Servire i laici non servirsi di loro!
Giulia Paola Di Nicola
Papa Francesco ha scritto alla Commissione per l’America latina, una lettera importante per capire il suo modo di vedere la Chiesa e rinnovarla. La lettera (datata 19 Marzo, ma diffusa il Aprile 2016), che è indirizzata al card. Marc Quellet, presidente della Commissione, riparte dalle speranze suscitate dal Concilio e ahimé per diversi aspetti deluse riguardo al “modo sbagliato di vivere l’ecclesiologia proposta dal Vaticano II”: “Ricordo ora la famosa frase ‘è l’ora dei laici’. Ma sembra che l’orologio si sia fermato… Abbiamo generato una élite laicale, credendo che siano laici impegnati solo quelli che lavorano in cose ‘dei preti’ e abbiamo dimenticato il credente che molte volte brucia la sua speranza nella lotta quotidiana per vivere la fede. Sono queste le situazioni che il clericalismo non può vedere, perché è preoccupato a dominare spazi”.
Non si tratta di entrare a gamba tesa nella vexata quaestio tra laici e clero o di accontentare i laici nelle loro alle rivendicazioni, ma di correggere una “deformazione” nella vita della Chiesa, comprendendo che il clericalismo “non solo annulla la personalità dei cristiani, ma tende anche a sminuire e sottovalutare la Grazia battesimale che lo Spirito Santo ha posto nel cuore della gente”.
Ci si sente rincuorati leggendo in questa lettera una premura che taglia corto con un laicato longa manus della Gerarchia, trattato come pecore alla maniera dantesca… “Trattandolo come ‘mandatario’ [il clericalismo] limita le diverse iniziative e sforzi e le audacie necessarie per poter portare la Buona Novella del Vangelo a tutti gli ambiti dell’attività sociale e soprattutto politica… va spegnendo poco a poco il fuoco profetico di cui l’intera Chiesa è chiamata a rendere testimonianza”. Francesco aggiunge poi: “Ci fa bene ricordare che la Chiesa non è una élite dei sacerdoti, dei consacrati, dei vescovi, ma che tutti formiamo il santo popolo fedele di Dio e dimenticarci di ciò comporta rischi e deformazioni nella nostra stessa esperienza sia personale sia comunitaria del ministero che la Chiesa ci ha affidato”.
La lettera vuole potenziare la fiducia del clero in tutti i battezzati: “Confidiamo nel nostro popolo, nella sua memoria e nel suo ‘olfatto’, confidiamo che lo Spirito Santo agisce in e con esso, e che questo Spirito non è solo ‘proprietà’ della gerarchia ecclesiale”.
Rispetto al profilo di prete che detta i comportamenti, controlla la vita dei credenti, suggerisce gli orientamenti sociali e politici, Papa Francesco richiama all’umiltà di chi, pastore o laico che sia, non ha le ricette preconfezionate e affronta come tutti le sfide della storia: “Non è mai il pastore a dover dire al laico quelle che deve fare e dire, lui lo sa tanto e meglio di noi. Non è il pastore a dover stabilire quello che i fedeli devono dire nei diversi ambiti… è illogico persino impossibile pensare che i pastori abbiano il monopolio delle soluzioni per le molteplici sfide che la vita contemporanea presenta. Non si possono dare direttive generali per organizzare il popolo di Dio all’interno della sua vita pubblica”. La necessaria ‘inculturazione’ della fede “è un lavoro artigianale e non una fabbrica per la produzione in serie di processi che si dedicherebbero a ‘mondi o spazi cristiani’ ”. Occorre imparare ad ascoltare tutti, accompagnare nelle difficoltà, stimolare la ricerca delle soluzioni, “come hanno fatto molti prima di noi, madri, nonne e padri, i veri protagonisti della storia. Non per una nostra concessione di buona volontà, ma per diritto e statuto proprio”.
In conclusione i laici sono “I protagonisti della Chiesa e del mondo; noi siamo chiamati a servirli, non a servirci di loro”.