Don Giovanni Saverioni, sacerdote di Cristo per sempre, è salito alla Casa del Padre

 «Sono nato a Sciusciano, il 5 aprile 1919 in una famiglia di piccoli proprietari. Sapete? Sciusciano significa: il paese delle prugne bianche, le migliori in assoluto e ce n’erano talmente tante che i contadini non riuscivano a mangiarle. Così le coglievano, le mettevano in mezzo al fieno e poi, quando d’inverno andavano a tagliare il fieno, trovavano le prugne secche! Entrato in seminario a 10 anni, ho compiuto gli studi dalla quinta elementare al quinto ginnasio a Teramo, i tre anni di liceo e i quattro di teologia a Chieti».  Ordinato sacerdote il 29 settembre 1944 a Teramo, la sua prima parrocchia fu quella di Tottea di Crognaleto dove rimase dal 1945 al 1949. Fu poi parroco di Poggio Cono dal 1950 al 1968, quindi fu chiamato a organizzare la parrocchia di Villa Mosca dove è rimasto fino al 2 settembre 2000. «Ho insegnato Lettere nel Seminario Aprutino, Religione al Liceo Classico di Teramo (1952-53), poi all’Istituto “V. Comi” di Teramo (1960-1985). Sono un giornalista da una vita, ho fondato: La Tenda, il piccolo mensile parrocchiale che fino a qualche tempo fa, distribuivamo in 2400 copie anche all’estero, e la Libreria Cattolica di Teramo» ( da una intervista)

 

 

  Don Giovanni Saverioni, sacerdote di Cristo per sempre, è salito alla Casa del Padre.   Sacerdote, insegnante e giornalista, si è spento serenamente dopo aver vissuto, tra due secoli, un’intensa vita ricca di avvenimenti, di cultura e di contatti con le persone. Il suo racconto della Liberazione di Teramo e L’Aquila, 68 anni fa, dai nazifascisti, è una testimonianza verace di fatti storici che alcuni desiderano dimenticare per convenienza politico-ideologica. Don Giovanni Saverioni, in prima linea nella testimonianza della Fede nella vita civile e religiosa aprutina, grazie al suo prezioso diario, nella nostra intervista esclusiva speciale ricorda:“Quel 16 giugno 1944, la Liberazione di Teramo…”. Il brindisi con il Generale dell’Ottava Armata e il Cappellano militare al “Caffè Fumo”, il rigido inverno del 1944, l’aiuto prestato ai soldati alleati Edmund William Layland e Nicola Kartashov. L’uccisione di due preti abruzzesi da parte del partigiano comunista Mirko Jovanovic: don Salvatore d’Ovidio, parroco di Poggio Umbricchio, e don Gregorio Ferretti di Collevecchio. Il dialogo tra Don Giovanni Saverioni, a conclusione del Congresso Eucaristico Diocesano (23-30 Giugno 1985), e Papa Giovanni Paolo II sulla storica presenza dei cittadini polacchi a Teramo. Il ricordo di Monsignor Antonio Micozzi.  (di Nicola Facciolini)

 

“Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre!”(Eb 13,8). Don Giovanni Saverioni, sacerdote di Cristo per sempre, è salito alla Casa del Padre. Sacerdote, insegnante e giornalista, aveva 93 anni. Era nato a Sciusciano (Teramo) il 5 Aprile 1919. Da tempo sofferente, Don Giovanni si è spento serenamente dopo aver vissuto, tra due secoli, un’intensa vita ricca di avvenimenti, di cultura e di contatti con le persone. Era stato ordinato sacerdote il 29 Settembre del 1944 ed era uno dei più anziani sacerdoti di Cristo nella Curia aprutina. Don Giovanni, come molti ricordano e testimoniano nell’Anno della Fede, è un esempio mirabile di sacerdote colto e sincero: ha servito la Chiesa di Cristo e la Comunità dei fedeli con grazia, carità, passione civile e onestà d’insegnamento e dottrina. Da Tottea di Crognaleto, sua prima parrocchia, da Villa Mosca