Lettera aperta ai due candidati sindaci per il Ballottaggio del 24 giugno 2018

Lettera aperta ai due candidati Sindaci al Ballottaggio del 24 giugno 2018

Cari candidati, qualunque sia l’esito del ballottaggio offriamo alla vostra riflessione alcuni spunti per un  Programma sociale  e di welfare da  realizzarsi a Teramo. Mentre nell’articolo seguente   mettiamo a disposizione alcuni spunti legati ad un indagine condotta nel dopo terremoto all’Aquila dall’Unicef e che nelle proposte possiamo applicare a Teramo

Attilio Danese e Giulia Paola Di Nicola,  già docenti di Politica Sociale, Scienze sociali,Università di Chieti

Premessa

I comuni e le unità locali socio – sanitarie esercitano le competenze loro affidate dalle leggi statali e regionali in materia, nonché le competenze ulteriori attribuite dal Piano. E’ di competenza delle Unità socio – sanitarie la gestione delle funzioni e le prestazioni socio – assistenziali relative a: l’assistenza ai diversamente abili con riferimento ai particolari servizi e sussidi necessari per il recupero e l’inserimento degli stessi; la gestione delle strutture tutelari e residenziali sia miste che specifiche per diversamente abili e per inabili in età lavorativa, fatta salva la loro autonomia funzionale; la gestione dei consultori familiari; la prevenzione delle tossicodipendenze, il recupero e l’inserimento sociale dei tossicodipendenti. E’ di competenza dei singoli comuni la gestione delle rimanenti funzioni e prestazioni socio – assistenziali e in particolare: la gestione degli asili nido; la gestione dei centri sociali, asili notturni, case albergo; la gestione delle strutture residenziali per minori e anziani; l’erogazione del fondo sociale per l’equo canone; l’erogazione degli interventi economici anche se finalizzati a garantire il minimo vitale; gli interventi a favore degli emigrati e immigrati; l’erogazione degli interventi economici per soggiorni climatici; l’assistenza domiciliare ai minori, agli anziani e agli inabili in età lavorativa.

Modalità gestionali previste

I comuni e le unità locali socio – sanitarie possono anche concordare particolari modalità di esercizio delle funzioni e dei servizi loro spettanti stabilendo la conseguente ripartizione degli oneri rispettivi.

I Comuni sono titolari delle funzioni amministrative concernenti gli interventi sociali svolti a livello locale e concorrono alla programmazione regionale. Tali funzioni sono esercitate dai Comuni adottando sul piano territoriale gli assetti più funzionali alla gestione, alla spesa ed al rapporto con i cittadini, tramite associazioni intercomunali o decentramento delle aree metropolitane.

Ai comuni, oltre ai compiti già trasferiti a norma del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, N° 616, ed alle funzioni attribuite ai sensi dell’Art. 132, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998, N° 112, spetta, secondo la disciplina adottata dalle Regioni, l’esercizio delle seguenti attività: programmazione, progettazione, realizzazione del sistema locale dei servizi sociali a rete, indicazione delle priorità e dei settori di innovazione attraverso la concertazione delle risorse umane e finanziarie locali, con il coinvolgimento dei soggetti del privato sociale; erogazione dei servizi, delle prestazioni economiche diverse da quelle disciplinate dall’Art. 22, e dei titoli di cui all’Art. 17, nonché delle attività assistenziali già di competenza delle Province, salvo quanto stabilito dalla L.R. di cui al comma 3;  autorizzazione, accreditamento e vigilanza dei servizi sociali e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale a gestione pubblica o dei soggetti del privato sociale; partecipazione al procedimento per l’individuazione degli ambiti territoriali. La L.R. di cui all’Art. 132 del decreto legislativo 31 marzo 1998, N° 112, disciplina il trasferimento delle funzioni precedentemente attribuite alla Provincia (L.67/93).

Nell’esercizio delle funzioni i Comuni provvedono a: promuovere, nell’ambito del sistema locale dei servizi sociali a rete, risorse delle collettività locali tramite forme innovative di collaborazione per lo sviluppo di interventi di auto-aiuto e per favorire la reciprocità tra cittadini nell’ambito della vita comunitaria; coordinare programmi e attività degli enti che operano nell’ambito di competenza, secondo le modalità fissate dalla Regione, tramite collegamenti operativi tra i servizi che realizzano attività volte all’integrazione sociale ed intese con le aziende unità sanitarie locali per le attività socio-sanitarie e per i piani di zona; adottare strumenti per la semplificazione amministrativa e per il controllo di gestione atti a valutare l’efficienza, l’efficacia ed i risultati delle prestazioni, secondo i programmi previsti; effettuare forme di consultazione dei soggetti del terzo e quarto settore, per valutare la qualità e l’efficacia dei servizi e formulare proposte ai fini della predisposizione dei programmi; garantire ai cittadini i diritti di partecipazione al controllo di qualità dei servizi, secondo le modalità previste dallo statuto comunale. Per i soggetti per i quali si renda necessario il ricovero stabile presso istituti assistenziali il Comune, previamente informato, assume gli obblighi connessi all’eventuale integrazione economica.

