato dei

laici” si candida ad essere il luogo per permettere ai vescovi

di parlare dei valori e dei principi guida del comportamento

corretto dei cristiani tutti, mentre potrebbe

rendere ragione del protagonismo dei laici nel cercare gli

strumenti e le strategie più adatte per realizzarli. Alcuni

vescovi potrebbero così evitare di dare l’impressione di

fare scelte di parte e potrebbero inoltre contribuire a ricucire

gli strappi tra cristiani appartenenti ai due poli. Il “tavolo

dei valori della politica” è forse ancora difficile da

realizzare, ma ci auguriamo che almeno dopo gli scontri

inevitabili del momento delle elezioni possa essere più che

un semplice auspicio.

Con un’azione di supporto e di richiamo ai principi del

Vangelo, i Vescovi possono aiutare i cristiani tutti a procedere

nel “cammino di crescita e di responsabilità ricordando

l’ammonimento paolino: “Anche noi possiamo

camminare in una vita nuova” (Rm 6,4)” (n. 8).

Come “Prospettiva Persona” raccogliamo l’appello di

Campanini perchè non rimanga soltanto un’utopia. È necessario

mettere in pratica quanto dice la Traccia: “ Le comunità

cristiane dovranno essere attente a coltivare cristiani

adulti, consapevoli e responsabili, capaci di dedizionee di fedeltà. Ce n’è urgente bisogno… La

figura

adulta della testimonianza è la “fede che opera per mezzodella carità” (

Gal 5, 6). … La testimonianza è la fede che

diventa “corpo” e si fa storia nella condivisione e nell’amore.

Vivere responsabilmente in questo mondo, fiduciosi

nel Dio vivente, carichi di speranza nella novità che si è

manifestata nel Risorto, disponibili all’azione creatrice

dello Spirito, comporta una coscienza battesimale viva,

PROSPETTIVA PERSONA

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non data una volta per tutte, capace di costruire cammini

e progetti di vita cristiana nuovi, affascinanti e coinvolgenti.”

(n. 8).

Domandiamoci perciò con la Traccia: “Come essere

uomini e donne che testimoniano nella storia la speranza?

L’interrogativo concerne il rapporto tra testimone e destinatario

della testimonianza. “La testimonianza della speranza

ha così l’insostituibile funzione di dare consistenza

e stabilità all’identità consapevole dei fedeli, rendendoli

capaci di essere protagonisti maturi della fede, cioè, a loro

volta, testimoni per i fratelli e nel mondo” (n. 10).

Come la speranza aiuta a comprendere e vivere le situazioniche maggiormente interpellano l’esistenza contemporanea?

(n. 13).

I laici cristiani adulti sono “resi uomini nuovi dallo Spirito,

caparra del mondo futuro… essi si sentono però realmente

e intimamente solidali con il genere umano e la sua

storia (cfr Gaudium et spes, 1). Proprio attraverso la lettura

dei segni dei tempi, che nei quarant’anni del dopo Concilio

è stata un’attenzione viva della nostra Chiesa, si è

cercato di superare la separazione tra coscienza cristiana e

cultura moderna, favorendo un più stretto rapporto tra

evangelizzazione e promozione umana” (n. 13).

La Traccia sembra motivare ulteriormente la proposta

del “Senato” con le parole di Paolo VI: “Il Vangelo, e

quindi l’evangelizzazione, non si identificano certo con la

cultura, e sono indipendenti rispetto a tutte le culture. Tuttavia

il Regno che il Vangelo annunzia, è vissuto da uomini

profondamente legati a una cultura, e la costruzione

del Regno non può non avvalersi degli elementi della cultura

e delle culture umane. Indipendenti di fronte alle culture,

il Vangelo e l’evangelizzazione non sono necessariamente

incompatibili con esse, ma sono capaci di impregnarle

tutte, senza asservirsi ad alcuna” (Evangelii nuntiandi,

20)” (n. 13).

In altri termini, in un Consiglio dei laici nazionale italiano

potrebbero essere discusse le questioni sul tappeto,

se di tipica competenza laicale, esaminate alla luce del

Vangelo e preparate in proposte.