a Poggio Cono dove aveva trascorso 18 anni di sacerdozio al servizio della comunità dei fedeli cattolici. Dal 1968 al 2000 la chiesa della “Madonna della Salute” (da lui fondata e fatta costruire) nel popoloso quartiere aprutino era stata la sua casa, aperta ai fedeli che trovavano in Don Giovanni Saverioni un esempio mirabile di sacerdote preparato, ieratico e gentile con i piccoli, che non mancava mai di esternare tutti i suoi preziosi consigli di vita, di cultura e di fede. Molti ne ricordano anche l’esperienza di professore di lettere e di religione negli istituti d’istruzione superiore d’Abruzzo. Per un anno al Liceo Classico “Melchiorre Delfico” e per 25 primavere al “Comi” di Teramo. Da giornalista, si ricorda la fondazione e la direzione del famoso periodico “La Tenda” diffuso in tutto il mondo e l’iniziativa di aprire la Libreria Cattolica di Teramo. Umile prete di campagna, viaggiatore, poeta e scrittore verace, Don Giovanni Saverioni ha attraversato indenne la bellezza di 68 anni di storia patria tra il Novecento e il Duemiladodici, vivendo da protagonista fatti che alcuni vorrebbero semplicemente vedere sepolti per sempre sotto la spessa e paludata coltre ideologica della disinformazione storica e politica mentre le solite “passerelle” invocano invano l’attenzione dei media e dei giovani stanchi delle bugie raccontate loro sui banchi di scuola. L’Anno della Fede invoca la testimonianza verace e sincera di un uomo della fede e della ragione, che ha dedicato la sua vita Cristo, al servizio dei fratelli e della comunità dei fedeli. E la verità di Don Giovanni Saverioni è quella di fatti vissuti in primissima persona da raccontare e diffondere soprattutto ai più giovani ed a quanti non c’erano in quei giorni assai tristi della tragica Seconda Guerra Mondiale scatenata da tre loschi figuri. Quando i nostri patrioti preparavano la strada alle Armate alleate dei Generali Montgomery ed Alexander, gli artefici della Liberazione di Teramo e L’Aquila dai nazifascisti, tra il 13 e il 16 Giugno 1944. Nella mia intervista esclusiva speciale, in uno dei speciali brindisi al Caffè Grand’Italia (ex Caffè Fumo), chiesi a Don Giovanni Saverioni di raccontare la Storia. “È passato il tempo della lepre!” – amava dichiarare preferendo la semplicità della testimonianza, delle opere e dei valori, alla complessità ideologica ovunque dominante. “Sono nato a Sciusciano il 5 Aprile1919 inuna famiglia di piccoli proprietari. Sapete? Sciusciano significa: il paese delle prugne bianche, le migliori in assoluto e ce n’erano talmente tante che i contadini non riuscivano a mangiarle. Così le raccoglievano, le mettevano in mezzo al fieno e poi, quando d’inverno andavano a tagliare il fieno, trovavano le prugne secche!”. Entrato in seminario all’età di 10 anni, Don Giovanni compie gli studi dalla quinta elementare al quinto ginnasio a Teramo, i tre anni di liceo e i quattro di teologia a Chieti. “Ordinato sacerdote il 29 Settembre1944 aTeramo, la mia prima parrocchia fu quella di Tottea di Crognaleto dove rimasi dal 1945 al 1949. Fui poi parroco di Poggio Cono dal 1950 al 1968, quindi fui chiamato a organizzare la parrocchia di Villa Mosca dove sono rimasto fino al 2 Settembre 2000. Ho insegnato Lettere nel Seminario Aprutino, Religione al Liceo Classico di Teramo (1952-53), poi all’Istituto “V. Comi” di Teramo (1960-1985). Sono un giornalista da una vita, ho fondato La Tenda, il piccolo mensile parrocchiale che fino a qualche tempo fa, distribuivamo