Intervento sul Bene comune per la 45 Settimana sociale III

© Dal Libro di A. Danese, Cittadini responsabili, Dehoniane, Roma 1994 pp. 115-145

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6. Bene comune e persona 

Nella posizione di Ricoeur si sente il cammino che il personali­smo ha fatto, a partire dal pensiero tomista, nel dialogo con le filosofie con­temporanee, mantenendo ferma l’aspirazione al bene comune, quale «buona vita umana della moltitudine»[1]. Moltitudine sta qui per quel «comunitario» che contraddistingue il personalismo sin dalle sue radici, carat­terizzando la dimensione relazionale della persona e la sua possibilità di rag­giungere il bene insieme agli altri[2]. Il bene comune coincide tendenzial­mente e nel suo concetto regolativo col bene della persona, intesa in modo in­tegrale e non solo relativamente all’ordinato organizzarsi della convivenza esterna. Enfatizzare un aspetto dell’intera dimensione umana significa non solo impoverire la realtà, ma anche deformarla. Perciò una visione perso­nalista reclama il contributo di tutte le discipline, nella distinzione, ma anche nell’integralità delle relazioni. Scrive opportunamente Gadamer: «Chi non ha un orizzonte è un uomo che non vede abbastanza lontano, perciò sopravvaluta ciò che gli sta più vicino. Avere un orizzonte significa… saper vedere al di là di questo. Chi ha un orizzonte sa valutare correttamente all’interno di esso il significato di ogni cosa, secondo la prossimità e la lontananza, secondo le di­mensioni grandi o piccole»[3]. Visione integrale dell’uomo in questo caso significa consapevolezza che, oltre al debito che abbiamo verso gli antenati, abbiamo anche un debito verso quelli che verranno, oltre il “da dove”, la sorgente, dobbiamo assumere responsabilità anche per il “verso dove”, per quelli che ci seguiranno e che saranno costretti ad affrontare gli effetti delle nostre scelte.In questo ambito è indispensabile riconoscere l’opportunità di una «ricerca in comune del bene», dunque di una ragione discorsiva, senza che la dimensione dialogica annulli l’esistenza di un’etica oggettivamente valida. Oggi si preferisce parlare perciò della «ricerca in comune del bene», volendo sottolineare che non si tratta solo di una realtà oggettivamente data, ma anche del frutto di un concorso di ricerca a più voci[4]. «In comune» potrebbe indi­care la pura ricerca quantitativa del consenso e dunque il calcolo delle forze e dei voti, con il relativo rigonfiamento dell’opinione pubblica e della pubbli­cità, che rappresentano il mercato delle candidature e delle ideologie, quel mer­cato contro cui scagliava S. Weil nella sua severa critica della democrazia par­titica («Il consenso non si vende e non si compra»[5]). Ma «in comune» significa anche, con P. Ricoeur, lasciare da parte il problema dei fondamenti dell’etica, che delineano le differenze, per dare forza ai valori, alla argomentazione, alla testimonianza. La “base etica” della convi­venza nella società complessa e nell’epoca del disincanto, non può significare fare riferimento solo a ragioni metafisiche ed assiologiche, ma cercare conver­genze sui «valori a proposito dei quali esiste un consenso» e lasciare da parte il problema delle giustificazioni, le motivazioni, le radici profonde che pos­sono restare diverse tra loro dal momento che «nelle società pluralistiche avanzate, le fonti dei valori restano multiple e conflittuali»[6].Ricoeur, infatti, pur riconoscendo che «la base etica di una comunità politica si limita ai valori, a proposito dei quali vi è un consenso», lascia fuori della discussione «il problema delle giustificazioni, le motivazioni, le radici profonde degli stessi valori oggetto del consenso». Perciò preferisce parlare di «intersezioni tra l’etica e la politica e non di coincidenza». Cercando la convergenza sui valori, a partire dall’opinione delle diffe­renti famiglie spirituali, si può concordare su un’etica minima, ossia principi pratici comuni, al di là della giustificazione razionale e del con­senso numerico, ma sempre mirando al massimo di etica contestualmente possibile. Vi saranno momenti in cui alcuni valori positivi saranno ostacolati dal consenso pubblico ed anzi, in particolari condizioni, combattuti. Ciò non toglie nulla alla necessità di continuare a considerarli giusti e non abbandonarli, per il solo fatto che in quel momento e a quelle condizioni non trovano riscontro democratico. Il