Dopo un giorno di silenzio, la riflessione su Eluana di Cristiana Dobner ci convince molto

ELUANA ENGLARO – Una traccia feconda
La sua morte e le nostre domande

Il tessuto della vita umana si è lacerato, definitivamente, il punto di non ritorno non è stato raggiunto con esperimenti scientifici o in base a protocolli legali, Eluana ha dimostrato di essere persona e persona viva, con decisione propria. Ha riconosciuto il suo momento.
Attraversare quella linea che separa il tempo dal non tempo è inscritto già nel nostro nascere, non saremmo persone umane se così non fosse. Tutto il creato conosce questo moto che procede inesorabile. Non è però da tutti poterlo attraversare facendolo proprio, non con un’eutanasia indotta o provocata, ma con il gesto di colui che lancia in mare, per l’ultima volta, la sua barca e poi la segue, iniziando così l’ultimo grande viaggio. Solenne perché la partenza è nota, è nostra, l’arrivo desiderato e amato, se si è vissuti nella fede, perché è il Volto del Padre, ma pur sempre con un margine di non conoscenza che scuote la nostra natura umana.
Mentre scoccavano le sue ultime ore, riandavo ad una xilografia antica, conservata in un’abbazia, in cui il Padre abbraccia il Figlio inchiodato sulla Croce, mentre lo Spirito aleggia sopra di loro. Un abbraccio che sostiene, che dona forza nella paura attanagliante della prospettiva di un deserto in cui mancano cibo e acqua, non perché non ci sono o sono esauriti, ma perché, consapevolmente, ti sono stati negati e sottratti.
Questo è l’oltraggio più tagliente: chi con te cammina e condivide l’esistenza, proprio questi ti costringe nella trappola di un deserto che non conosce oasi. Da qui, la grande marea montante e impetuosa del panico che avvinghia e che conosce una sola uscita: lasciarsi travolgere.
Nell’abbraccio del Padre però Eluana non è stata travolta ma accolta, fin da quando l’amore dei genitori l’ha immessa nella storia, un grembo che stringe sempre generando e ricomponendo, quando gli eventi del quotidiano ammaccano.
Per i credenti, tutta la Chiesa, non in una massa anonima ma in una comunità di volti conosciuti, è sempre stata pulsante intorno a lei e con lei, tutti con l’empatia dettata dall’appartenere alla grande schiera di coloro che sono stati in cammino verso il Padre, ciascuno a suo tempo e nel suo proprio segmento di storia.
Il silenzio della lastra di marmo che la copriva ora si è rotto, ma rimane il nostro, forse finalmente non ribollente, privo del rumore delle parole polemiche e degli interventi di schieramento, ma ricco della nostra umanità condivisa e partecipata dinanzi ad una realtà che sempre ci supera e ci interpella.
Il bozzolo di pietra si è scisso e si è schiuso, non verso la pianura degli asfodeli del mondo greco, ma verso quel giardino in cui il Creatore passeggia alla brezza della sera e parla con gli uomini e con le donne, guardandoli in volto.
Non si percepisce estraneità e tristezza in questo lasciare noi ancora viandanti, perché Eluana ha impresso una traccia feconda che ha suscitato le grandi interrogazioni, sempre micidialmente senza esiti, ma simultaneamente lo slancio delle risposte concrete, intrise di dedizione, di amore, per mesi e anni di prossimità gratuita.
La sua debolezza non parlò il linguaggio dell’inefficienza, dell’inutilità ma quello della fragilità della nostra argilla che, improvvisamente, può cedere nella sua struttura e ridursi ad un ammasso informe.
Nessuno nella vita è forte oppure ha acceso un contratto di garanzia di riuscita, di vigore, di potenza; tutti se non sono deboli, possono diventarlo domani. Tutti, solo se coesi e solidali possiamo arginare la nostra argilla, ridarle forma con qualche colpo di pollice amico.
Chi è debole diventa quella leva che aziona i pensieri segreti trattenuti nel più intimo del cuore, che emergono senza steccati e rivelano la verità del sentire.
Una fecondità nuova può venire a noi proprio da Eluana, una presa di coscienza verso gli inermi, verso chi non può neppure tendere la mano ma ha bisogno che sia afferrata per resistere. Nessun secolo è stato indenne dalla sofferenza fisica o mentale, dalle malattie o dai disastri ecologici, la vita però non ha mai perso la speranza.
Margherite Yourcenar chiamava il transito “morire a occhi aperti”, Eluana vissuta ad occhi aperti,
ha deciso lei stessa che il suo soffio avrebbe trovato il riposo, si sarebbe potuto adagiare nel grande Soffio dello Spirito.
Il respiro donatole in quel soffio creatore non si è spento o si è esaurito, il Creatore stesso lo ha raccolto nell’abbandono del primitivo gesto di amore, in quel bacio che suggella il ritorno a casa, soffio nel Soffio.

Cristiana Dobner
carmelitana scalza