in 2400 copie anche all’estero, ela Libreria Cattolicadi Teramo”. Don Giovanni, i Teramani come vissero l’arrivo dei patrioti e degli alleati, quei giorni del 14-16 Giugno 1944? “Leggo su questa mia agendina del 1944:. L’anno dopo, il 16 Giugno 1945, scrissi un articolo per ricordare l’avvenimento, precisando che, forse, doveva trattarsi del Generale Montgomery o Alexander. La mattina del 16 Giugno 1944, in una giornata di sole intenso, da Torricella discesero i patrioti che durante una stagione di freddo asprissimo, avevano fatto la spola sulle nostre montagne. Quel giorno il sole volle avvolgerli tutti, saturarli di luce e calore, quasi in compenso di tanto freddo patito. Sfilarono senza l’inquadramento rigido delle parate fasciste: alcuni laceri e sporchi, tutti col sorriso, la gioia e il canto sulle labbra. L’umile popolo che sa afferrare immediatamente il significato di una manifestazione spontanea, applaudì quelli che non avevano avuto la pretesa di scrivere un’epopea eroica sui nostri monti, ma che avevano voluto semplicemente agitare la bandiera della libertà rischiando la vita. Tuttavia quelli erano momenti di odio contro i fascisti e i loro collaboratori. Si voleva la vendetta da parte degli antifascisti e soprattutto dei patrioti. Mentre i patrioti sfilavano per il Viale Bovio e si immettevano su Piazza Garibaldi, io mi trovavo tra la folla, all’altezza dell’attuale chiesa dell’Immacolata. Accanto a me c’era la signora Luisa Venturoni, madre del partigiano Antonio Scarponi. La signora, emozionata per la sfilata dei patrioti, ma soprattutto perché era finito l’incubo di oltre un anno per il figlio fuggiasco e continuamente in pericolo, disse forte:. Lo stesso amico Ammazzalorso, affacciandosi al balcone della Prefettura, pronunciò parole di riconciliazione. Purtroppo le loro voci non furono ascoltate e i morti ci furono ancora”. Don Giovanni, poi cosa accadde? “A mezzogiorno Teramo già riprendeva il suo regolare andamento, pur conservando un non so che d’insolito e di festa. Io, Ammazzalorso e Bruno Santacroce andammo a mangiare alla casa del partigiano Antonio Scarpone, dietro la villa comunale. Ma verso le ore 14 una furiosa sparatoria a piazza Garibaldi, all’imbocco di Corso San Giorgio, richiamò l’attenzione di tutti. Gli animi agitati da tanti timori si misero in apprensione: erano forse tornati i tedeschi? Della gente accorse in piazza Garibaldi e lungo il Corso…Ancora qualche fucilata, poi grida confuse di gioia. Erano due soldati alleati, della Nembo, giunti da Ortona. Come il lampo corse la voce: è arrivato il Generale dell’VIII Armata col suo Cappellano! Giunsi anch’io a Piazza Caduti perla Libertà, già gremita di gente. Dal balcone del Palazzo del Consiglio Provinciale dell’Economia si erano affacciati il Generale e il Cappellano che aveva subito cominciato a parlare. Gli sguardi e gli animi erano tesi verso quell’uomo che, parlandoci in italiano, sembrava portarci l’eco di Roma (liberata il 4 Giugno, NdA) proiettata anche sulle rive del Tamigi. Interprete dei sentimenti del Generale, il Cappellano disse:. Sui teramani, abituati dai tedeschi al linguaggio della provocazione e della minaccia, passò un’ondata di immensa commozione. Bastò quella frase perché cadesse, come d’incanto, tutta la montatura di una propaganda improntata alla calunnia di un nobile popolo che ha sempre fraternizzato con gli Italiani. Poi il Cappellano, sotto la maglietta e il basco del soldato, risentì affiorare il suo cuore religioso