Bullismo adolescenti:Conoscere per prevenire

Bullismo adolescenti: Conoscere per prevenire

di Attilio Danese, Docente sociologia dell’educazione, Università telematica “L.Da Vinci”, Chieti

 coautore del Dizionario “Da  amore a Zapping. Manuale per genitori di incomprensibili adolescenti”, San Paolo, Milano 2008.

 

Bullo sta per smargiasso, teppista, bravaccio, con un significato che evoca violenza organizzata (A. Panzini è il primo ad inserirla in un dizionario). Pasolini usa il termine con un vezzeggiativo “bulletto di provincia”. Si tratta di ragazzini fisicamente forti, con famiglie repressive e violente che si raggruppano in piccole bande con un capo. Tali ragazzini picchiano, ricattano, vivono nella violenza. «È un’interazione sbagliata, cioè un rapporto che si snoda in maniera errata, tra due persone: il bullo da un lato e la vittima dall’altro – spiega Ada Fonzi, professore emerito di Psicologia dello sviluppo all’Università di Firenze, direttrice della rivista “Psicologia contemporanea” e autrice di alcuni tra i primi studi sul bullismo in Italia – Il bullismo, per essere definito tale, deve presentare tre caratteristiche precise: l’intenzionalità, la persistenza e lo squilibrio di potere. Vale a dire che deve essere un’azione fatta intenzionalmente per provocare un danno alla vittima; ripetuta nei confronti di un particolare compagno; caratterizzata da uno squilibrio di potere tra chi fa e chi subisce»[1].

Nella  indagine fatta dalla Questura di Chieti  il fenomeno è altamente identificato come “ forma di aggressività tra coetanei, che si distingue per essere ripetuta e continua nel tempo ed è fatta sempre dalle stesse persone verso le stesse vittime tra le quali c’è disparità fisica e psicologica” ( cf Risultati Questionario). L’89 % del campione ha una definizione precisa.

Da dati precedenti questa indagine si segnala quanto il bullismo dilaghi negli Stati Uniti e sia in continua crescita in tutta Europa, in particolare nel nostro Paese. Alcuni  ricercatori attestano che «già alle elementari il 41% dei bambini ne è stato vittima almeno una volta, mentre alle medie la percentuale scende al 36%. Rispetto all’età, comunque, il bullismo risulta in crescita tra i 6 e i 12 anni»[2].

  Secondo un’altra indagine presentata dalla Società italiana di pediatria nel 2006, quasi 8 ragazzi su 10 delle scuole medie hanno conosciuto atti di bullismo, con un aumento del fenomeno di circa il 5% rispetto al 2005. Sono stati presi a campione 1251 ragazzi di età compresa tra i 12 e i 14 anni ed è emerso che il 77% dei ragazzi e il 68% delle ragazze ha assistito ad atti di bullismo, il 5% in più rispetto al 2005. Anche se tra le bulle più che la violenza fisica, domina quella psicologica. Tra le motivazioni che spingono a commettere tali atti, emerge la necessità per oltre l’84% dei casi – di essere ammirati all’interno del gruppo, di dimostrare che si esiste, mentre il 42% ammette di farlo solo “per divertimento”. Una situazione allarmante e aggravata dall’assenza delle istituzioni scolastiche, della politica e dei genitori, spesso loro stessi succubi dei figli[3].             
 Il fenomeno dal punto di vista psicologico e statistico è stato studiato in lungo e in largo e vi è ormai un’ampia letteratura sull’argomento
[4]. A noi interessa, oltre la ricerca di monitoraggio del fenomeno,  individuare le conclusioni della presente inchiesta della Questura di Chieti in vista delle misure possibili da prendere da parte degli operatori culturali, scolastici, politici.    