lato problematico dell’ispirazione personalista sta nell’individuare la soglia tra il bene a cui non si può rinunciare e il bene concordabile democraticamente, nel distinguere ciò che è bene in sé e ciò che è pos­sibile realizzare nell’ambito politico in un determinato momento, sempre cer­cando di spingere in avanti il consenso, verso valori più alti. Torna il bisogno di: «un’etica che non sia semplicemente una formale fair play, ma contenga dei precisi valori positivi, capaci di dare un senso all’intera vita umana, individuale e sociale»[7]. È qui che l’ispirazione personalista muove la sua critica alle varie forme di etica dell’argomentazione e della comunicazione, tanto più che sul piano oggettivo dei sistemi comunicativi sono le grandi holding che dominano la sele­zione e la distribuzione delle notizie secondo criteri di potenza economica e politica (170 dei satelliti in orbita sono norda­mericani, 100 sono sovietici, mentre il resto nel mondo ne possiede solo 15)[8]. Il problema della fondazione dei valori resta anche in un orizzonte post-metafisico e postmoderno, anche se i nomi della filosofia classica ven­gono rifiutati. Il solo rispetto formale delle garanzie democratiche equivarrebbe ad una rinuncia a prendere posizione per il bene comune e non sarebbe che un tradimento delle persone, le quali invece esigono dalle istituzioni politiche che esse si pronuncino a favore del singolo e della comunità. Sta in questa presa di posizione etica la differenza dell’ispirazione personalista rispetto alle teorie formali dello Stato.          Certo il bene comune, in certo senso, tra­scende quello dei singoli ed è superiore («il bene comune come bene superiore a quello degli individui»[9]), ma proprio per il fatto che ciascuna persona tra­scende se stessa per essere meglio se stessa, né potrebbe essere felice da sola, la ricerca del bene comune mira «a completare la sua vita e la sua libertà di persona»[10]. Nonostante il riconoscimento della superiorità del bene comune rispetto all’interesse singolo, la persona è resa consapevole del suo primato nell’ordine dei beni culturali e soprannaturali, che la costituiscono come fondata nell’assoluto e dunque capace di una moralità oltre le convergenze di volta in vola realizzate e oltre la stessa comunità politica nella quale viene regolato il suo vivere con gli altri. Per questo il bene comune non può essere la semplice somma dei beni individuali, né qualcosa che li sovra­sta, come un tutto superiore alle parti (il bene del collettivo), ma un arricchi­mento che, superando l’io, insieme completi sostanzialmente i limiti della sua individualità e, superando il punto di vista dei suoi interessi attraverso l’armonizzazione sinfonica, gli consenta appunto di essere felice insieme agli altri. Lungi dall’essere schiacciato dai limiti che la convivenza gli impone, l’io viene valorizzato nell’accordo con una pluralità di voci ben orchestrate[11]. L’idea del bene comune come aspirazione alla giustizia contiene nella sua idealità una certa astrattezza, se non si traduce in articolazioni differenziate nei vari mondi di vita, per dare pratica politica al sa­pere della giustizia. Quando infatti un grande ideale non è vissuto, ma proclamato e imposto, si trasforma in un ulteriore strumento di oppressione. Mancini nella sua ricerca sull’ethos del futuro affronta in questa linea i grandi sistemi di valori, quali il nomos greco, la torah ebraica e la iustitia cristiana, che possono diventare oppressivi, se non incarnati in un volto[12]. È qui il tema nuovo e il guadagno specula­tivo delle riflessioni sull’etica e sulla giustizia in prospettiva futura, giacché nel volto vengono abbandonati i riferimenti all’essere (metafisica) e all’io (egologia), entrambi corrosi dal sospetto. Col tema del volto viene assunta in pieno la logica della differenza e abbandonata quella della totalità, pur conser­vando l’infinità dell’altro, su cui si sposta l’accento della riflessione. La ra­gione non è legittimata ad appiattire, perché nell’etica dei volti assume ri­lievo piuttosto l’essere con, o il con-esserci della coesistenza come direbbe Cotta[13], ossia il dialogo faccia a faccia, in cui l’idea di giustizia si incarna nell’attenzione e nel dono.L’abitare nella polis suppone la cooperazione dei singoli all’impresa cooperativa in atto (“fratellanza civile”), affinché il bene non sia imposizione, ma maturi all’interno delle scelte e delle