e ci esortò a ringraziare Dio per l’ottenuta libertà. Era quello che ci voleva. Dopo tante stragi e tanto odio, la figura di quel benedettino nato sotto un altro cielo ma animato dalla nostra stessa fede, ci apparve dal balcone come un angelo della pace. Poi continuò:. E Monsignor Antonio Micozzi che da una finestra dell’Episcopio ascoltava le parole del Cappellano, sporse il suo viso cereo. Era diventato un’ombra! Diciassette anni prima era venuto a Teramo sano e robusto; ora viveva gli ultimi giorni della sua vita, consumandosi, a poco a poco, come un lume senza olio. La folla applaudì e Mons. Micozzi, con un gesto ampio e solenne, alzò le mani scarne e ci benedisse. Tutti erano commossi e tornarono ad applaudire”. Don Giovanni, i Teramani come risposero all’invito del Cappellano militare? “Il Cappellano, continuando a parlare, ricordò il Sommo Pontefice Pio XII. Quel ricordo del Papa, fatto in un giorno di Vittoria e da un britannico, aveva un significato profondo:la Chiesauniversale, con la sua potente attrazione, volge a Roma anche i figli più lontani e più estranei all’Italia. Anche la foresta ha un canto per il successore di San Pietro. Il Cappellano concluse:. I demagoghi, gli arruffapopoli, gli oratori famosi, preoccupati degli applausi scroscianti, alla fine di ogni discorso vanno in cerca della frase brillante per la chiusa. E difatti scroscia l’applauso, ma spesso è accompagnato da un sorriso che cela un furbo sottinteso. Questa volta la frase altisonante era mancata e, caso strano, si finiva con un’Ave Maria. Il popolo dapprima rimase incerto, era troppo abituato ad altri finali, poi con sicurezza ripeté il Saluto angelico ed applaudì. I cittadini di Teramo ritrovavano allora il loro vero volto: quello della preghiera, del perdono e della fratellanza. E ricordo chiaramente l’incontro che avemmo, circa 13 persone, con il Generale e il Cappellano al Caffè Fumo, dopo il suo discorso dal balcone di quella che erala Cameradi Commercio, gli attuali uffici del Comune in piazza Martiri. Brindammo con dello spumante, una bevanda introvabile a quei tempi. Il Generale, naturalmente, brindò alla Vittoria; il Cappellano, volgendosi verso di me, brindò dicendo:. In Inghilterra, nel passato, l’offesa più grave che si potesse fare a una persona, era dirgli:”. Oggi, 68 anni dopo, il Caffè Grande Italia (ex Fumo) dovrebbe ricordare quello storico brindisi, magari esponendo qualche foto d’epoca di don Giovanni e del Generale dell’VIII Armata! Don Giovanni, scoppiò anche la guerra civile nel Teramano? “Nell’inverno del 1944 c’era anche la guerra civile in Italia, come descrive bene Giampaolo Pansa nel suo libro Il sangue dei vinti. Sui nostri monti e sulle nostre colline, vivevano alla macchia i patrioti, dopo lo scontro con i tedeschi al Bosco Martese. Io li incontravo quasi ogni sera: Armando Ammazzalorso, Angelo De Dominicis e Bruno Santacroce (che avevano sposato due ragazze di Sciusciano), Arturo Scarpone e Bruno Cellini che fu ucciso una notte d’inverno del 1944 oltre il Ponte Vezzola dopo aver cenato con me”. Don Giovanni, Cellini fu ucciso mentre le due formazioni Rodomonti e Ammazzalorso, credendo di contrastare i tedeschi, sparavano l’una contro l’altra? “Non penso, perché fu l’amico socialista Ammazzalorso a raccontarmi come si svolsero realmente i fatti. Felice Rodomonti si appostò per uccidere il cugino Marcucci, poiché questi aveva lasciato la sua formazione partigiana per unirsi con Ammazzalorso, ma uccise per sbaglio