Lettera aperta al Governatore d’Abruzzo dott. Luciano D’Alfonso

Caro Governatore,

dopo aver chiesto a tutti i e 4 i candidati di tenere in conto le nostre richieste etico-politiche ora vogliamo  far sentire la nostra voce per segnalarti due ordini di problemi:

– il primo riguarda la domanda diffusa di etica politica

– il secondo riguarda qualche idea di  promozione culturale

Certi di aver fatto cosa gradita, vi auguriamo un sereno in bocca al lupo

Giulia Paola Di Nicola e Attilio Danese

Condirettori della rivista “Prospettiva Persona”

Teramo, 18 giugno 2014

I- Parte

A) Premessa

Dal punto di vista politico, la domanda diffusa di etica politica riemerge come reazione pendolare alla esclusione dei valori, alla «messa tra parentesi» dell’etica, a partire dalla autonomia della politica, che si suole fare risalire a Machiavelli[1].

Prima del Rinascimento il rapporto tra etica e politica era scontato ed omogeneo, poiché seguiva la convinzione che l’etica si potesse travasare nella politica[2]. Con l’avvento del Rinascimento, la politica si laicizza, distinguendosi dalla religione, sino a tentare la subordinazione della Chiesa allo Stato. Si distingue così il criterio di giudizio dell’azione politica da quello dell’azione morale. In quest’ottica, la politica si coniuga con il realismo, l’egoismo, il calcolo, l’indifferenza alla morale, la simulazione e la dissimulazione, opportunistica­mente intese[3]

 Charles Péguy, di cui quest’anno ricorre il centenario della morte,  a suo tempo, ripeteva: «La rivoluzione o sarà morale o non sarà»[4]; per R. Musil, se «non portiamo avanti la costruzione della morale, tutto è perduto»[5]; per Vladimir Jankélévitch: «Tutto ciò che è umano pone, presto o tardi, per un verso o per l’altro, sotto una forma o l’altra, un problema morale… La morale ha sempre l’ultima parola: incalzata, persegui­tata dall’immoralismo, ma non annientata, conosce ogni tipo di rivincita e di alibi; si rigenera all’infinito, rinasce dalle proprie ceneri, per la nostra salva­guardia»[6]

Tuttavia, proprio nel momento in cui troppi parlano di etica, dunque il tema è di «successo», non c’è accordo sui suoi contenuti[7].   All’origine c’è l’impossibilità di assumere un oriz­zonte di senso comune, che ha fatto scrivere a M. Weber: «Tra i di­versi valori che preesistono all’ordinamento del mondo il contrasto è inconci­liabile… La vita, in quanto deve fondarsi su se stessa ed essere compresa in se stessa, conosce soltanto il reciproco eterno conflitto di quelle divinità, ossia, fuor di metafora, l’impossibilità di conciliare e risolvere l’antagonismo tra le posizioni ultime in generale rispetto alla vita»[8]. Su questa linea interpretativa, di stampo laicista, si colloca anche Habermas quando afferma: «Sono insensibile alle melodie heideggeriane: “ormai solo un dio ci può salvare”…Non sono i filosofi a poter cambiare il mondo. Ciò di cui abbiamo bisogno sono più pratiche fondate sulla solidarietà; senza di ciò, anche l’agire intelligente rimane privo di fondamento e senza conseguenze. Tali pratiche, tuttavia, da parte loro necessitano di istituzioni razionali, di regole e forme di comunicazione che moralmente non esigano troppo dai cittadini e, anzi, richiedano loro con moderazione il tributo della virtù orientata al bene comune»[9].

È interessante notare, come da percorsi diversi si giunga a delle domande di fondo comuni che producono inaspettate reinterpretazioni di concetti già noti, ma riletti alla luce del nuovo che emerge. 

La se­colarizzazione, che ha privato l’uomo postmoderno di un riferimento sicuro a princìpi generali da cui derivare regole e comportamenti, produce una “di­spersione etica” dal permanente carattere di frammentarietà, che deriva dalle cadute delle conce­zioni forti del mondo. Il soggetto ha bisogno di un recupero etico, che però non trova, a causa della dispersione e della tolleranza verso i comportamenti emotivi e soggettivi[10].