“Si tratta – si legge ancora nella traccia –, più precisamente,

di sviluppare una continua interconnessione tra la

formazione cristiana e la vita quotidiana, tra i principi dell’antropologia

cristiana e le decisioni etiche, tra la dottrina

sociale cristiana e le scelte e i comportamenti, per cercare

con libertà, con creatività e nel dialogo con le diverse

espressioni culturali le iniziative più efficaci e le soluzioni

appropriate” (n. 14).

Se si va, infine, a vedere l’ultimo ambito del convegno

di Verona, quello della cittadinanza, il discorso si

commenta da solo: “Un ultimo ambito di riferimento è

quello della cittadinanza, in cui si esprime la dimensione

dell’appartenenza civile e sociale degli uomini. Tipica

della cittadinanza è l’idea di un radicamento in una

storia civile, dotata delle sue tradizioni e dei suoi persoPROSPETTIVA

PERSONA

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naggi, e insieme il suo significato universale di civiltà

politica”.

Condividiamo a questo proposito quanto ha detto il

presidente del MEIC Balduzzi all’assemblea del novembre

2005: “Ai pastori della Chiesa italiana credo dovremmo

chiedere di proseguire con determinazione nella comunicazione

serena e pacata di una concezione antropologica,

attenti più ai valori che alle convenienze, senza

pensare che esistano leggi di per sé intoccabili, stimolando

la legittima autonomia della politica e dei laici cristiani

illuminati dal Magistero nel compito di elaborare quelle

non sempre facili soluzioni” (dal discorso di R. Balduzzi,

assemblea del MEIC, novembre 2005).

Proviamo a riprendere un altro documento che ci può

confortare il n. 43 della Costituzione pastorale Gaudium etSpes: “Ai laici spettano propriamente, anche se non esclusivamente,

gli impegni e le attività temporali. Quando essi,

dunque, agiscono quali cittadini del mondo, sia individualmente

sia associati, non solo rispetteranno le leggi

proprie di ciascuna disciplina, ma si sforzeranno di acquistarsi

una vera perizia in quei campi. Daranno volentieri la

loro cooperazione a quanti mirano a identiche finalità. Nel

rispetto delle esigenze della fede e ripieni della sua forza,

escogitino senza tregua nuove iniziative, ove occorra, e le

realizzino. Spetta alla loro coscienza, già convenientemente

formata, di inscrivere la legge divina nella vita della

città terrena. Dai sacerdoti i laici si aspettino luce e forza

spirituale. Non pensino però che i loro pastori siano

sempre esperti a tal punto che ad ogni nuovo problema

che sorge, anche a quelli gravi, essi possano avere pronta

una soluzione concreta o che proprio a questo li chiami la

loro missione: assumano invece essi, piuttosto, la propria

responsabilità, alla luce della sapienza cristiana e facendo

attenzione rispettosa alla dottrina del Magistero”.

Ai laici cattolici del 2006 si richiede una coscienza formata,

il discernimento della gradualità dell’animazione

della città terrena, la capacità di stare dentro il proprio status

e di comprendere quello altrui. “Richiede – continua

Balduzzi – la compresenza di coscienza e di ragione come

mezzi di inveramento storico dei principi, di mediazione

culturale. Richiede altresì l’esercizio di una laicità alta, sia

in senso soggettivo (questo sforzo di mediazione culturale

spetta non esclusivamente, ma “propriamente” ai laici),

sia in senso oggettivo, come consapevolezza che tale lavoro

di mediazione sta sotto il segno del relativo e non

dell’assoluto, e dunque impone il dialogo, il parlarsi… Né

vi sono ragioni per pensare che l’insegnamento di GS 43

sia stato superato: allora, esso costituisce uno dei sentieri

interrotti che, ove ripreso con intelligente determinazione

e senza indulgere a uno sterile rivendicazionismo (confondere

con esso questo richiamo all’impegno laicale non

aiuta, perché sposta il problema all’interno della comunità

ecclesiale mentre questo è un problema che coniuga l’adintra e l’ad extra), può consentire ai cattolici e ai non cattolici

una feconda e reciproca contaminazione per il bene

comune” (Ibidem).

La soggettività del laicato organizzato di cui parliamo

è “civile”, non “politica”, nel senso che la sua traduzione

in indirizzi parlamentari e governativi non è compito

del soggetto che propone Campanini. “Invece che tra

“politico” e “partitico”, come talvolta si usa fare, si è preferito

distinguere tra “civile” e “politico”, intendendo

con il primo termine il luogo di elaborazione di principi

etici comuni applicati ai problemi della convivenza (in

un’accezione non distante dal “prepolitico” nel senso di

Habermas sopra richiamato) e con il secondo il luogo di

traduzione degli stessi in indirizzi parlamentari e governativi”

(Ibidem).