Bruno Cellini. La vendetta si consumò nel Dopoguerra: l’ex capo partigiano Felice Rodomonti organizzava spesso delle serate da ballo nella scuola elementare vicino Cartecchio e una sera vi andò anche il cugino Attilio Marcucci, credendo ormai passato ogni rancore nel cuore di Felice. Il quale appena lo vide, gli sparò: Rodomonti fu accusato dell’omicidio del cugino Marcucci, vi fu la causa che nessuno può negare, ma fu scagionato, si disse, per legittima difesa grazie alla testimonianza di alcuni amici che affermarono di aver visto Attilio impugnare una rivoltella”. Don Giovanni, quali altri fatti di sangue macchiarono le nostre contrade? “A Montorio al Vomano vi fu l’accanimento del partigiano yugoslavo Mirko Jovanovic contro i preti, a dimostrazione dell’esistenza di una lotta parallela anticlericale: era fuggito in Italia e si era unito ai patrioti contro i nazifascisti. Mirko uccise due sacerdoti: don Salvatore d’Ovidio, parroco di Poggio Umbricchio, e don Gregorio Ferretti di Collevecchio. E pensare che i montoriesi volevano pure intitolargli una strada! Ora, un prete di campagna non parteggia per nessuno in guerra: mi domando ancora, a distanza di 67 anni, perché mai furono uccisi quei due sacerdoti, se non per l’odio viscerale dei comunisti versola Chiesacattolica. Noi preti davamo da mangiare e da bere a tutti, anche ai tedeschi. Certo, noi volevamo la liberazione e la libertà. E non si può dimenticare il contributo di sangue dei nostri patrioti alla causa: è vivo il ricordo del martire Mario Capuani e di tanti altri. Ma le vendette successive alla liberazione di Teramo, furono una infamia. Fu l’amico Ammazzalorso a raccontarmi questi fatti e non credo che l’avrebbe fatto se non fossero stati veri e autentici. Una volta, nella casa di mio zio Raffaele, Ammazzalorso mi disse:, per indicare che lui quelle cose non le faceva. Ma io non capii subito la differenza perché non sapevo nulla dei partiti politici, solo che il Papa aveva condannato il marxismo. Durante il Ventennio, infatti, non si poteva parlare di partiti: o eri fascista o eri morto. I libri sui partiti venivano custoditi in cantina”. Don Giovanni, alcuni soldati alleati trovarono rifugio e conforto nelle nostre case? “Qualche volta andavo a trovare quelli che vivevano nascosti in un fienile, a Scapriano. Ricordo, tra gli altri, un giovane soldato britannico, il dott. Edmund William Layland di Sheffield (Inghilterra) che mi disse:. Una sera ho avuto un incontro particolare con un soldato russo, fuggiasco anche lui, sulle nostre colline di Castrogno, per sfuggire ai tedeschi, in un tempo in cui vivevamo di paura e di ardimento per la guerra civile. Si chiamava Nicola Kartashov. Ce l’ho ancora davanti agli occhi con quel pizzo biondo e l’andatura dinoccolata e stanca. Il bastone in mano e un cencio in testa: aveva l’aria di un brigante e di un sognatore insieme. E, quando comparve a San Pietro ad Lacum (in realtà ad Acumen che significa in cima: questo è il vero nome del paese) dove c’era la parrocchia, quasi tutti lo credettero una spia tedesca. Ci dicevano le donne a bassa voce:. Io tornavo col parroco dal camposanto di S. Pietro ad Lacum. All’invito di favorire in casa, non seppi rifiutare e salii. Era la sera dell’11 Gennaio 1944. Era strano davvero, Nicola Kartashov! Sedeva vicino al fuoco. Vedendoci entrare, si alzò e ci salutò inchinandosi. Al nostro invito, sedette di nuovo, ficcò il bastone nel fuoco, cacciò un tizzo, accese la sigaretta mal fatta e cominciò