 

  1. Proposte di politica sociale per il Comune e la famiglia

Si sostiene, a ragione, che forse lo spazio di  appartenenza dell’uomo si é troppo allargato al mondo e ai suoi problemi e troppo allontanato dall’ambiente concreto in cui egli vive. Infatti, va emergendo una situazione di conflitto e di disagio crescenti, soprattutto in città, dove  si sono formate le reti tradizionali della famiglia allargata, del vicinato, dei rapporti propri dei centri a piccole dimensioni. Anche la scansione dei tempi é più rigida e determinata dalle grandi concentrazioni produttive o dalla pubblica amministrazione; comunque più lontana dalla organizzazione flessibile della vita quotidiana. La città, che per molti versi é effettivamente luogo della modernità e della ricchezza di opportunità, rivela anche una maggiore ostilità alle esigenze e ai bisogni della vita quotidiana di una famiglia.

In effetti, si é affievolito il senso di appartenenza ad una città particolare, che deve essere espressione di tutti gli uomini e di tutto l’uomo per poter essere vivibile e vissuta in armonia con se stessi. La città é lo specchio di una comunità, degli interessi, della solidarietà, della comunicazione. Occorre allargarne il ruolo socializzante, per poter arginare l’emarginazione per solitudine e mancanza di solidarietà[1]; evitare che la città divenga matrice di forme di marginalità con la sua disgregazione e la sua tendenza a favorire zone di abbandono[2].  Essa richiede soggetti capaci di mettere in comunicazione le esigenze di ognuno, facendo penetrare iniezioni di umanità nella rigida e burocratica organizzazione della città e consentendole di sopravvivere, nonostante tutto.

Mirare all’obiettivo di città più umane significa: costruire a misura dei bisogni di socialità delle famiglie (sviluppo dell’urbanistica, della progettazione partecipata, centri sociali, chiese, restituzione ai cittadini delle piazze, delle vie, dei parcheggi);  aiutare le famiglie a  non perdere tempo (semplificando gli atti amministrativi e burocratici, riducendo il numero dei passaggi obbligati, favorendo l’autocertificazione); affrontare le questioni dell’ambiente, cominciando dall’umanizzazione del proprio ambiente urbano a ciò che sia vivibile (dal traffico all’igiene, al verde, all’attenzione ai bambini, diversamente abili, anziani); fare attenzione a regolare orari dei negozi ed uffici, per facilitare  sia le compere da farsi in due sia  le pratiche burocratiche; rilanciare forme partecipative (partecipazione diretta che vada oltre i partiti, raggiungendo la realtà quotidiana al di là di quella istituzionale: referendum, partecipazione alla difesa dei diritti del cittadino); favorire la conoscenza della storia e della realtà geografica, educare all’amore per la propria gente e al dovere di contribuire al benessere del più gran numero possibile di concittadini. Sono tutte esigenze che si esprimono con “democrazia comunale” luogo di incontro e avvicinamento tra ragioni della politica e ragioni della solidarietà[3].

 

  Nei confronti della famiglia la politica del Comune non può più avere una prospettiva funzionale al sistema (nucleo economico), senza tenere in debito conto gli aspetti qualitativi fondamentali della famiglia, come gruppo primario della società. Occorre che si superi anche la mentalità degli interventi che ne curano gli aspetti patologici, mentre la famiglia può riacquistare la sua funzione creativa di soggetto della legislazione, senza limitarsi ad esserne destinatario passivo.

Un discorso a parte meriterebbe l’approfondimento delle unioni civili e delle famiglie arcobaleno, ma non ci sentiamo sufficientemente preparati per farlo in questa sede.

Detto  questo in premessa si possono individuare le priorità negli obiettivi e le azioni possibili nel quadro del piano sociale regionale abruzzese, pronti a rivederlo non appena ci fosse un nuovo piano regionale sociale.

Famiglia

FAMIGLIA
obiettivi azioni
Sostenere l’unità della famiglia Ampliare la possibilità di conciliare tempo lavoro e tempo di cura

Sostenere l’opera del Consultorio, indirizzandolo verso l’azione conciliatoria o di mediazione familiare

Potenziare i servizi socioeducativi per la prima e la seconda infanzia, ampliando la quota dei bambini che usufruiscono degli asili nido, rendendo accessibile a tutti la possibilità di poterne usufruire.

Si può cominciare con una politica di sostegni alle coppie giovani per facilitare l’impianto delle nuove famiglie, onde accorciare i limiti delle così dette “famiglie lunghe” e diminuire le sperequazioni tra famiglie povere e famiglie benestanti.

Attualmente l’istituzione consultorio serve solo il 33% degli utenti come famiglie e dunque in quanto offre consulenza di coppia a coniugi che cercano eventuali sostegni alla propria crisi, per il resto esso offre servizi alla donna e alla sua sessualità intesa in senso singolo e non relazionale.

Si può incrementare la politica della mediazione familiare per sostenere le famiglie in conflittualità, latente e manifesta, come realtà sommerse e non documentabili

Sostenere le scelte procreative Un discorso a parte merita  una politica che non disincentivi la natalità senza tornare alle vecchie  politiche pronatalità.

Le madri in attesa  vanno  protette, occorre intervenire  creando una casa di accoglienza per ragazze madri, sviluppare la tutela della madre nubile anche ai fini del posto di lavoro, la tutela delle madri vedove, separate o divorziate ( anche in termini non monetari, ma di reali reti di solidarietà o assistenza)

Si può istituire una detassazione  progressiva per famiglie numerose a partire dal terzo figlio, dare un contributo prima infanzia ( spese per pannolini, omogeneizzati, medicine costose) alle famiglie con reddito unico e insufficiente, istituire un servizio organizzato di babysitteraggio organizzato e qualificato da affiancare alle famiglie  negli orari non di lavoro.