Il bullo non agisce mai da solo: ama circondarsi da gruppetti più o meno numerosi di «gregari» adoranti.  Infatti il fenomeno  ruota costantemente attorno a due elementi: il bullo (lo smargiasso) e un gruppo di ragazzi consenzienti che, se anche non agiscono direttamente in modo aggressivo sulla vittima, comunque stanno al gioco del bullo e si divertono (o, per paura, fanno finta di divertirsi) e ridono delle violenze verbali, fisiche e psicologiche che egli esercita sulla vittima.
Lo smargiasso, infatti, in genere ha un forte ascendente sui compagni; è un leader, ma negativo.  Sono bulli i ragazzini (e le ragazzine!)   che hanno bisogno di sentirsi importanti, riconosciuti, di ricoprire un ruolo da leader all’interno del gruppo, utilizzando unicamente la propria forza fisica, la violenza, il loro fascino carismatico per imporsi e affermarsi sugli altri. Spesso nascondono la loro fragilità sotto un’apparente forza.
E’ interessante la fotografia del bullo rilevata dall’inchiesta: “ “non ha tanti amici” per il 65%, “ha problemi a casa per il 73%, ma ci sono anche  coloro che vanno bene a scuola e sono di famiglie benestanti (48%).

Il bullismo però può avere anche facce diverse. «C’è il bullismo fisico (schiaffi, pugni, spinte ecc.) e quello verbale (dalla canzonatura allo sberleffo all’ingiuria). Quello diretto (la vittima viene picchiata o oltraggiata apertamente) e quello indiretto (isolare la vittima, escludendola da attività comuni, spargendo dicerie sul suo conto). E c’è pure una forma più maschile, fatta in prevalenza di atteggiamenti violenti o di aperta derisione e una più femminile, contraddistinta più dal pettegolezzo e dall’esclusione…Di bullismo in Italia si parla da poco più di dieci anni – sottolinea ancora Ada Fonzi – sia per la scarsa attenzione finora riservata al fenomeno dai media, sia per il carattere italiano stesso, che ha sempre accettato un certo tipo di bullismo verbale (la presa in giro, l’ingiuria un po’ bonaria…) il quale può essere invece deleterio, se rivolto nei confronti di un ragazzino»[5]. Un tempo breve, quindi, anche per valutare gli effetti a lungo termine del fenomeno.  In tal senso  ci aiutano altri studi a livello europeo, norvegese soprattutto, i quali affermano che il fenomeno tende a persistere nel tempo; bulli e vittime restano spesso imprigionati nei loro ruoli, ripetendo un copione che tende ad autoperpetuarsi: le vittime continuano a soccombere e i bulli a sopraffare. Ma si è anche visto che, a distanza di 20-30 anni, il bullo spesso è diventato un asociale, che non di rado ha vere e proprie manifestazioni di delinquenza. Così come la vittima persistente, oltre a sviluppare atteggiamenti di autostima, può arrivare a veri e propri casi di depressione e, in situazioni estreme, al suicidio.

Il fenomeno del bullismo attecchisce su adolescenti abulici, annoiati, desiderosi del “tutto e subito”, alla ricerca disperata di stimoli intensi, di sensazioni forti. Attratti dal rischio, privi di controllo degli impulsi, incapaci di assumersi responsabilità. Spesso comunicano con difficoltà e non riescono a stabilire relazioni affettive significative. Per questo i bulli si appoggiano al branco, hanno comportamenti omertosi e sono solidali tra loro nell’affrontare gli altri a muso duro.

Sempre  Ada Fonzi indica tra le varie cause del bullismo alcune caratteristiche legate alla personalità: «Il bullo, oltre a essere in genere un bambino irritabile, aggressivo e reattivo, con irrequietezza motoria, presenta soprattutto un tasso di disimpegno morale maggiore degli altri. Vale a dire che tende a “deumanizzare” l’altro, a trattarlo come una cosa, non come una persona. Talvolta utilizza anche strategie a dir poco «machiavelliche»: in una trasmissione televisiva di alcuni anni fa, per esempio, un adulto ex-ragazzo bullo aveva confessato di essere arrivato a ferirsi da solo per poter giustificare il suo comportamento aggressivo nei confronti degli altri. Anche la vittima presenta di solito elementi caratteriali ben precisi: è in genere un bambino chiuso in se stesso, timido, qualche volta più debole fisicamente, più piccolo, spesso ha pure una famiglia molto coesa al suo interno ma al contempo un po’ chiusa verso l’esterno»[6].