convinzioni valoriali dei suoi mem­bri, uniti appunto da tale condivisione («la comunione implica… che io sap­pia che gli altri conoscono e desiderano lo stesso oggetto e che essi vogliono che sia realizzato attraverso l’azione della nostra comunità»[14]). Non dunque un’unione in funzione della difesa, del cumulo dei vantaggi, della necessità, del legame giuridico formale, ma il comune riconoscimento della condivisione della condizione umana e dei suoi valori.Questo di più dello slancio etico non razionale fa la differenza del bene comune dalla giustizia intesa come equità. Le analisi critiche del bene comune, così come sono presentate da Marx o dagli utilitaristi o dagli economisti non vengono respinte in toto, ma considerate incomplete senza quei valori di amicizia solidale, ins­critti nello slancio etico della persona, che non è obbligata a seguire il bene comune per imposizione o calcolo, ma perché rispondente alla sua interna ten­denza alla solidarietà. Perché il bene comune si realizzi non bastano leggi, ma occorre fare affidamento su ciascuno, considerato in grado di riconoscere con la ragione e la volontà l’importanza della responsabilità personale nei confronti del bene, come facente parte della struttura del suo essere al mondo. Perciò è possibile collaborare al bene comune senza cozzare con la propria natura, ma assecondandola ed insieme orientandola verso spinte proso­ciali, da valorizzare al fine di un’opera comune attiva e partecipata. Tutto ciò che esprime tale sentimento di collaborazione, anche indipendentemente dalla imposizione e/o dall’interesse individuale, ha cittadinanza in una polis so­lidarista, ivi compresa l’attività di volontariato e di gratuita prestazione di cure, il momento della solitudine, della contemplazione, della preghiera.L’obiettivo del bene comune non può essere raggiunto senza garantire i di­ritti di cittadinanza, specie a vantaggio dei soggetti e dei popoli meno tutelati dalla selvaggia concorrenza degli interessi. A questo mirava Maritain nel trat­teggiare la Dichiarazione internazionale dei diritti delle Nazioni Unite nel 1948, con l’articolazione dei diritti dell’uomo come crocevia delle diverse fedi. Si trattava di mirare ad un accordo pratico che realizzasse il massimo bene possibile, al di là della condivisione dei fondamenti teoretici e religiosi che sottendono le diverse visioni del mondo[15].Tuttavia, in tutte le Dichiarazioni di questo genere, i diritti vengono rivendicati dimenticando da un lato il loro corrispettivo nell’obbligazione e dall’altro il loro fondamento ontologico in un “diritto supe­riore”[16]. Il rispetto della struttura ontologica fondamentale della persona fa sì che il Bene comune non sia mai un accomunare beni, ma esprima il potenziamento di quella libera circolarità dei doni che sancisce il primato etico della persona sullo Stato. È intrinseco all’ethos che della persona il suo relazionarsi agli altri come un dono. Riprendendo i principi del personalismo, la Centesimus annus afferma: «È mediante il libero dono di sé che l’uomo diventa autenticamente se stesso, e questo dono è reso possibile dall’essenziale capacità di trascendenza della per­sona umana. L’uomo non può donare se stesso ad un progetto solo umano della realtà, ad un ideale astratto o a false utopie. Egli in quanto persona può donare se stesso ad un altra persona o ad altre persone e, infine, Dio che è l’autore del suo stesso essere ed è l’unico che può pienamente accogliere il suo dono… È alienato l’uomo che rifiuta di trascendere se stesso… È alienata la società che, nelle sue forme di organizzazione sociale, di produzione e di consumo, rende più difficile la realizzazione di questo dono e il costituirsi di questa solidarietà inter-umana»[17].Passi di questa portata mettono in guardia dalla convinzione accreditata da un certo laicismo secondo cui agnosticismo e relativismo scettico siano le filosofie della demo­crazia: «Se non esiste nessuna verità ultima la quale guida e orienta l’azione politica — scrive Giovanni Paolo II —, allora le idee e le convinzioni possono essere facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza va­lori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo»[18]. Perciò l’ispirazione personalista oggi continua a reclamare lo statuto etico-on­tologico come coessenziale a quello esistenziale e fenomenologico, anche se accetta nel discorso politico la necessità del consenso democratico. 