Sviluppare solidarietà nella politica familiare significa anche sostegno alle madri in difficoltà, perché sia rispettato il diritto  a vivere dignitosamente la maternità lungo l’arco della crescita dalla gestazione alla giovinezza.

 

Sostenere e valorizzare le funzioni genitoriali Favorire una migliore integrazione tra famiglie, scuole e servizi

Istituire corsi di prevenzione e cura dei rischi per i minori nel settore  dei mass media e della pedofilia via internet

Favorire corsi che dovrebbero essere aggiornati periodicamente, in corrispondenza dei cicli di crescita dei figli, onde favorire la formazione ad essere genitori, in un periodo in cui tale ruolo è dato per scontato e viene affrontato nella superficialità.

Alleviare i disagi delle famiglie con gravi carichi assistenziali o in casi di povertà Potenziare gli interventi domiciliari rivolti alle famiglie con persone non autosufficienti in ogni ambito territoriale. Istituire un ufficio per favorire la cooperazione tra famiglie ( mutuo aiuto), associazionismo sociale, volontariato. Creare uno sportello famiglia in ogni frazione o gruppi di frazione e in ogni quartiere con spazi genitori, veri centri diurni di accoglienza e prevenzione dei mali della famiglia.

Istituire azioni di contrasto alla povertà e garantire progetti personalizzati di accompagnamento delle persone e delle famiglie in condizioni riconosciute di povertà.

Una delle forme moderne di intervento pubblico a sostegno  delle situazioni familiari di sofferenza e marginalità è l’assistenza domiciliare, che nel corso degli ultimi anni, va essendo sempre più assicurata, non solo per le persone anziane, ma anche per gli invalidi civili, ciechi, sordomuti, diversamente abili e le famiglie-problema. Si dovranno prevedere forme premiali incentivanti   da dare a chi volontariamente rinuncia ad un’attività di lavoro per assistere l’anziano, il malato o il diversamente abile per evitarne la ospedalizzazione.

In questo quadro di prestazioni l’assistenza domiciliare si ricollega alla prassi della visita medica a domicilio, offrendo collaboratrici familiari, assistenti sociali o infermieri professionali, fino a giungere ai prelievi per analisi, a interventi riabilitativi e alla “ospedalizzazione a domicilio”.

Si possono incrementare le prestazione dei volontari che assicurano, oltre alla capacità professionale, anche la motivazione di fondo, etica e ideale. Occorre però garantire la preparazione degli operatori con  l’attivazione di corsi specifici di aggiornamento professionale. Del resto non si tratta di formare una figura unica di operatore, giacché le richieste vanno dalla collaboratrice familiare, che svolge mansioni domestiche, all’assistente sociale, al medico, all’infermiere professionale, al terapista, all’animatore del tempo libero, all’assistente sanitaria, al consulente familiare

Garantire ai minori il diritto di restare nella propria famiglia o, qualora ciò non sia possibile, a vivere in contesti di carattere familiare Tra le forme di solidarietà sociale sono da comprendere le richieste di ado­zione e di affido, dimostrazione del senso universale di genitorialità,  di­stinta dalla maternità e paternità fisiologiche.

La politica per la famiglia avrà anche particolare cura dei minori, che sono spesso le vittime indifese di situazioni familiari  disastrose, ponendo cura ai servizi sociali sanitari, alle strutture per il tempo libero, alla creazione di ambienti favorevoli allo sviluppo.

Nel caso dei minori è più difficile per le strutture comunali del servizio sociale   salvare l’equilibrio tra invadenza e neutralità indifferente, tra diritti del minore e rispetto dei genitori. Certo occorre ridurre progressivamente il numero dei minori che vivono in istituto. Sostenere, formare ed aumentare le possibilità di famiglie affidatarie, far nascere strutture a carattere familiare per collocare minori aventi necessità per attuare la legge 148/01

Si possono istituire premi e garanzie per  sostenere  chi sceglie di portare a termine una gravidanza  e difendere ogni bambino  nel suo diritto ad avere una famiglia.

In ogni caso la famiglia resta la dimensione primaria in cui operare per la riduzione del disagio minorile. Si svilupperà il discorso sul potenziamento della rete di servizi a sostegno della famiglia in cui il minore è nato o a cui il minore  è affidato, con servizi territoriali di base, con il sostegno (assistenza domiciliare, sanitaria e sociale per il minore malato), con l’attenzione al rapporto madre, padre figlio, fin dalla nascita, con servizi specialistici integrati (psicologici-psicoterapeutici), con monitoraggio costante e azione di pronto intervento, con servizi di consulenza e informazione, con l’appoggio alle reti informali di solidarietà, con il potenziamento dell’ufficio del difensore dell’infanzia (sindaco) con delega particolare di tutela del minore.

 

Particolare attenzione va posta alle famiglie degli immigrati per garantire un graduale inserimento sia del nucleo famigliare che dei ragazzi nelle strutture scolastiche ad ogni livello.