Quanto alle procedure, ci pare che esse debbano assicurare,

con trasparenza, l’apporto delle espressioni del laicato

cattolico secondo una procedura di costruzione dal

basso, espressione dei legami tra realtà già esistenti.

AVerona il laicato cattolico – anche secondo Luigi Alici,

presidente nazionale dell’Azione Cattolica italiana – è

chiamato a fare un passo avanti, realizzando una “avanguardia

profetica” in tutti i campi, compreso quello politico.

Come ciliegina sulla torta nella direzione della proposta

di Campanini, la “Deus Caritas est” recita: “Il compito

immediato di operare per un giusto ordine nella società

è invece proprio dei fedeli laici. Come cittadini dello Stato,

essi sono chiamati a partecipare in prima persona alla

vita pubblica. Non possono pertanto abdicare “ alla molteplice

e svariata azione economica, sociale, legislativa,

amministrativa e culturale, destinata a promuovere organicamente

e istituzionalmente il bene comune”.

Missione dei fedeli laici è pertanto di configurare rettamente

la vita sociale, rispettandone la legittima autonomia

e cooperando con gli altri cittadini, secondo le rispettive

competenze e sotto la propria responsabilità Anche se le

espressioni specifiche della carità ecclesiale non possono

mai confondersi con l’attività dello Stato, resta tuttavia vero

che la carità deve animare l’intera esistenza dei fedeli

laici e quindi anche la loro attività politica, vissuta come “

carità sociale ” (Deus caritas est, n. 29).

Non resta che il coraggio di tradurre i principi in istituzioni

concrete, consapevoli dei limiti e dei possibili rischi,

ma non bloccati nel tentativo di dare voce pubblica e ufficiale

all’anima laicale dell’unica Chiesa.

1 Traccia, n.1, in http://www.chiesacattolica.it/pls/cci_new/consultazione.

mostra_pagina?id_pagina=2938.

NOTE

PROSPETTIVA PERSONA

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Dall’articolo di Giorgio Campanini

Verso Verona 2006. Un senato laicale nella Chiesa italiana?,

in Aggiornamenti sociali, n. 11 (2005), pp 703-712

Rischi e opportunità dì una innovazione

…Sullo sfondo rapidamente tracciato non sembra inopportuno riprendere l’indicazione conciliare

circa un Consiglio dei laici, almeno per valutarne insieme le opportunità e i rischi, evitando

un puro e semplice accantonamento di questa pur autorevolissima proposta. Ciò nella

consapevolezza che tanto più forte sarà il senso dell’appartenenza ecclesiale dei laici se essi,a tutti i livelli, si sentiranno coinvolti nei procedimenti decisionali e di essi saranno partecipi.

Troppo spesso i fedeli si sentono estranei rispetto a una comunità cristiana alla quale pur

aderiscono, nella quale si riconoscono, cui appartengono, ma che sembra talora considerarli

come semplici e passivi esecutori di decisioni che calano dall’alto. Leggere sui giornali il nome

del proprio vescovo, spesso sconosciuto perché venuto da lontano; apprendere dalla televisione

quali saranno le scelte decennali della Chiesa italiana; sapere a pubblicazione ormai

avvenuta quale sarà il “piano pastorale” cui tutti dovranno attenersi nell’anno che inizia, e così

via: questa mancanza di consultazione previa, di dialogo, di riflessione comune sulle vie da

seguire in vista della nuova evangelizzazione non favorisce l’attiva partecipazione dei fedeli

alla vita della Chiesa. La Chiesa rischia di essere avvertita come una realtà astratta e lontana.

La creazione di un organismo di rappresentanza laicale non sarebbe certamente il toccasana

per questo insieme di problemi, ma rappresenterebbe un importante segnale di partecipazione:

anche perché dovrebbe inevitabilmente seguire la vitalizzazione dei Consigli pastorali diocesani

che pure soffrono di una generale crisi di partecipazione, dato che dovrebbe essere metodologia

normale quella del raccordo tra Consiglio nazionale e Consigli diocesani (ed eventualmente

regionali) in vista delle decisioni da adottare, delle metodologie da proporre, delle

priorità da individuare in modo da offrire alla Conferenza episcopale, ultima istanza decisionale,

utili materiali di riflessione.

a) Possibili rischi

Accanto alle opportunità, inevitabilmente, non mancano i rischi: anche con essi occorre confrontarsi

per potersi muovere nella giusta direzione.