Elemento centrale del sistema democratico è il voto. Quello che si chiama il suo “paradosso” esprime l’incongruenza tra la logica dell’individuo che sceglie e la logica di una democrazia in cui le scelte, gli scarti, l’instabilità delle maggioranze sono legate a quello che si chiama voto strategico. Lo ha messo in evidenza W. H. Riker, che con­sidera le maggioranze solo strumentali, come risultante di un compromesso tra valori[11]. Il teorema del paradosso del voto (ma anche delle scelte politiche in generale) chiarisce che nel votare non è possibile ottenere un risultato che combini in modo soddisfacente per tutti i desiderata di ciascuno, dunque non esisterebbe un bene per tutti, né rousseauianamente una volontà generale che si esprime in una maggioranza. Questo paradosso dimostra che non è la sintonia a ca­ratterizzare un sistema democratico, dunque la comunicazione e il convergere dei cittadini su una volontà generale, ma è la capacità di tenere insieme, attra­verso il metodo della maggioranza, pareri differenti. Si impone dunque un crite­rio autoritativo che stabilisce cosa decidere, non secondo il valore in sé o le preferenze dei cittadini, ma secondo la regola stessa del criterio adottato (nella fatti­specie la maggioranza). Ancora una volta auctoritas non veritas facit le­gem., dove auctoritas sta a dire il consenso sul metodo democratico e il fatto che tutti, proprio perché la politica è un agire strategico, accettano che il gioco sia fatto, nonostante gli scarti, purché si giunga comunque ad una scelta sostenuta dal consenso.

 Ciò che appare chiaramente nella tesi di W. Riker, attraverso la denuncia dell’arte manipolatoria del voto, è che i criteri de­mocratici, come quello della maggioranza, sono strumentali, non dunque giu­sti, ma la risultante di un compromesso tra valori e metodi di scelta[12].  

 Oltre la questione del metodo, è evidente che la democrazia manifesta limiti, superabili solo attraverso la crescita civile dei suoi membri, come conclude Rusconi, parlando di «democra­zia adulta», capace cioè di far fronte a dissincronie e incoerenze, nelle quali il me­todo può anche facilitare il superamento di alcuni difetti della democrazia, ma non può risolverli. Egli affida all’etica politica il compito «dell’ostinato im­piego delle risorse e degli strumenti di cui la democrazia dispone per autocor­reggersi»[13]. Dal punto di vista morale, tale autocorrezione deve mi­rare ad ottimizzare gli strumenti, perché la società sia giusta, solidale ed effi­ciente, ma soprattutto non può esulare da quella assunzione di responsabilità personale che usa gli strumenti al servizio del bene e non al servizio furbesco e strumentale della forza. Il disagio nasce dal rifiuto di ogni prassismo della politica ed esprime il bisogno di vivere con un orizzonte di senso[14].

Lo stesso Popper ha confermato l’importanza della domanda etica in democrazia in una recente intervista: «Quel che, in fin dei conti, deve governare, in democrazia, — così sottolinea — è la capacità di discernimento e di autodisciplina etica…Noi possiamo apprendere dall’Islam che il relativismo morale è uno dei veleni più distruttivi della democrazia: perché la democrazia esiste solo se governa la legge, e la legge è fondata sull’etica, non sul permissivismo»[15].

Si impone perciò lo sguardo alto all’etica, nonostante e oltre le questioni di metodo, perché si possa conservare la legittimità e la necessità di un orizzonte di interrogazioni ultime.    Mentre la politica, come arte del possibile, abbraccia il tempo del presente disponibile, l’etica preserva un tempo altro. La dignità della politica, d’altronde, risiede non nell’essere la traduzione o applicazione dell’etica, ma quel mondo delle ogget­tività possibili, senza il confronto con il quale ogni discorso etico resta un buon sermone. Perciò il bisogno di etica non può essere ridotto all’etica pubblica o etica po­litica.