Equilibrare il rapporto famiglia/lavoro con integrazione armonica della realtà di coppia e di famiglia. Si propongono interventi  con politiche adeguate che comprendano sia il piano fiscale (detrazioni differenziate Tasi) sia sul piano della sicurezza sociale (eventuale fondo di solidarietà) sia sul piano dei servizi sociali(sostegni). Il Comune può favorire la possibilità di entrata e uscita dal lavoro nei periodi di maggior bisogno del bambino, una più ponderata attenzione alla questione assegni familiari, soprattutto una politica per la casa che non penalizzi le famiglie impossibilitate all’acquisto o quelle che devono comunque far vivere una famiglia numerosa in case uniformemente costruite con due o tre camere da letto.
Assicurare una formazione permanente Si può  investire in termini formativi   (educazione sessuale, affettiva, etica) e politici[4] (politica economica, servizi sociali) sulla coppia oggi è contribuire a condizionare i modelli di riferimento per la convivenza umana nel  prossimo futuro.

corsi di preparazione al matrimonio civile con annessa problematica   educativa, sia nei problemi oggettivi del mondo di oggi, sia nei problemi psico-pedagogici

Si potrebbe istituire una Scuola permanente dei genitori, legata alle strutture dei consultori del comune. Indispensabile a tal fine anche il confronto con testimonianze ed esperienze di  coppie più mature, con incontri favoriti da azione di volontariato o dal consultorio. Una tale formazione dovrebbe anche favorire la condivisione dei ruoli, la flessibilità nell’assumerli, condividendo gioie e fatiche dell’andamento familiare.

Favorire lo sviluppo di una politica della  famiglia oltre che per  la famiglia Andrebbe coordinato tutto il lavoro di gruppi e associazioni che lavorano per la famiglia, creando  in  Comune una Commissione Famiglia  che,  col concorso di tutte le associazioni familiari,   favorisca questa cellula  indispensabile per la crescita della società in tutti i provvedimenti del omune. I membri di questa Commissione, nominati dal Consiglio ed eletti dalle associazioni familiari, dalle cooperative di servizi e dagli organismi di volontariato, potrebbero svolgere il compito di essere referenti l’amministrazione di una città a misura di famiglia  intervenendo positivamente a suggerire integrazioni e modifiche, a promuovere iniziative qualora manchino del tutto.

 

 

2.Proposte di una politica sociale per i minori , gli adolescenti, i giovani

 

Spesso si constata solo la volontà di scegliere le strade più remunerative nel mercato politico e più sbrigative: per esempio la monetizzazione della diversità è una sostituzione non convincente dei servizi sociali personalizzati, di assetti urbanistici e servizi adeguati, di politiche del la­voro mirate. Occorre chiedersi come riorientare l’intervento pubblico entro un quadro di obiettivi di program­mazione, con interventi tecnici ma flessibili, aperti al volonta­riato.

Le strategie degli enti pubblici e gli interventi messi in atto da questi debbono confrontarsi con i volontari (gruppi, movimenti, associazioni) e promuo­vere momenti di ascolto degli stessi soggetti delle politiche sociali, affinché i servizi pubblici possano rispondere alle richie­ste. Ciò significa anche non caricare la politica di troppe domande e riconoscere la necessità di trovare atteggiamenti  cooperativi nelle realtà locali, secondo le spinte di una cultura della solidarietà.  Si è affievolito il senso di appartenenza ad una città particolare, ad un paese e al quartiere, mentre si allarga l’area dell’emarginazione per solitudine e mancanza di solidarietà[5].

Oggi la comunità sociale tende a riappropriarsi dei pro­blemi sociali facendoli uscire dal chiuso delle istituzioni e degli specialisti.

 

Si pensa di dare forza ad una figura di lavoratore sociale che aiuti ad esercitare i diritti e promuova azioni di sviluppo nei confronti di individui e comunità emarginate. Tale figura dov­rebbe fare da ponte tra i bisogni effettivi e una maggiore di­screzionalità, flessibilità e produttività personalizzata dei ser­vizi, esaltando le funzioni di consulenza, di informazione sulle possibilità di aiuto e allo Stato sulle necessità di intervento. Per gli operatori  sociali non si tratta più, infatti, di essere i portavoce di una popolazione senza voce, ma di accompagnare e sostenere i meno fortunati nel loro cammino per associarsi,  esprimersi ed agire.

 

 Aree possibili di intervento

 

1.Povertà economica.

 

Il problema della povertà reclama una politica sociale  per la famiglia ( vedasi scheda specifica).  Quanto al denaro invece di cui può disporre un ragazzo, laddove non si danno fonti familiari di approvvigionamento, occorre­rebbe intervenire per organizzare piccoli servizi remunerati, nei quali l’adolescente faccia esperienza del lavoro responsabile dentro la famiglia o nel vicinato, collegando la possibilità di usu­fruire della paga ad un  compito di solidarietà e di impegno nei confronti della comunità in cui vive (distribuzione dei quoti­diani, piccoli servizi di assistenza ad anziani o diversamente abili), o lavori utili alla società civile (tenere in ordine una pezzo di strada o un giardino, aiutare l’attraversamento della strada in punti di traffico).

 

2.Povertà culturale.

 

Cultura non può restringersi ad istruzione. Essa fa riferi­mento alla prospettiva globale del senso dell’esistenza.  Il ragazzo marginale si percepisce come incapace di in­serirsi in questo processo generalizzato, di dare e di negoziare perché non può offrire in termini di personalità, prestigio, po­sizione sociale, amicizia, risorse in generale. La cultura che genera marginalità è quella che forma i ghetti, che gerarchizza la diversità in “io”/”noi” e “gli altri”.Reclama perciò attenzione che lo trasformi da marginale in protagonista.

Non sarebbe poco se si riuscisse a diffondere, nella scuola e fuori della scuola, una cultura della città, attraverso una educazione alla socialità, come capacità di vivere nella pro­pria città con gusto, amandola e contribuendo al suo sviluppo, non spinti tanto dal campanilismo, quanto dall’attenzione all’ambiente naturale, architettonico, umano, imparando a spendersi per la propria gente.

