«Gli educatori che pubblicano le loro ricerche sotto il titolo Verso l’oriente del testo. Ermeneutica, retorica ed estetica nell’insegnamento, si sono impegnati a mettere alla prova una teoria ermeneutica, ben strutturata, nell’insegnamento ai bambini del V circolo di Teramo».[1] Con queste parole Ricœur dà inizio alla sua prefazione di un lavoro, i cui risultati Antonio Valleriani insieme ai suoi maestri aveva presentato al filosofo, nel corso della cerimonia di conferimento della cittadinanza onoraria a Ricœur in occasione del suo ottantesimo compleanno. Ho avuto la fortuna di essere presente a quella manifestazione e vivissimo è il ricordo dello stupore provato di fronte al risultato ottenuto da quei maestri e dal loro direttore nella applicazione dell’ermeneutica in classi di scuola elementare. Il lavoro, raccolto su grandi cartelloni colorati dai disegni e dai rilievi dei bambini, oltre che accattivante appariva scientifico-critico, nel senso proprio dell’espressione. Con grande competenza e studio, Antonio Valleriani aveva intrapreso l’interpretazione testuale come impegno pedagogico mirante al coinvolgimento attivo degli alunni di contro alle strettoie di un insegnamento di stile tradizionale, facente riferimento a una passività di trasferimento di nozioni piuttosto che a un conoscere se stessi nel lavoro a partire da e sul testo. E Ricœur lo sottolinea: «Qui, l’applicazione merita veramente il nome di interpretazione perché aumenta l’intelligenza del testo, opera una azione critica nei confronti della comprensione iniziale, ingenua e spontanea, e trasforma veramente la comprensione originaria che il lettore aveva di se stesso e del suo mondo».[2]
Lo stesso Valleriani è conscio della portata innovativa di un progetto mirante a fare emergere «la natura retorica del discorso educativo, che si costituisce nell’orizzonte dell’immaginario».[3] Di contro alla verità metodica – ben delineata da Gadamer nel suo Verità e metodo – il V circolo di Teramo sperimenta il cammino della verità extrametodica e del suo linguaggio, indiretto, metaforico per eccellenza, interpretante e da interpretare, a un tempo. E qui, il cammino ricœuriano mostra tutta la sua fecondità. Ben comprende, infatti, Valleriani che, nell’insegnamento, le due facce della verità debbono comporsi, secondo l’aforisma coniato da Ricœur dello “spiegare di più per comprendere meglio”: la pedagogia «è certamente anche scienza, spiegazione, che però ha bisogno della comprensione con cui forma i due momenti dialettici dell’arco dell’interpretazione».[4] Momenti che, nella lettura di un testo, di una narrazione, scandiscono un lavoro di analisi stratificato a partire dalla precomprensione spontanea della narrazione stessa, per proseguire con il reperimento delle caratteristiche strutturali del racconto letto, e finire con l’interpretazione personale, nella quale confluiscono i vari momenti che in tal modo operano a una ricomprensione di se stessi – come dicevamo poc’anzi. E’ quel “vivere nella verità”, che sa di non poter possederla e perciò stesso «mostra l’inutilità della consunta metafora dello specchio che riduce la verità a semplice presenza e corrispondenza».[5] Certamente, più difficile il compito dell’insegnante quando si assume la verità non come dato, bensì come progetto – come ombra, nascondimento, oscillazione, stupore, evidenzia Valleriani mettendo in luce i passi del pensiero occidentale in ordine all’interpretazione – ma questa è la sfida da pensare oggi, quando tutte le certezze hanno mostrato la loro precarietà e, sul versante della persona, la disgregazione dell’identità come sostanza immutabile rischia di perdersi nel gesto qualunque, nell’assenza di progettualità, nelle linee di fuga di un protagonismo a tutti i costi – come testimoniano le sempre più inquietanti panoramiche offerte dai media a proposito di una certa fascia di giovani. Di contro, l’interpretazione qui diventa la risposta forte che la scuola offre alla costruzione dell’identità – identità narrativa, secondo la felice espressione ricœuriana assunta dal V Circolo didattico di Teramo. Costruzione, che accetta e assume la complessità del mondo contemporaneo, ma rifiuta di farne il motivo del disimpegno o della ricerca della via facile, accettando la sfida e il rischio del farsi accanto agli alunni non già per imporre un cammino ma per indicarne l’oriente – l’oriente del testo. Antonio Valleriani, insomma, ha saputo cogliere fino in fondo l’insegnamento dell’ermeneutica, e in particolare dell’ermeneutica ricœuriana, e ha dato testimonianza dei risultati ottenuti. E, se il suo personale ambito pedagogico riguardava l’insegnamento nella scuola elementare, del suo cammino mi servo spesso all’università, nella consapevolezza che i percorsi dell’interpretazione sono percorribili nelle situazioni più disparate, che del metodo adottato da Valleriani, sulle orme di Ricœur, possono far tesoro piccoli e grandi – oserei dire, soprattutto i “grandi”, che tutto il loro stupore mostrano quando riescono a scoprire la fecondità di una riflessione volta al quotidiano nel suo inindagato, nascosto, dimenticato.
A Valleriani, allora, il mio pensiero riconoscente per la sua figura di Maestro, che con espressione ricœuriana direi “ha dato e dà a pensare” a chi voglia far tesoro del suo esempio e mettersi alla sua sequela.
I cartelloni che, con i suoi maestri, egli donò a Ricœur sono custoditi ora presso gli archivi del Fonds Ricœur.
[1] P. Ricœur, Prefazione, in A. Valleriani (a cura di), Verso l’oriente del testo. Ermeneutica, retorica ed estetica nell’insegnamento, Andromeda editrice, Colledara [Teramo] 1995, p. 11.
[2] Ibidem.
[3] A. Valleriani, La pedagogia e il declino della luce, in Ibidem, p. 35.
[4] Ibidem, p. 40.
[5] A. Valleriani, La dimensione storica della verità e dell’esperienza nel rapporto maestro-scolaro, in Ibidem, p. 60.