Sarebbe riduttivo cercare le cause del bullismo solo  nelle componenti caratteriali. Come ogni altro fenomeno complesso, infatti, nel bullismo è possibile reperire una concausalità di fattori. « In passato, per esempio – specifica Fonzi – si pensava ci fosse un legame stretto tra bullismo e miseria. Basti pensare al ritratto di Franti che De Amicis disegna nel libro Cuore nel lontano 1886: Franti mette quasi ribrezzo, ha le unghie rose e i vestiti pieni di frittelle. Rappresenta una sorta di ancoraggio a una situazione di degrado economico e sociale che, nella negatività, portava però in sé anche elementi di speranza in un cambiamento. Oggi non è più così. Secondo alcune ricerche italiane pare che a influire sull’ampiezza del fenomeno attualmente sia più “l’ambiente ecologico”, vale a dire il quartiere e la zona della città in cui i ragazzi vivono. Oppure il contesto familiare: secondo alcuni studi, per esempio, atteggiamenti eccessivamente permissivi o, al contrario, troppo autoritari, aprirebbero la strada ad atteggiamenti violenti. Ma anche qui gli studiosi non riconoscono unanimemente una corrispondenza diretta tra cause ed effetto. E poi, forse, anche un certo clima nell’ambiente scolastico parrebbe poter favorire la nascita di episodi di bullismo: per esempio, in presenza di un indebolimento del controllo o delle inibizioni nei confronti delle tendenze aggressive»[7].

Quando i bulli non si limitano a fare dispetti, possono mettere in atto una vera e propria persecuzione nei confronti delle vittime prescelte. Vanno alla ricerca disperata di emozioni sempre più raffinate ai limiti del sadismo, di stimoli intensi, di sensazioni forti (sensation seeking). Molti di loro presentano una sorta d’insensibilità alle gratificazioni della quotidianità. La soglia di gratificazione sempre più alta, la scarsa capacità di provare piacere li rende annoiati, abulici rispetto alla realtà che giudicano insignificante, incapaci  di dilazionare la fruizione degli oggetti desiderati. Solo le attività \’a rischio\’, straordinarie e pericolose, risultano ai loro occhi degne di attenzione.

Tra questi giovani non è raro incontrare soggetti che esibiscono comportamenti decisamente  rischiosi per la vita, disturbi più o meno gravi del rapporto con la realtà, isolamento con atteggiamenti antisociali e mancanza di controllo degli impulsi. La loro difficoltà a comunicare, a stabilire relazioni affettive, ad esprimere o a comprendere stati emotivi genera una sorta di deserto emozionale, con elementi residuali di comunicazione interpersonale ridotti all\’espressione della aggressività che vede il mondo diviso in aggressori e aggrediti, dominatori e sottomessi. In alcuni casi si registra una sostanziale incapacità ad assumere qualsiasi responsabilità rispetto alle conseguenze delle proprie azioni, in una sorta di deserto etico, riempito da un’assoluta dipendenza dal denaro, unica misura di successo, nonché dalla cura della propria forma fisica, fine a se stessa.

Tale distorto e labile contatto con la realtà può sfiorare in disturbi psicopatologici più gravi della serie psicotica. Infatti il fenomeno, che risulta in crescita tra i 6 e i 12 anni, passata quella soglia, se il comportamento non viene corretto, può sfociare in devianza vera e propria, ossia passare da comportamenti sporadici a consuetudini  consolidate. Facilmente chi da ragazzino gioca a fare il boss,  a 15 può diventare deviante e da adulto forse un criminale (sembra che il 60% dei bulli da adulto commetta crimini). Nella maggioranza dei casi però i bulli assumono comportamenti aggressivi per un  periodo limitato per poi rientrare nella norma crescendo.

In ogni caso si tratta di disturbi del carattere che possono anche sfociare in fughe in pseudo-realtà mistiche, organizzazioni, sette e culti magico-misterici che avallano spesso atteggiamenti regressivi di grave dipendenza psicologica, con comportamenti aberranti, autolesivi, autodistruttivi e, solitamente, incongrui rispetto al contesto socioculturale e lavorativo.

Nei casi più gravi e quando gli adulti non riescono ad arginare le deviazioni, questi adolescenti senza storia e senza futuro si riducono a vivere alla giornata in un tempo soggettivo senza progettualità e senza evoluzione verso la maturazione psichica e sociale. La propensione all\’aggressività, l\’incapacità di gestire i propri impulsi, il vuoto esistenziale, l\’incapacità di mantenere relazioni amicali stabili, i disturbi ideativi e di rapporto con la realtà, risultano spesso indistinguibili dai segni e dai sintomi clinici propri o prodromici allo sviluppo di gravi psicopatologie, dai disturbi di personalità alle psicosi schizofreniche, dai disturbi d\’ansia alle più gravi distimie.