Si tratta di indicare gesti, comportamenti, iniziative, competenze per creare un tessuto di solidarietà sia nelle strut­ture pubbliche e di servizio sociale, che nelle reti informali, nella famiglia e nel volontariato, tenendo presente  la respon­sabilità personale, l’impegno della comunità ecclesiale,  l’incidenza delle strutture, in un concorso di istituzioni indispensabile a far fronte ai problemi della devianza giovanile. I soggetti impegnati in politica avvertono l’urgenza di tradurre le spinte etiche e caritative della base, per quel che é possibile, in impegno di azione poli­tica, con progetti rispettosi dell’idealità umana e di ciò che è fattibile hic et nunc.

Una sana politica culturale richiede anche l’educazione alla lettura, per prevenire il disinteresse e l’abulia culturale, fornendo il necessario supporto economico per le strutture associative che si occupano di formazione culturale. Di qui la necessità di potenziare le biblioteche e in particolare quelle per ragazzi in ogni quartiere della città, affiancate a più ampi centri di servizio culturale, nei quali si potrebbero istituire corsi di formazione all’ascolto selettivo della radio e Tv, gruppi di tv-forum e disco-forum, cineforum legati alle strutture dei centri di servizio culturale. Sempre nelle biblioteche di quartiere e nel centro di servizio culturale si potrebbero creare delle sale di lettura sele­zionata e guidata, facendo incontrare i ragazzi con gli scrittori, non senza coinvolgere la scuola.

 

3.Marginalità sociale.

 

Per poter conoscere e prevenire tutte le forme di margi­nalità sociale è utile costituire un Osservatorio comunale dei minori che disponga di mezzi per la ricognizione dei problemi e il recupero della socialità.

Sul piano dei collegamenti, occorre ristudiare tutto il si­stema viario integrato, con un’oculata ridistribuzione dei centri scolastici e degli istituti di formazione professionale, in ma­niera corrispondente alle esigenze della popolazione e alle po­tenzialità dell’economia di ciascun quartiere. Onde correggere il rischio dei lunghi percorsi per andare a scuola,  occorre anche ampliare il servizio di trasporto scolastico, che distingua al­meno i ragazzi delle elementari e medie da quelli delle superiori. Perché le attese del pullman dopo la scuola e il problema coin­cidenze non alimenti l’abitudine a riversarsi per le strade, oc­corre provvedere a strutture post scolastiche o semplicemente aprire le  scuole, usandole come sala per i compiti (prima e dopo gli orari rico­nosciuti), biblioteca, bar, mensa, alloggi per studenti.

Per il miglior uso del tempo libero sono altresì da creare o potenziare impianti sportivi o percorsi attrezzati per passeggiate ecologiche e ginniche.

Per i ragazzi che non partecipano ad alcun gruppo orga­nizzato e che hanno difficoltà di comunicazione, occorre favorire le agenzie di socializzazione, con supporto di strutture adeguate. Il volontariato sociale va incoraggiato soprattutto là dove gli utenti sono gli adolescenti, con animazione del tempo libero organizzato e soggiorni estivi ed invernali di vacanze, col­legate a corsi di formazione nei vari settori. Notevole importanza é da attribuire alle varie forme di associazionismo, anche dentro la scuola, attraverso la figura di docenti o di animatori socio-culturali, onde venire incontro alla difficoltà di socializzazione che i giovani incontrano, alla mancanza di momenti e spazi di aggregazione oltre la famiglia.

L’associazionismo sembra infatti il modo privilegiato per dare vita a gruppi in cui i rapporti siano personalizzati e cia­scuno avverta di poter arricchire col proprio contributo gli altri membri del gruppo, di poter liberare i valori dell’affettività, di compartecipazione emotiva e simpatetica, di poter modulare le relazioni interpersonali in maniera meno fredda di quanto si realizzi nelle istituzioni pubbliche. Vedere perciò se e dove è possibile favorire un associazionismo che salvi il sapore della spontaneità, ma la orienti anche tramite una sapiente opera di animazione socio-culturale.

Per far ciò un animatore deve essere tale per vocazione e non solo per professione, capace di far pren­dere coscienza e far sviluppare le potenzialità latenti di un indi­viduo: «L’animatore é lo stimolatore, il maieuta della crescita personale e sociale del giovane»[6]. Deve essere dotato di di­sponibilità al dialogo, di capacità di valorizzazione dell’altro e quindi di dare fiducia, comprensione. In particolare si tratta di puntare sullo sviluppo di tutte le forme espressive umane, allar­gando gli spazi comunicativi della corporeità (sport, danza, yoga come riappropriazione del corpo e come comunicazione), delle relazioni interpersonali (in generale come attenzione all’umano: tempo per ascoltare, parlare, confidare; persone che sappiano perdere tempo in queste cose, nella società dell’efficienza); dell’espressività (anche linguaggi non verbali: musicale, mi­mico, grafico-pittorico, iconico, manuale). Importante anche la capacità di umorismo, come liberazione dell’inconscio scherzo­samente comunicato e intelligentemente interpretato, con fun­zione liberatoria dall’eccessiva serietà che pervade il modello sociale scolastico e lavorativo.

Si potrebbe istituire un premio comunale di civismo per gli under 18, con una commissione preposta al vaglio delle segnalazioni affidate alle scuole, alle associazioni, ai gruppi di volontariato, alle istituzioni riconosciute.