Non ci si può contentare neppure di un’etica che affidi la sua valenza alle regole procedurali, come non basta la deontologia professionale o la teleologia mo­rale, che rinvia alla responsabilità[16]. Si passa così dall’etica politica all’etica sociale, all’etica come dimensione della responsabilità (come negli studi di matrice anglosassone che rivalutano il concetto di virtù, onde evitare che il rapporto sociale prevalga sulla vita di ciascuna persona[17]), fino a giungere all’etica delle grandi religioni.           

Non si può negare tuttavia l’importanza del recupero di valori non strettamente razionali, specie tenendo conto del fatto che viene ancora accreditata la distinzione tra un’etica laica di tipo razionale e un’etica religiosa, che molto spesso significa cattolica[18].   D’altro canto, non si può co­struire un’etica astratta rispetto ai contesti culturali e religiosi che costi­tuiscono l’esperienza morale e la sua elaborazione teorico politica. Infine, l’autonomia dell’etica non è mai completa, nel senso che è inscindibile da una interpreta­zione più larga dell’uomo e della realtà.

In effetti la per­sona di cultura, per la sua ricerca della verità e per la sua possibilità di frequentare le opere degli uomini di tutti i tempi e di tutte le latitudini, è un essere privilegiato. Rendersi conto di questo significa assumere un doppio compito etico: redistribuzione del bene che si è avuto il dono di ri­cevere e responsabilità nei confronti della verità e dell’opinione pubblica. La libertà dell’uomo di cultura ha senso se coniugata responsabilmente con l’autolimitazione[19]. Di questo aspetto etico culturale era particolarmente cosciente Simone Weil quando scriveva: «Quando la libertà di espressione si riconduce di fatto alla li­bertà di propaganda …, le sole parti dell’anima umana che meritano di esprimersi non sono libere di farlo…Ora è questo il caso di una democrazia in cui il gioco dei partiti regola la di­stribuzione del potere, ossia ciò che noi, francesi, abbiamo chiamato democrazia. Perché non ne conosciamo altra. Occorre dunque inventare un’altra cosa»[20]. Inventare «un’altra cosa», senza perdere la democrazia, senza rischiare rigurgiti di totalitarismo antidemocratico, è il compito eminente della politica contem­poranea.

 Perciò la Weil, al confronto con la pseudo-cultura della propaganda, preferisce la conoscenza senza parole del contadino: «La conoscenza senza parole, niente è più ignorato al giorno d’oggi. Se se ne parlasse, la gente intenderebbe con questa espressione tutt’altra cosa da ciò che essa vuol dire. Oggi si piantano le cose nella gente con le parole. Slogan»[21].

L’osservazione ha il sapore di una boutade, ma ha l’effetto di richiamare al controllo del mondo dell’informazione. La Weil voleva  control­lare il mercato cultural-politico, con una corte speciale per giudicare i politici, i giudici e tutti coloro che hanno responsabilità nella vita sociale e politica, «giacché un giornalista che mente, un imprenditore che opprime i suoi operai sono dei criminali di diritto comune»[22].

 Alle isti­tuzioni politiche il compito di lasciare lo spazio al pensiero e alla comunicazione, che, nella Weil degli anni ’30, sono indispensabili a  fondare una società giusta. Vi è strettamente legata la dimensione etico-sociale che è alla base della Déclaration des obli­gations envers l’être humain, come fondamento di una giusta Carta dei doveri di cittadinanza, che dovrebbero fir­mare i politici insieme ai giornalisti, imprenditori, magistrati («ogni uomo, che ha il potere di vessare o di ingannare gli uomini, dovrebbe assumere l’impegno di non farlo»[23]). 