Non è facile agire a patologia conclamata né  è possibile il più delle volte influire sul contesto problematico e povero da un punto di vista culturale, socio-relazionale ed affettivo, in cui crescono i bulli e che favorisce lo sviluppo o la slatentizzazione di forme di psicopatologia altrimenti subcliniche. Da ciò, la necessità di un forte impegno preventivo sia nei confronti dei singoli soggetti, sia in relazione alle loro famiglie e al contesto micro-sociale in cui i ragazzi vivono, al fine di scongiurare il formarsi di un \’humus\’ favorevole all\’insorgere di forme di disagio giovanile sempre più problematiche ed ingestibili sul piano sociale.   si tratta di agire sulle cause del bullismo, tra le quali si elencano la TV, i videogiochi violenti, l’assenza dei genitori, eventuali esperienze traumatiche… Generalmente il fenomeno alligna nelle zone malfamate, ma nella nostra indagine  di Chieti  riguarda tutte le classi sociali. Anche un ragazzino appartenente ad una classe sociale alta, infatti,  può avvertire il bisogno  di affermare se stesso e di assicurarsi sulla potenza della sua identità dando prove  a sé e agli altri  che la propria presenza influisce sugli altri, li condiziona, può assoggettarli.

 

I bulli scelgono attentamente le proprie vittime individuando nella classe o nel quartiere i ragazzini più timidi e insicuri, con qualche caratteristica che li differenzia e li fa oggetti di ironia (orecchie a sventola, cognome insolito, occhiali spessi, zainetto diverso), spesso isolati dal gruppo, bambini bravi a scuola ma meno forti nel gruppo di pari, irritanti che “meritano una lezione”. I bulli mettono a nudo la loro cattiveria dando sfogo agli istinti aggressivi verso questi compagni più deboli e diversi.

 

 

 

 

 

Cosa fare?

La scuola

Contro il bullismo si può far molto, non solo nel momento in cui esso insorge ma anche, anzi soprattutto in via preventiva. Importante, per esempio, è l’atmosfera che si respira nell’ambiente scolastico, giacché la scuola ha un ruolo chiave nell’orientare le modalità delle relazioni tra ragazzi, potendo accentuare la competizione aggressiva oppure favorire la cooperazione e il riconoscimento dei talenti. «Il bullismo non è presente in tutte le classi – pone in evidenza Ada Fonzi –. È infatti provato che se nella scuola si crea un certo tipo di consapevolezza da parte degli adulti, che favorisca la realizzazione di ciascun individuo, il “bullo” non avvertirà così forte l’esigenza di mettersi in risalto con atteggiamenti negativi: egli, infatti, capirà che può essere ugualmente degno di stima e attenzione anche utilizzando percorsi alternativi rispetto alla sopraffazione.

È importante che tutti i membri della scuola siano coinvolti: insegnanti, personale ausiliare, operatori. Perché se reprimere atteggiamenti di bullismo alcune volte è necessario, molto di più è svolgere un’azione preventiva» (Ibid.) .

La scuola dovrebbe vigilare sulle attitudini relazionali e di cura dei ragazzi oltre che sul loro rendimento scolastico se vuole essere veramente un ambiente educativo alla vita. Ciò significa educare i ragazzi al rispetto per gli altri, responsabilizzarli nella solidarietà prudente e presente verso le vittime. Oltre al bullo infatti vi sono i testimoni inerti che solitamente in una classe o nel gruppo assistono fingendo indifferenza, minimizzando oppure alleandosi con gli aggressori per averla franca.

Le scuole possono mettere in atto strategie di monitoraggio[8]:

Perlustrazione dei luoghi a rischio: Poiché ogni giardino o cortile può presentare spazi ed angoli dove è più facile che si verifichino episodi di bullismo, è opportuno richiedere il controllo di questi luoghi ai collaboratori scolastici e farsi vedere dagli alunni nell’atto di controllarli durante i giochi che lì si svolgono. Questa perlustrazione, effettuata magari a turno da tutti i docenti presenti, può scoraggiare l’assunzione di comportamenti bullistici e fare in modo che tutti gli alunni abbiano accesso sicuro a tutti i luoghi in cui è permesso loro di andare.