Sembra indispensabile riuscire a creare, a livello cittadino o di quartiere, centri polivalenti e intergenerazionali del tempo li­bero, dove genitori, nonni e ragazzi possono trovare mo­menti di incontro, di fruizione di servizi culturali o sportivi, dotandoli di attrezzature, di sale di incontro, di gioco, di ascolto di musica, di cinema e di animazione teatrale.

L’opera di prevenzione ha bisogno di un concorso di forze, di chiarezza di obiettivi, conoscenza adeguata e scienti­fica delle diverse variabili intervenienti.

Molto dipende dalla formazione del personale, con con­tratti di collaborazione sia con i professionisti che con i volon­tari, al fine di promuovere la coscienza della fattibilità della lotta all’emarginazione. Essi devon essere essere “sensori intelligenti” delle situazioni a rischio e trovare gangli di collegamento per un dialogo continuo tra legislatori e società puntando alla prevenzione. Tali gangli dovrebbero giovarsi di un feed back con i politici che assi­curi una comunicazione costruttiva, capace di individuare gli ef­fetti eventualmente negativi di una legislazione, suggerirne l’alternativa (strumenti di dialogo permanente con il legislatore per evitare leggi che favoriscano l’emarginazione e possano prevenirla).

Certo si è che non ci si può limitarsi a riparare i danni, senza cercare di andare alle radici dei fattori che li determinano.

Uno strumento di rapporto tra ente pubblico e volontariato è quello delle convenzioni che non deve trasformarsi in una espropriazione-istituzionalizzazione, perché andrebbe perduta la carica innovativa, ma che rappresenta uno strumento indi­spensabile di promozione e sostegno economico delle azioni valide.

 

  1. Disagio familiare

 

Per ciascuna persona é fondamentale l’esistenza di solidi legami sociali durante l’infanzia, legami attuati mediante le co­siddette “strutture di mediazione”, ossia le istituzioni che colle­gano in modo significativo l’individuo alle mega istituzioni: famiglia, parrocchia, quartiere, associazioni volontarie. Tali strutture non devono essere indebolite, perché costituiscono il mondo vitale di ciascun individuo, soprattutto la famiglia, che deve essere privilegiata nelle politiche sociali che debbono rico­noscerla come la struttura fondamentale per la formazione come pure per la cura dei malati, diversamente abili, anziani.

Si tratta di fare attenzione a che la famiglia possa svol­gere adeguatamente questi compiti e non di espropriarla e to­glierle sempre più compiti di «presa di cura». Le altre soluzioni istituzionali dovrebbero intervenire solo quando la famiglia é in­capace o impossibilitata a svolgere tali compiti, ben sapendo che la soluzione migliore é la famiglia e che le istituzioni parallele debbono somigliarle il più possibile. «Il servizio prestato dai professionisti nel settore dell’educazione, della sanità, del servizio sociale dovrebbe servire la gente, non dominarla, dovrebbe aiutarla ad essere autonoma, non sostituirsi. Questo credo che sia il vero punto di svolta delle politiche post-welfaristiche rispetto a quelle prece­denti: il sostegno anziché la sostituzione, l’aiuto anziché l’istituzionalizzazione»[7].

C’é un grado di bisogni qualitativi nei bambini (affettivi, spirituali, espressivi),  che spinge a riconsiderare i bisogni sociali. Il ragazzo ha bisogno di un caldo e rasserenante ambiente familiare, di unità dunque tra mamma e papà, di sentirsi amoto e riconosciuto come un va­lore, di sentirsi utile e non di peso, di essere stimato e non solo vezzeggiato; di essere riconosciuto per quel che é e non para­gonato, misurato, pesato.

Andrebbe coordinato tutto il lavoro di gruppi e associa­zioni che lavorano per la famiglia, creando una Commissione Comunale Famiglia che, col concorso di tutti (enti, asso­ciazioni, gruppi, movimenti, volontariato sociale) favorisca questa cellula indispensabile per la tutela e il recupero dei mi­nori.

 

  1. Povertà di ideali.

 

Viviamo in una società che, mentre proclama i diritti, esalta l’infanzia, la studia, ne promuove la programmazione educativa, ne valorizza al massimo i possibili consumi, non la­scia spazio alla sua dignità come persona, giacché il punto di vista é piuttosto quello di un potenziale utente, in termini politici ed eco­nomici. Spesso desiderato in funzione del prestigio, ancora troppo oggetto dei desideri dell’adulto, strumento della realiz­zazione psicologica di altri, il ragazzo non trova il terreno ac­cogliente dal punto di vista culturale e affettivo.

Per far fronte all’appiattimento nell’uso del tempo libero solo con la TV e la musica leggera, l’operatore sociale del comune dovrà promuovere la creatività, tenendo presente la tendenza autodistrut­tiva collegata all’increatività, ovvero alla sovrabbondanza di energie non espletate, specie se non riversate nell’ambito sco­lastico.

 

Perciò sono importanti anche   le coo­perative autogestite, le case accoglienza, le comunità di vita. La cultura dell’accoglienza significa sostanzialmente convivenza, lavoro, cultura, saper riconoscere il valore dell’immigrato de­luso e deriso, del disoccupato, dell’alcoolizzato, del malato di mente consentendo a ciscuno di fare l’esperienza dell’accoglienza non tanto perché l’istituzione gli provvede un tetto, ma perché nel rapporto egli si sente riconosciuto.