 Excursus  Il Bene comune nel recente Magistero

 [19] La dottrina sociale della chiesa non propone un sistema particolare politico ed economico, ma valuta in quale misura i diversi sistemi storico-politici siano o non siano conformi alle esigenze della dignità e della libertà della persona umana, promuovano o non promuovano il bene co­mune nazionale e univer­sale[20]. Giovanni Paolo II suggerisce di ripensare gli stessi organismi internazionali alla luce del bene comune: «Le Organizzazioni internazionali, secondo l’opinione di molti, sembrano trovarsi a un momento della loro esistenza, in cui i meccani­smi di funzionamento, i costi operativi e la loro efficacia richiedono un at­tento riesame ed eventuali correzioni. Evidentemente, un processo così deli­cato non si potrà ottenere senza la collaborazione di tutti. Esso suppone il su­peramento delle rivalità politiche e la rinuncia ad ogni volontà di strumenta­lizzare le stesse Organizzazioni, che hanno per unica ragion d’essere il bene comune. Le Istituzioni e le Organizzazioni esistenti hanno operato bene a fa­vore dei popoli. Tuttavia l’umanità, di fronte a una fase nuova e più difficile del suo autentico sviluppo, ha oggi bisogno di un grado superiore di ordina­mento internazionale, a servizio delle società, delle economie e delle culture del mondo intero»[21].Per tutti dunque un impegno di coinvolgimento forte a vivere dentro la sto­ria il proprio servizio alla città degli uomini e perciò al bene comune e all’integrale promozione di ogni persona. Su questi temi è tornata la Centesimus annus, quando, nell’esaltare il sistema democratico, ribadisce che non in tutti i paesi dove tale sistema è vigente ci sono le condi­zioni di vivibilità per ogni persona umana. «Ci si riferisce — scrive il papa — … anche a diversi aspetti di una crisi dei sistemi democratici, che talvolta sem­bra abbiano smarrito la capacità di decidere secondo il bene comune»[22]. È il criterio del bene comune, infatti, l’elemento legittimante dei sistemi politici. È necessario perciò creare «strutture di partecipazione e di corresponsabilità», ben sapendo che le formule di valutazione del consenso possono favorire devia­zioni del costume politico: «Le domande che si levano dalla società — sottoli­nea il Papa — a volte non sono esaminate secondo criteri di giustizia e di mora­lità, ma piuttosto secondo la forza elettorale o finanziaria dei gruppi che la so­stengono. Simili deviazioni del costume politico nel tempo generano sfiducia e apatia, con la conseguente diminuzione della partecipazione politica e dello spirito civico in seno alla popolazione, che si sente danneggiata e delusa. Ne risulta la crescente incapacità di inquadrare gli interessi particolari in una coe­rente visione del bene comune»[23]. Sottolineare l’importanza della partecipazione dal punto di vista politico, significa anche promuovere l’approfondimento e la diffusione di una retta concezione della persona umana. «Un’autentica democrazia è possibile solo in uno Stato di diritto e sulla base di una retta concezione della persona umana in campo culturale e religioso. Essa esige che si verifichino le condizioni necessarie per la promozione sia delle singole persone, mediante l’educazione e la formazione dei veri ideali, sia delle soggettività della società mediante la creazione di strutture di partecipa­zione e corresponsabilità»[24]. Dalla retta concezione della persona umana de­riva un concetto del bene comune che non può essere