Attenzione agli alunni che stanno in disparte: I bambini che trascorrono molto tempo da soli durante la ricreazione possono essere particolarmente esposti; è opportuno coinvolgere l’alunno in attività di gioco con altri compagni.

Rendere noto e ribadire che i comportamenti bullistici non saranno tollerati: Ogniqualvolta si presenti l’opportunità, il personale scolastico, facendo riferimento anche al regolamento di Istituto – dovrebbe far passare il messaggio che certi comportamenti non sono accettabili per convivere bene a Scuola e che saranno puniti nei modi previsti.

 

 

I Genitori

L’ambiente familiare è primariamente coinvolto nell’impegno ad evitare che i figli sviluppino atteggiamenti «bullisti» oppure assumono una interiorizzazione della vittimizzazione di sé che li espone ad ogni violenza. «I genitori possono, per esempio,  evitare che i figli s’intrattengano con videogiochi violenti; possono commentare insieme ai figli un film, un fatto di cronaca, il comportamento di un compagno, mostrandone le cause e le conseguenze; possono educare al rispetto per gli altri, proporre letture che puntano più sulle storie di vita e sulla fantasia che sulla violenza; possono aiutare i figli a riflettere sulle conseguenze e sulla possibilità di trovarsi essi stessi di fronte a ragazzi più grandi e prepotenti, responsabilizzandoli così nella solidarietà prudente e presente verso le vittime». E quando ci si accorge che un figlio è già agente o vittima di bullismo? «Nel primo caso va orientato verso diverse forme di sfogo come le arti marziali o lo sport competitivo, in modo da fargli esercitare la forza secondo regole condivise e rispettate. Se ne è vittima, invece, dopo averne parlato ampiamente con lui (e questa è cosa assai difficile, perché la “vittima” tende a chiudersi in se stessa) i genitori devono lavorare sull’autostima e sulla fiducia in se stesso del proprio figlio, eventualmente anche affiancando e rinforzando l’intervento con la presenza di qualche compagno affidabile»[9].

Se i figli sono vittime, occorre potenziare l’autostima, se sono invece aggressori, occorre orientarli verso diverse forme di sfogo nelle arti marziali o nello sport in modo da esercitare la sua forza secondo regole condivise e rispettate. Naturalmente in primo luogo i genitori dovrebbero vegliare sui viedeogiochi, non regalarne e non farglieli regalare violenti. La cosa più difficile per un genitore è accorgersi che il figlio sta subendo atti di bullismo perché i ragazzi si vergognano o vengono minacciati e non parlano. Il primo compito perciò è di infrangere il silenzio e poi lavorare sulla fiducia in se stesso.

Se invece i genitori si accorgono del comportamento da bullo del figlio possono intervenire facendolo riflettere sulle conseguenze, e sulla possibilità di trovarsi lui stesso o la sorellina di fronte a ragazzi più grandi e prepotenti. Infine occorre farli sentire importanti ai propri occhi anche senza compiere azioni eclatanti, per il fatto stesso di esistere ed essere in grado di amare.

Più in radice si tratta di iniettare in loro la stima verso modelli ci comportamento alternativi e rispettosi degli altri, di dare in pasto letture che puntano più sulla fantasia che sulla violenza.

I genitori dovrebbero cogliere le occasioni per parlare di questo problema con i figli sulla base di un film da vedere insieme, di un fatto di cronaca da commentare…

Se i figli sono bulli  l’opzione più gettonata nei questionari presi in esame a Chieti  è il “cercare di parlare col ragazzo bullo”. Seguono “il chiamare i genitori” (76%), il “dare punizioni severe a livello scolastico e familiare”(55%)

 

I Ragazzi

 

Che cosa suggerire a un ragazzo\\a vittima di un bullo[10]

A.Non reagire mai alle provocazioni del bullo, così come non sot­tostare alle sue eventuali prepotenze o richieste. La cosa che più desidera il bullo è vedere la propria vittima umiliata, arrabbia­ta e/o in lacrime. La cosa migliore di fronte alle provocazioni del bullo è stare in silenzio, non rispondere e andarsene via.