A tal fine sarà importante l’opera di autoeducazione che spinge il singolo a sviluppare la sensibilità verso la vita, racco­gliendo tutti quegli elementi incoraggianti che si danno nell’ambiente sociale a favore della vita.

Con la solidarietà, le virtù collaborative (giustizia, cooperazione) sostituiscono quelle competitive oggi particolarmente esaltate, ma che sono ricon­ducibili all’individualismo (successo, efficienza, capacità).

Sul piano delle proposte concrete è necessario riqualifi­care i servizi sociali già esistenti, attraverso un cambiamento di mentalità che tenga conto delle nuove richieste degli utenti.

Infine si può inventare una nuova figura di operatore, che in taluni progetti pilota viene indicato come “l’operatore di strada”, che possa fare un lavoro capillare di ascolto e con­divisione dei problemi dei minori a rischio e possa individuare lo smistamento ad altri operatori qualora si tratta di casi patolo­gici, stabilendo quel flusso comunicativo tra minori, adulti e istituzioni. Per far ciò è necessario creare appositi corsi di for­mazione professionale.

Rispetto a queste coordinate, il quadro della realtà di oggi risulta sinteticamente: un quadro di diritti molto proclamati, sempre più dettagliati, accanto ad inquietanti fenomeni di abuso e di violenza. Si ha infatti la sensazione che tanto più si procla­mano i diritti con le carte, tanto meno gli adolescenti sono ef­fettivamente accolti nella cultura dell’agire quotidiano e nelle relazioni con gli adulti.

Si fa strada l’idea che le due grandi agenzie, famiglia e scuola, non sono sufficienti per l’opera di tutela e formazione delle nuove generazioni e abbisognano di apporti istituzionali e sociali. In questo contesto la proposta di un sistema formativo integrato costituisce un’idea fortemente innovativa. Si può im­maginare il sistema formativo integrato composto da quattro lati. Due lati – famiglia e scuola – hanno una linea definita dalla storia, da una consapevolezza diffusa, da elaborazioni e realiz­zazioni; mentre gli altri due lati – l’Ente locale e l’associazionismo – sono privi di solidi supporti sociali. E’ quindi necessario che i vari elementi che concorrono in modo più o meno consapevole al sistema formativo entrino in rela­zione tra loro a vantaggio dei ragazzi e degli adolescenti. Attualmente le varie parti del sistema sono prevalentemente isolate e non relazionate, mentre potrebbero contribuire profi­cuamente all’affermazione di una linea di azione comunemente definita.

A livello periferico, la politica minorile è attribuita ai Comuni, singoli o associati, secondo le direttive delle Regioni, a norma del decreto del Presidente della Repubblica n.616/1987 e dei decreti del Presidente della Repubblica recanti norme di attuazione per le singole Regioni a statuto speciale. Non è  possibile quantificare l’entità della spesa pubblica prevista nel bilancio del Comune per la politica mino­rile. Né è possibile controllare se il flusso dei finanziamenti statali venga poi effettivamente finalizzato alle esigenze dei mi­nori a livello delle Regioni prima, dei Comuni poi.

Per tenere conto della realtà di fatto nei progetti di riforma delle politiche sociali andrebbe istituita una banca dati co­munale collegata con gli eventuali terminali di quartiere per tenere in debita osservazione gli eventi che riguardano i minori, siano essi già casi patologici che solo possibili casi a rischio al fine di promuovere una prevenzione e una cura.  La valorizzazione del Consiglio comunale dei minori  po­trebbe favorire un lavoro continuativo e capillare. Il Difensore dell’Infanzia potrebbe animare i gangli vitali di un lavoro coordinato capil­larmente, sul modello analogo della protezione civile.

 

 

Schematicamente e nel quadro del piano sociale regionale si potrebbe indicare:

 

Obiettivi Azioni
Maggiore tutela e promozione dei minori in situazione di disagio
Rafforzare nelle istituzioni comunali e nelle comunità locali  i fattori protettivi naturali per il sostegno e la crescita dei bambini e degli adolescenti, integrando l’azione delle famiglie Programmare annualmente incontroi in tutte le frazioni per dare voce ai genitori, bambini e adolescenti per una migliore integrazione e unità delle famiglie ( finanza: Legge 285)
Rafforzare la capacità di fronteggiare le situazioni di crisi individuale e familiare Attivare percorsi scuola-famiglia per genitori al fine di far conoscere le opportunità e le competenze presenti sul territorio
Monitorare le situazioni sociali  per una diagnosi precoce delle situazioni di  rischio o di disagio Attivare corsi di formazione degli adulti con il Centro territoriale di educazione permanente degli Adulti, in particolare per genitori giovani e adulti che svolgono funzioni educative a livello di volontariato (sociale, religioso, sportivo, culturale) per aiutare  a riconoscere precocemente i segnali premonitori di disagio delle relazioni educative.

Istituire un Call center telefono amico della famiglia per ricorrere alle competenze necessarie sul piano pedagogico, psicologico, medico.

Creare un Osservatorio della condizione minorile, con particolare attenzione anche ai minori immigrati con terminali sul territorio (quartieri e frazioni), al fine di non arrivare sempre al momento della patologia.

Attraverso l’Osservatorio locali si può regolamentare l’eventuale erogazione di un minimo vitale per i minori in stato di bisogno inseriti in famiglie o affidati a uno solo dei genitori. Si possono suggerire azioni di sostegno per la prevenzione delle situazioni di crisi a rischio psico sociale anche con interventi domiciliari, educativi, territoriali e di sostegno alla frequenza scolastica e al recupero dei dropouts.