a sorridere con l’indifferenza di chi è a casa sua. Non sapevamo come attaccare conservazione e rimanemmo muti mentre egli fumava. Pensammo che bisognava rompere il ghiaccio e gli domandammo chi fosse, donde venisse. Ci raccontò di essere stato fatto prigioniero dai tedeschi e di essere fuggito. Accennò alla Russia e a Mussolini. Per saggiare meglio il terreno, gli chiesi notizie di Tolstoj, Gor’kij e Dostoevskij. Era abbastanza colto e rispose con precisione: era diplomato in pianoforte. Divenne espansivo e parlò di Rossini e di Verdi. Alzò lo sguardo al cielo ed esclamò:. La musica gli aveva rimesso l’allegria addosso e attaccò Finestra chiusa e Firenze: gli occhi brillavano come due fiammelle, gesticolava e agitava il bastone come Charlot. Era troppo e tornammo a dubitare”. Don Giovanni, dubitavate che Nicola Kartashov fosse un soldato alleato? “Tentai ancora chiedendogli se conosceva Katiusha. Fu come avesse ricevuta una scossa. Depose il bastone, con gli occhi al cielo  accompagnando coi gesti la voce non bella di baritono, cantò:. Che significa in russo: la terra era fiorita di frutta / nella bruma dormivano le rose. In quel momento, dinanzi agli occhi luccicanti di Nicola, saranno passate le rive incantate del Volga, la steppa sconfinata, avrà sentito il palpito della Russia lontana, i colpi dei mortai sprofondati nella neve, la poesia di una fanciulla sulla pianura ondulata., continuava a cantare: Katiusha era sola nel prato / veniva sulla riva del fiume. La canzone si snodava nella sua nenia triste e cadenzata, i ricordi si affollavano sempre più numerosi e l’anima si faceva trascinare, cullata dalle acque del fiume. Terminata la canzone, il russo tacque e riaccese la sigaretta. Io aspettai un poco e poi tornai alla carica chiedendogli se conosceva il Volga. Nicola non rispose, ma, afferrato di nuovo dalla nostalgia della patria lontana, invaso come da una frenesia, attaccò con lo stesso entusiasmo la canzone del fiume sacro. Dissi sottovoce al Parroco che era impossibile dubitare: era un russo, al massimo al servizio dei tedeschi. Eppure non sapevamo spiegare quel suo modo strano di agire. Era troppo espansivo per essere un prigioniero, cambiava troppo facilmente di umore, lui che sapeva di essere da tutti noi scrutato con l’avidità dello straniero e doveva avere il timore di chi teme qualche sorpresa. Nicola, intanto, dopo avere abbassato ancora lo sguardo a terra, tornò a parlare con serietà e pacatezza:. Io soggiunsi:. E il lui:, e scoppiò a ridere forte. Mi decisi a fare la domanda che mi interessava di più:. Il russo atteggiò un bel sorriso velato di tristezza e rispose:. E sorrise ancora, quasi compassionando se stesso, quasi chiedendo scusa. Quella frase mi ferì l’animo e mi svelò il vero volto del comunismo ateo. Dopo la guerra scrissi un articolo: come ci liberammo dai comunisti, e in montagna dovetti fare una lotta alla don Camillo, per difendere la religione e i valori cristiani. Feci dei veri e propri comizi anti-comunisti a Poggio Cono e Tottea in previsione delle Elezioni del 1946. Alcuni mesi fa, all’ospedale civile di Teramo ho incontrato una donna e un uomo di Tottea che non vedevo da una vita. Mi hanno richiamato alla memoria un fatto curioso di cui non mi ricordavo:, mi dissero.. Beh, Le lascio immaginare quante risate ci siamo fatti! Ma 68 anni fa le cose andavano così. Comunque in Russia e nei Paesi dell’Est ci sono andato davvero nel Dopoguerra e ho trovato quella miseria nera, incredibile, difficile