B . Se non si vuole assumere un atteggiamento così passivo, allora con fermezza occorre guardare  la persona che  sta provocando negli occhi e, senza mai usare le mani, la violenza o la prepotenza, incitarla a fermare immediatamente le sue provocazioni nei propri confronti. Comunicarle che se la cosa va avanti, si segnalerà tutto quanto al preside della scuola. Occorre verificare,  inoltre, con il docente referente per l\’educazione alla sa­lute, che la scuola disponga di un protocollo di intervento in oc­casione di episodi di bullismo.

C. Un\’altra buona modalità di gestione della relazione con il bullo è quella di spiazzarlo dicendogli: «Sono disposto a discutere con te, ma non ho alcuna intenzione di combattere o fare la lotta. Perciò calmati e vediamo di parlarne». Spesso un approccio di questo tipo è in grado di congelare lavo­glia di violenza del bullo, che andrà alla ricerca di un\’eventuale al­tra vittima.

D. E’ importante anche avere buoni amici ai quali chiedere aiuto se un bullo vuole fare del male e comincia a  prendere in giro. La vera forza del bullo sta nel riscontrare la totale assenza di sostegno intorno alla sua vittima designata.

L\’alleanza e la solidarietà del gruppo allargato alla vittima e la riprovazione nei confronti del bullo, faranno sentire quest’ultimo solo e isolato e lo obbligheranno a cambiare le modalità che utilizza per farsi notare dagli amici.

 

Che fare se un amico è vittima di un bullo

Può capitare di avere un amico o un’amica in difficoltà….

Se si assiste a episodi di bullismo, è coerente con un sano comportamento relazionale non mettersi dalla parte del più forte.

Se qualcuno viene denigrato o umiliato per il suo aspetto, presunta debolezza o perché apparentemente rappresenta elementi di diversità (colore della pelle, nazionalità diversa, orienta­mento sessuale), è doveroso aiutarlo e sensibilizzare tutto il grup­po degli amici ad andare in soccorso perché la vittima non rimanga isolata.

Infine, occorre imparare ad aprirsi con gli adulti responsabili, che rivestono un ruo­lo autorevole all\’interno della scuola e della comunità e che saranno così richiamati ad esercitare il loro ruolo autorevole in favore della vittima e sulla base di norme e regole dare un contributo fattivo perché si instauri un clima di legali­tà e ordine.

 

Le Istituzioni

Il  Ministero della Pubblica Istruzione si è mosso da tempo, lanciando la campagna “Smonta il bullo”.

Osservatori in ogni Regione, un numero verde nazionale, un sito Internet dall\’eloquente indirizzo: www.smontailbullo.it, una campagna nazionale di informazione e sensibilizzazione che coinvolge stampa, radio e TV, sanzioni più severe e percorsi di recupero. È questo il pacchetto di misure antibullismo messo a punto dal ministero della Pubblica Istruzione per arginare l’avanzata del fenomeno. Le linee di indirizzo elaborate dal Ministero, hanno raccolto i suggerimenti degli stessi ragazzi, che hanno proposto  il logo della campagna \”smontailbullo\”, così come l\’idea di realizzare magliette, spillette e poster per richiamare l\’attenzione dei giovani sulle conseguenze negative del teppismo a scuola. \”Il modo per vincere la violenza a scuola come negli stadi – ha detto il ministro della Pubblica Istruzione del tempo- presentando il piano antibullismo, che costava 2 milioni di euro – è educare i ragazzi al rispetto della dignità della persona, di sé e degli altri. Per far questo insegnanti e studenti hanno una straordinaria opportunità: quella di non lasciare mai solo nessuno di fronte alla violenza, anche solo verbale. Soprattutto – ha aggiunto – far sentire parte della comunità educante sia il diversamente abile sia il più debole\”.

 

 

 

 

NORMATIVE SPECIFICHE SUL BULLISMO E SULLA VIOLENZA NELLA SCUOLA<span style=\"font-family: "Calibri","sans-serif"; font-size: 11pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt; mso-ascii-theme-font: minor-latin; mso-fareast-font-family: \'Times New Roman\'; mso-fareast-theme-font: minor-farea