Principi per  una Carta dei doveri di cittadinanza responsabile

Al fine di operare un sano discernimento e giungere ad una carta dei doveri della cittadinanza per chi si impegna in politica,si propongono alcuni principi validi per tutti :

— la concezione e l’uso del potere al servizio del bene comune;

— il rispetto delle altrui posizioni attraverso il dialogo aperto con amici e avversari;

— il rifiuto di comportamenti immorali e disonesti, come la menzogna, la calunnia, la slealtà, la vigliaccheria;

— la considerazione del confronto politico non come rissa e intolleranza, ma come sana competizione, riducendo la conflittualità esasperata (lotta contro), sempre con spirito costruttivo (azione per);

— il distacco dal proprio interesse (non solo per l’eletto, ma anche per l’elettore: non scegliere secondo il vantaggio personale o di categoria);

— l’uso del pubblico potere e del pubblico denaro per il bene pubblico e non per favorire affari personali e di gruppo o per creare clientele;

— l’uso di mezzi leciti per raggiungere e gestire  posizioni di potere;

— la capacità di selezionare la classe dirigente amministrativa senza motivazioni superficiali, simpatie, legami personali, ripicche, vendette;

— la coerenza tra persona impegnata politicamente e comportamenti nella  vita pubblica

— impegno per favorire la cultura della legalità, che rispetti e faccia rispettare le regole e le procedure democratiche;

— l’attenzione ai problemi specifici del luogo in cui si opera, ma con una visione ampia e aggiornata alle soluzioni migliori;

—           la testimoniata consapevolezza dell’uguaglianza e della dignità di ogni persona, da verificare con periodici luoghi di dialogo con i soggetti della vita comune;

— la crescita di responsabilità e partecipazione. «Bisogna stimolare la volontà di tutti ad assumersi la propria parte nelle imprese comuni. » .

— l’attenzione ad assicurare ampi spazi al cittadino che voglia seguire la sua fede religiosa e le sue opinioni politiche, purché non nocive per la comunità;

— il dovere  per la selezione degli amministratori di una adeguata preparazione politica, storica, economica e sociologica, al passo con le nuove conquiste delle singole scienze. 

 Il consenso a queste obbligazioni è essenziale alla vita sociale, ma diviene ancor più determinante se chi vi consente esercita una funzione pubblica di particolare prestigio. «Ogni potere, — scrive S. Weil — di qualunque natura, lasciato nelle mani di un uomo che non ha accordato un consenso illuminato a questa obbligazione, totale e senza menzogna, è un potere mal riposto» . Sul potere mal riposto hanno una responsabilità diretta di complicità tutti coloro che ne hanno autorizzato l’esercizio.

Non resta che la capacità di revocare il consenso e riportare la legalità all’essenza della legge, dunque all’obbligazione nei confronti di ogni essere umano.

Parte II

Proposte specifiche nel settore culturale

1. Rivedere il sistema dell’accesso ai contributi. La legge 56 aveva una sua validità che andrebbe rinnovata e non eliminata.

2. La legge 43 andrebbe limitata e resa meno meccanica , ossia legata solo alle valutazioni quantitative e soggetta necessariamente alle scelte dell’assessore di turno.

3. Ci vorrebbe una legge di sussidiarietà per le micro realizzazioni di cui il territorio abruzzese  è ricco.

4. Necessita un intervento per le  riviste che nascono dal territorio e sono capaci di andare anche oltre il territorio

5. Una legge di poca spese potrebbe facilitare le testate minori con contributi per le spedizioni che sono diventate insostenibili

6. Supportare le riviste scientifiche ( Riconosciute dall’Anvur) che sono strumenti per i ricercatori d’Abruzzo nei concorsi universitari.

7. Distinguere le tradizioni culturali  dalla cultura come formazione permanente

8. Da anni si aspetta una legge a favore delle università della terza età, che nonostante tutto hanno resistito negli anni

9. Riconoscere in maniera istituzionale le  associazioni culturali non profit che da almeno dieci anni resistono nell’organizzare eventi

10. Promuovere  la cultura attraverso il riconoscimento del merito con premi annuali di incoraggiamento per il volontariato culturale così numeroso in Abruzzo.

Gli amici del Centro Ricerche Personaliste presenti in Abruzzo


[1] Anche B. Croce riconosce a Machiavelli l’autonomia della politica , con le sue leggi «di là o piuttosto di qua dal bene e dal male» (cf B. Croce, Etica e politica, Bari 1973, 205).