da dimenticare”. Don Giovanni, il soldato russo si salvò? “Ho saputo, dopo un po’ di tempo, che Nicola Kartashov era stato sorpreso dai tedeschi sulla Teramo-Ascoli e ucciso. Mi è sembrato opportuno ricordare questo povero soldato russo, morto in Italia combattendo per la nostra Libertà, 68 anni fa, mentre i nostri, sulle orme dell’ARMIR, grazie al leader russo Putin e al premier Berlusconi, sono tornati sul Don, a ricordare i nostri soldati morti in Russia durantela Seconda GuerraMondiale, per riportare in patria le loro povere spoglie”. Interessante è la memoria del breve colloquio tra il Santo Padre Giovanni Paolo II (è in corso il Processo di Canonizzazione) e Don Giovanni Saverioni relativamente alla storica presenza dei cittadini polacchi a Teramo. Durante la visita a Teramo di Papa Giovanni Paolo II, il 30 Giugno1985, aconclusione del Congresso Eucaristico Diocesano (23-30 Giugno 1985), Don Giovanni Saverioni salutò il Santo Padre accennando alle relazioni avute dai cittadini polacchi con Teramo nei secoli. Giovanni Paolo II volle intrattenersi per alcuni minuti in fraterno dialogo con Don Giovanni, per saperne di più dalla viva voce del prete teramano. Il quale ricordò al Papa il pittore polacco Sebastiano Majewski, autore anche della Pala dell’altare della Sacrestia della Cattedrale di Teramo, dipinta nel 1625. “Majewski si firmava: “Polonus et civis teramnensis”(polacco e cittadino teramano). Don Giovanni ricordò, poi, a Giovanni Paolo II il sacerdote polacco Francesco Pradowski, filosofo insigne e letterato. “Egli incontrandosi una sera con degli amici teramani – ricorda don Giovanni al Papa – recitò una sua poesia che iniziava con questi versi: Tra Vezzola e Tordino, cheta riposa Teramo, fedelissima cittade, per le sue pappardelle assai famose. Francesco Pradowski morì il 23 Settembre 1798 (Cf. Giacinto Pannella: L’abate Quartapelle)”. Il Papa, con il suo benedicente sorriso, ringraziò Don Giovanni Saverioni e i presenti. Una giornata memorabile per tutti, in particolar modo per Don Giovanni, sacerdote verace del “non abbiate paura di aprire le porte del cuore a Cristo”, prete autentico in prima linea nella testimonianza della fede nei media, nella vita civile e religiosa aprutina. Giovanni Paolo II, nel suo libro “Dono e Mistero”, è convinto “che il sacerdote non deve avere alcun timore di essere fuori tempo, perché l’oggi umano di ogni sacerdote è inserito nell’oggi del Cristo Redentore. Il più grande compimento per ogni sacerdote e in ogni tempo è ritrovare di giorno in giorno questo suo oggi sacerdotale nell’oggi di Cristo”. L’ultimo saluto a Don Giovanni Saverioni il clero aprutino, i fedeli della sua parrocchia e i cittadini potranno offrirlo in occasione della sacra funzione religiosa funebre fissata per Sabato mattina 29 Dicembre 2012 alle ore 10 nella Chiesa Madre della Cattedrale di Teramo. Don Giovanni, che Dio ti accolga in Paradiso tra i Suoi Angeli e Santi, tra le braccia di Maria Santissima. Abbia inizio il “tempo della lepre” in Cielo. Le nostre più sincere condoglianze ai Famigliari. “Misericordias Domini in Aeternum cantabo! Tu sei sacerdote per sempre”. Don Giovanni, ci benedica dalla Casa del Padre!

                                                                                                                                                          

                                                                                                                       © Nicola Facciolini