Il primo rischio è quello di dar vita a uno strumento puramente formale (al limite, burocratico),simile a non pochi altri di cui è dotata la comunità ecclesiale (e la stessa società civile).

Perché questa eventualità non si avveri saranno importanti, da un lato la qualità delle persone

che saranno chiamatea farne parte (e la loro capacità di autentica parres?a, o libertà e franchezza

di parola, oltre le tentazioni del piatto conformismo o della permanente conflittualità),

dall’altro la convinta fiducia dell’Assemblea dei vescovi (ultima istanza decisionale) in questo

organismo, ricorrentemente richiesto di collaborazione e tenuto in attenta considerazione nelle

sue indicazioni e proposte.

Il secondo rischio è quello dell’esplosione di una conflittualità, occulta palese, tra Consigliodei laici ed episcopato. Se i suggerimenti e le indicazioni del primo venissero sistematicamente

elusi o ignorati e se venisse meno un effettivo dialogo, si offrirebbe lo spettacolo, non

edificante, di una Chiesa divisa al suo interno con tensioni che inevitabilmente si trasferirebbero

nel corpo ecclesiale. Ecco perché avviare un Consiglio nazionale dei laici implica grande

senso di responsabilità, tanto da parte dei laici che ne faranno parte quanto dei pastori che

lo promuoveranno e si avvarranno della sua consulenza.

Un terzo pericolo è che il Consiglio dei laici diventi semplicemente la “cassa di risonanza”degli orientamenti e delle indicazioni dei vescovi (come talora accade per gli stessi Consigli

pastorali), al di fuori di ogni novità e originalità di proposta e con l’accentuazione della tendenza

non di rado presente in Italia, a un piatto conformismo ecclesiale (le voci critiche, pur

se dettate da appassionato amore alla Chiesa, sembrano non avere buona udienza in taluni ambienti

ecclesiastici). In tale ipotesi, l’organismo a poco o a nulla servirebbe perché non rifletterebbe

la varietà e complessità di un corpo ecclesiale che esprime esigenze e istanze non sempre

adeguatamente recepite e raccolte dall’episcopato.

b) Nuove opportunità

Dopo questa doverosa messa in guardia conviene tuttavia mettere in evidenza anche le nuove

opportunità che un Consiglio dei laici italiano potrebbe offrire.

Il primo dato positivo sarebbe quello di una minore esposizione dell’episcopato. Per riferirsi

alla recente, e già ricordata, vicenda del referendum sulla legge circa la procreazione assistita,

certamente minori sarebbero state le critiche in merito alla posizione assunta dalla Chiesa italiana

se la decisione dell’astensione dal voto fosse stata adottata, e ben motivata, da un autorevole

e rappresentativo organismo laicale, piuttosto che assunta, quasi in solitudine, dall’episcopato.

E prevedibile che in futuro occasioni di questo genere si moltiplicheranno e numerosi

saranno i temi su cui i cristiani che sono in Italia dovrebbero avere una autorevole parola da

dire attraverso un loro organismo specifico, piuttosto che identificarsi puramente e semplicemente

con la Conferenza episcopale.

Un secondo aspetto positivo può essere rappresentato dalla funzione esercitata dal Consiglio

dei laici come strumento che consentirebbe all’episcopato, e a tutta la Chiesa italiana, di avere

una maggiore conoscenza della realtà delle cose, entro e fuori la Chiesa. I vescovi e i loro

collaboratori sono certo attenti alla realtà sociale; ma gran parte delle conoscenze relative a

questa proviene da un entourage prevalentemente presbiterale, con il rischio che altre voci –

soprattutto le voci problematiche, o anche critiche, seppur sanamente ed evangelicamente critiche

– vengano lasciate fuori della porta. Comprendere quali siano le esigenze, le attese, le

istanze del popolo di Dio non è facile; ma sforzarsi di calarsi più a fondo nella realtà è necessario,

per l’efficacia stessa dell’azione pastorale.