[2] Sull’argomento esiste una ricca bibliografia. Mi limito a segnalare, tra i testi d’ispirazione cristiana,   R. Spiazzi, Politica e morale, Roma 1967, con chiara impostazione tomista e un ampio panorama sulla dottrina sociale della Chiesa, 394-425, 543-562; G. Mattai, Morale Politica, Bologna 1977, con interessanti spunti sull’etica politica nella concezione protestante, 103-108, sul bene comune, 118-128, sui partiti, 205-219, sulla laicità dello Stato, 267-280. Con un chiaro aggancio alla filosofia dei valori, cf R. Polin, Etica e politica, tr. it. Milano 1985, specialmente il capitolo III, 97-160, nel quale analizza le antinomie tra etica e politica e indica alla politica «che si vuole sicura ed efficace» la salvaguardia di un ordine politico tale che sia possibile «svilupparvi delle relazioni etiche d’una certa specie liberamente convenuta»(147). Testimonianze del dibattito sono i lavori collettanei Aa. Vv., Etica e poli­tica. Riflessioni sulla crisi dei rapporti fra società e morale, Milano 1984, Aa. Vv., Etica e politica. La prassi e i valori, Padova 1990. In area laica oltre al classico B. Croce, Etica e politica, cit.; cf N. Bobbio – N. Badaloni – R. Bodei, Etica e politica, a cura di W. Tega, Parma 1984; S. Veca, Etica e politica. I di­lemmi del pluralismo: democrazia reale e democrazia possibile, Milano 1989, G. Pontara, Antigone e Creonte. Etica e politica nell’era atomica, Roma 1990. Per una panoramica del rapporto tra etica e po­litica cf F. Totaro, Per la convivenza buona, in «Il progetto», 33 (1986), 23-28; L. Biagi, Etica e politica. Analisi storiche e prospettive di ri­cerca, in «Rivista di Teologia morale», 89 (1991), 55-72; L. Lorenzetti, «Questione politica» e «Questione morale», in «Rivista di Teologia morale», 1 (1989).

[3] «È necessario…essere gran simulatore e dissimulatore: e sono tanto semplici li uomini, e tanto obediscano alle necessità presenti, che colui che inganna troverrà sempre chi si lascerà ingannare» (Ibid., 68).

[4] Cf Ch. Péguy, Pour ma maison, in Oeuvres en prose, 1898-1908, Paris 1959, 1255-56. Lo slogan è utilizzato da Mounier come exergo del suo Refaire la renaissance, in Révolution personnaliste et communautaire,  Paris 1935.

[5] Egli, infatti, è ben consapevole della deresponsabilizzazione crescente dell’uomo, se denuncia:«È sorto un mondo di qualità senza uomo, di esperienze senza colui che le vive, e si può quasi immaginare che nel caso limite l’uomo non potrà più vivere nessuna esperienza privata, e il peso amico della responsabilità personale finirà per dissolversi in un sistema di formule di possibili significati» (R. Musil, L’uomo senza qualità, tr. it. Torino 1972, I, 143).

[6] V. Jankélévitch, Le paradoxe de la morale, Paris 1981, 20 e 49.

[7] Per le ragioni di un ritorno all’etica nelle di­verse correnti filosofiche cf A. Da Re, Il ritorno dell’etica…, cit., 103-233; per uno sguardo sinte­tico cf Id., La que­stione etica oggi. Nodi e pro­blemi di fondo, in «Presenza pastorale», 11-12 (1990), 9-21.

[8] M. Weber, La scienza come professione, in Il lavoro intellettuale come profes­sione, tr. it. 19807, 32 e 37. Per una sintetica presentazione della pole­mica tra C. Schmitt e Max Weber, sul politeismo dei valori, cf A. Dal Lago, Gloria e disperazione. Il cattolicesimo polemico di C. Schmitt e il politei­smo di M. Weber, in «Fenomenologia e Società», 2 (1988), 59-69, in cui si fa riferimento al saggio di M. Weber, Die Tyrannei der Werte, tr. it. La Tirannia dei valori, in «Rassegna di diritto pub­blico», 1 (1970), 1-28. Per una visione d’insieme, con particolare rife­rimento a N. Hartmann, cf A. Da Re, Valore e conflitto dei valori nell’etica feno­menologica, in «Fenomenologia e Società», 1 (1991), 41-98.