la somma degli interessi particolari, «ma implica la loro valutazione e composizione fatta in base ad un’equilibrata gerarchia di valori e, in ultima analisi, ad un’esatta compren­sione della dignità e dei diritti della persona»[25].In base a tale concetto, lo Stato è legittimato ad intervenire contro partico­lari situazioni di monopolio, in situazioni eccezionali, svolgendo azioni di supplenza: «Simili interventi di supplenza, giustificati da urgenti ragioni at­tinenti al bene comune, devono essere, per quanto possibile, limitati nel tempo»[26]. Sono interventi straordinari perché non cancellano quel principio di sussidiarietà che la Centesimus così ripresenta: «Una società di ordine supe­riore non deve interferire nella vita interna di una società di ordine inferiore, privandola delle sue competenze, ma deve piuttosto sostenerla in caso di ne­cessità ed aiutarla a coordinare la sua azione con quella delle altre componenti sociali, in vista del bene comune»[27]. Anche il concetto di sussidiarietà viene regolato dal principio superiore del bene comune. Il Magistero recente denuncia che nel mondo contemporaneo la miseria culturale e spirituale insieme alla povertà economica minacciano di assumere forme gigantesche. Specie nei paesi più poveri, si profilano all’orizzonte crisi drammatiche, di cui tutti subiranno le conseguenze, se non si prenderanno in tempo misure coordinate a livello internazionale[28]. 


[1] J. Maritain, La persona e il bene comune, cit., 31; Id., I diritti dell’uomo …, cit., 9.
[2] Cf F. Kirkpatrick, Community: A Trinity of Models, Washington D. C. 1986, che fa risalire a M. Buber il tipo di comunità mutualistica fondato sulla per­sona.
[3] H. G. Gadamer, Verità e Metodo, tr. it. Milano 1983, 353.
[4] Cf F. Gentile, Intelligenza politica…, cit., 43 ss.
[5] S. Weil, Écrits de Londres, cit., 53.
[6]  P. Ricoeur, Éthique et politique, cit.,405,.
[7] E. Berti, La razionalità pratica tra scienza e filosofia, in Le vie della ragione, Bologna 1987, 55-76, 66.
[8] Su questi aspetti e sulla distribuzione del potere massmediale in Italia cf M. Olmi, I mezzi di comunicazione di massa, Roma 1992.
[9] J. Maritain,I diritti dell’uomo, cit., 19-20.
[10] Ibidem.
[11] Per la descrizione “orchestrale” del bene comune cf A. M. Quintas, Analisi del bene comune, Roma 1979, 111-112.
[12] Cf I. Mancini, L’ethos dell’occidente, cit. parte IV: Ethos del futuro. Cf anche la relativa recensione di G. Crinella, Mancini e l’ethos della civiltà occidentale, in «Behemoth», 9 (1990), 29-32.
[13] Cf S. Cotta, Giustificazione …cit., 110 ss.
[14] Y. R. Simon, Filosofia del governo democratico, tr. it. Milano 1983, 66.
[15] Sulla necessità di ripensare il bene comune di stampo maritainiano, per co­niugarlo col libero mercato cf M. Novak, Free Persons and the Common Good, Lanham 1989.
[16] Cf S. Cotta, Il fondamento dei diritti umani, in AA. VV, I diritti umani. Dottrina e prassi, a cura di G. Concetti, Roma 1982, 645-654; R. Gatti, Abitare la città…, cit.,186.
[17] Giovanni Paolo II, Centesimus annus, 1. V. 1991, «L’Osservatore Romano» del 2-3 Maggio 1991, n. 41 (abbr. CA ).
[18]CA, n. 46.
[19] Per l’analisi del tema nel magistero precedente questo pontificato rinvio al mio Riscoprire la politica, cit., 118-125.
[20] Cf La dottrina sociale della Chiesa, in « La Civiltà cattolica», 3306 (1988), 521-534, 529
[21] SRS, n. 43.
[22]CA, n. 47.
[23]Ibidem.
[24]CA, n. 46.
[25] CA, n. 47.
[26] CA, n. 48.
[27] Ibidem.
[28] Cf CA, n. 56.