Ancora, la collaborazione con il Consiglio dei laici consentirebbe all’episcopato di disporre di

un utile strumento dì consultazione in ordine alla elaborazione dei documenti periodicamente

pubblicati dalla CEI, sia per quanto riguarda le priorità pastorali, e dunque i contenuti, sia per

quanto concerne il linguaggio dei documenti stessi.

Infine, la costituzione di un Consiglio dei laici italiano consentirebbe alla cattolicità italiana

di disporre di un interlocutore non puramente gerarchico- ecclesiastico nei vari organismi

sia pontifici sia internazionali (soprattutto in ambito ecumenico), ove il nostro Paese è raramente

rappresentato da personalità laicali. Si verrebbe inoltre a colmare il vuoto di

rappresentanza in non pochi i organismi internazionali ecumenici in cui i vescovi non sempre

possono essere presenti. Anche i rapporti con vicine realtà ecclesiali di altri Paesi, dalle

Semaines sociales di Francia ai Katholikentagen tedeschi, verrebbero favoriti, e resi più organici,

da un preciso collegameneto con un organo di rappresentanza per così dire ufficiale

del laicato italiano.

Alcune Indicazioni operative

Compiti, strutture, modalità di lavoro dell’auspicato Consiglio dei laici italiano non possono

essere in questa sede indicati né tanto meno definiti: non potranno che essere il risultato della

riflessione di un apposito gruppo di lavoro da costituirsi sotto gli auspici della Conferenza Episcopale

Italiana e del suo organo specifico, la Commissione Episcopale per il Laicato, ovviamente

con una qualificata presenza laicale. Sia consentito tuttavia, in questa sede, prospettare

alcune linee di fondo cui potrebbe ispirarsi il futuro Statuto di questo organismo.

Per quanto riguarda i suoi compiti e responsabilità – ribadite alcune indicazioni generali sul

ruolo e le responsabilità dell’intero popolo di Dio nella missione della Chiesa, nella linea della

costituzione dogmatica Lumen gentiumdel Concilio Vaticano II – si dovrebbe mettere in evidenza

la sua funzione di organo di consultazione permanente dell’episcopato; quella di rappresentanza

del laicato italiano negli organismi internazionali, nei vari organismi pontifici, nelle

assise internazionali dei cattolici; quella della pubblicazione di note e di documenti su temi

di attualità ecclesiale e sociale.

Circa la composizione del Consiglio, esso dovrebbe essere costituito da un numero non troppo

elevato di componenti (ad esempio cento, un terzo almeno dei quali costituito da donne),

dei quali una metà eletta, su base regionale, dai Consigli pastorali diocesani con rappresentnanza

proporzionale in relazione alla popolazione cattolica residente. La rimanente metà potrebbe

essere costituita per una parte dai rappresentanti designati dai movimenti e associazioni

riconosciuti dalla Chiesa e per l’altra parte da membri designati dalla Presidenza della Conferenza

Episcopale Italiana, sia sulla base della rappresentanza di imprtanti realtà ecclesiali (dal

Comitato permanente delle Settimane sociali dei cattolici italiani ai rettore protempore delle

istituzioni universitarie cattoliche), sia mediante l’individuazione di credenti, uomini e donne,

che abbiano acquisito particolari competenze e benemerenze in ambito scientifico, artistico,

sociale, umanitario e così via. Attraverso quest’ultimo canale potrebbero essere inserite nel

Consiglio personalità di particolare prestigio e autorevolezza.

Un Consulente e un vice-consulente ecclesiastici (augurabilmente vescovi) potrebbero garantire

il costante raccordo con la Conferenza episcopale.

Il Consiglio designerebbe al proprio interno il Presidente e le varie cariche e funzionerebbe secondo

il consueto modello degli organi collegiali, alternando sessioni plenarie e incontri di

gruppi di lavoro.

Alle spese di funzionamento si dovrebbbe provvedere in parte attraverso contributi delle Chiese

locali, in parte attraverso un apposito capitolo del bilancio della CEI, ma con la possibilità

di fare appello direttamente al laicato cattolico attraverso un’apposita “Giornata nazionale”.

Uno stile di estrema semplicità e sobrietà dovrebbe comunque caratterizzare la vita e l’attività

del Consiglio.

Nell’elaborazione dello Statuto sarà assai utile tenere conto delle norme regolative e dell’esperienza

stessa di consimili organismi laicali operanti in diversi Paesi, soprattutto europei.