[9] J. Habermas, Dopo l’Utopia…, cit., 99. Sulla posizione critica di Habermas cf anche U. Pellegrino, Il marxismo critico di Habermas e la morale, in Aa.Vv., Fondazione e interpretazione della norma, Brescia 1986, 297 ss.

[10] Cf A. MacIntyre, Dopo la virtù. Saggio di te­oria morale, tr. it. Milano 1988.

[11] Cf W. H. Riker, Liberalism against populism. A Confrontation between the Theory of Democracy and the Theory of Social Choice, San Francisco 1982.

[12] Cf W. H. Riker, The Art of Political Manipulation, New Have-London 1986. Egli distin­gue il voto miope, che mira al risultato immediato, e il voto strategico, che sa rinunciare al proprio obiettivo in vista di un risultato comunque positivo. L’idea è spiegata attraverso il caso raccontato da Plinio il Giovane (Lettera XIV, Libro VIII), in cui Plinio, presidente del Senato nel 100 d. C., doveva far decidere come trattare un liberto che aveva ucciso un senatore, forse col di lui consenso. La maggioranza relativa vo­leva l’assoluzione, c’era poi chi ne voleva la condanna a morte e chi l’esilio. Mentre Plinio pre­feriva l’opzione tra le tre possibilità (metodo elet­torale terna­rio), i senatori imposero il voto su due possibilità (voto binario), al fine di ottenere una maggioranza strategica, con la funzione di sconfig­gere la propo­sta di assoluzione della maggioranza relativa (cf W. H. Riker, Voto strategico. Il caso di Plinio il giovane, tr. it., in G. E. Rusconi [a cura di], Giochi e paradossi della politica, cit., 153-164).

[13] Ibid., XL.

[14] Cf U. Perone, L’ordine etico …, cit., 91-93.

[15] K. R. Popper, Io, il papa e Gorbaciov, in «La Stampa», 9. IV. 1992, 17. Con toni analoghi si è espresso il Papa nel Discorso ai Vescovi italiani riuniti per la XXXV Assemblea plenaria il 14 Maggio 1992: «La cultura…presenta caratteri di crescente secolarismo e indifferentismo. La forma con cui si manifestano è prevalentemente quella di un relativismo, che abbraccia tanto la sfera della verità che quella dell’etica. Proprio a queste radici, come a loro terreno di coltura, si riconducono i molteplici fenomeni di disgregazione e di malessere sociale, l’appiattimento della persona e dei modelli sociali su forme di vita puramente consumistiche, i diversi attentati alla vita umana e alla legalità» («L’Osservatore Romano» del 16.V.1992, n.4)

[16] Per la prospettiva deontologica, cf W. Frankena, Etica. Un’introduzione alla filosofia morale, tr. it. Milano 1981; per la prospettiva tele­ologica del principio di responsabilità, si rinvia all’opera di H. Jonas, Das Prinzip …, cit., 105-150.

[17] Cf B. Williams, L’etica e i limiti della filoso­fia, tr. it. Bari 1987.

[18] Sull’etica razionale, cf F. Alberoni – S. Veca, L’altruismo e la morale, Milano 1988; S. Veca, Etica e politica…, cit., sp. 17-29. Diversa è la pista che, nella severa impostazione critica, evidenzia l’etica del riconoscimento, l’etica della responsabilità e l’etica laica, cf N. Galantino et alii, L’agire responsabile. Lineamenti di etica filoso­fica, Palermo 1991.

[19] «Deve essere ammesso — scrive Simone Weil — che dal momento in cui uno scrittore tiene un posto tra le influenze che dirigono l’opinione pubblica non può pretendere una libertà illimitata» (E, 39).

[20] S. WEIL, Ecrits de Londre, Gallimard, Paris p. 15.

[21] S. WEIL, Cahiers , Plon, Paris 1956  III, p.186.

[22] S. WEIL,  Ecrits de Londres, Gallimard, Paris 1957,  p.95.

[23] S. WEIL,  Ecrits de Londres, Gallimard, Paris 1957,  p.87.