 

Migliore socializzazione culturale
Aumentare negli adolescenti e nei giovani la capacità di uscire dal presente  per riaffondare le radici nella storia locale onde progettare meglio il futuro Progettare incontri itineranti nel territorio comunale e limitrofo con iniziative culturali adatte ai ragazzi e agli adolescenti, ma anche alle famiglie per l’incontro e il dialogo tra generazioni (Legge 285)

·       Sviluppare il coinvolgimento delle scuole in itinerari di ricerca sulla cultura locale promuovere l’aggregazione, la sensibilizzazione e l’informazione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza;

·       Informare e coinvolgere insegnanti e famiglie sui temi del corretto sviluppo fisico e psichico del bambino e dell’adolescente, soprattutto per quanto riguarda la prevenzione e l’educazione in campo sanitario

 

Aumentare negli adolescenti e nei giovani la capacità di considerare la cultura e le norme sociali come opportunità di crescita personale e collettiva in una dimensione di dialogo e confronto intergenerazionale Partendo da problemi di interesse locale favorire  incontri-dibattuiti, progettazioni partecipate, forum di discussione per un proficuo confronto tra generazioni
Migliore aggregazione di adolescenti e giovani
Aumentare l’adesione di adolescenti a forme di aggregazione formale di tipo sportivo, culturale, religioso, di solidarietà sociale Promozione delle attività associative sul territorio attraverso la selezione e il finanziamento di progetti al fine della realizzazione di strumenti e materiali da distribuire nelle scuole e nei luoghi di incontro degli adolescenti, in diversi formati: video, telematici, cartacei.
Aumentare a possibilità del riconoscimento delle  aggregazioni  sociali giovanili per diventare interlocutori significativi Promuovere forme di  dialogo e confronto tra adulti e giovani con gli amministratori locali in costante  e regolari incontri decentrati sulle tematiche dell’amministrazione e della qualità della vita della città.
Maggiore protagonismo dei bambini, degli adolescenti e dei giovani
Aumentare le situazioni di protagonismo dei bambini, degli adolescenti e dei giovani nella vita municipale e della comunità Attivare un lavoro culturale con le istituzioni scolastiche presenti sul territorio e con quelle civiche per il riconoscimento del protagonismo dei ragazzi e dei giovani.

Sviluppare conj adeguata formazione e con forme incentivanti e premiali il senso di fiducia nelle istituzioni comunali al fine di una maggiore  vita partecipativa  per iproblemi della propria città.

Migliore transizione verso l’età adulta
Favorire un maggiore raccordo tra Scuola università e mondo del lavoro Potenziare l’orientamento scolastico, universitario, professionale e occupazionale
Diminuire il tasso di rioccupazione giovanile privilegiando situazioni di lavoro effettivo Sostegni comunali alla imprenditorialità e creatività lavorativa
Promuovere il servizio civile come opportunità di sperimentazione di altruismo creativo e sviluppo di nuove competenze Azioni finalizzate alla promozione, diffusione, del nuovo servizio civile con canali privilegiati per l’inserimento professionale.
Coordinare gli interventi Il Comune può riunire attraverso un comitato, anche un coordinamento con Provincia, Provveditorato agli Studi, Azienda Sanitaria Locale,   Giustizia Minorile,  Comunità Montana e   Comuni limitrofi, raccogliendo  e valutando i progetti per svolgere un’azione di orientamento, coordinamento, sensibilizzazione e supporto tecnico-scientifico.

Un ruolo significativo potrebbe essere affidato anche al Comune capoluogo,   che svolge un’azione di coinvolgimento presso gli altri soggetti del territorio.

Nell’attività di gestione dell’accordo di programma ci si può avvalere  di un Gruppo di Esperti Consulenti   il cui scopo è supportare nella gestione gli Enti attuatori degli interventi, anche in un’ottica di sviluppo progettuale.

Legge 285

 

 

Accettare la diversità dei bambini

La sfida, invece, è quella di accettare la diversità dei bambini quale garanzia di tutte le diversità; di imparare ad ascoltare e capire i bambini per essere capaci di capire tutti”.

Quale metodo si può utilizzare? Innanzi tutto si può istituire un gruppo promotore composto da operatori e educatori provenienti dalle istituzioni e dal privato-sociale (che si occupa di bambini). Tali agenti catalizzatori esterni possono garantire la qualità scientifico-operativa dell’iniziativa e l’avvio di processi sinergici all’interno della scuola, nei quartieri e tra i soggetti istituzionali.

Si può quindi porre in essere una struttura inter-istituzionale a livello cittadino, composta di rappresentanti dei settori urbanistica, parchi e giardini, arredo urbano, vigilanza, ambiente, qualità urbana, progettazione e costruzioni stradali,  che permetta di conoscere in tempi brevi e di rispettare i piani urbanistici e i piani particolareggiati dei Comuni e dei privati relativi ai luoghi scelti dai ragazzi insieme ai cittadini per la riqualificazione, per  valutare, in corso d’opera, la fattibilità progettuale, per approntare dei progetti tecnici in tempo utile.

Per far ciò è necessario:

“- accettare un confronto continuo con i problemi e i diritti e le necessità dei bambini, non in quanto utenti di un servizio, ma in quanto cittadini;

– considerare la città come un laboratorio, un luogo di ricerca dove si è disposti a rovesciare l’ottica delle prospettive e degli obiettivi;

– garantire su questo piano un impegno e una verifica trasversale e continua di tutti gli assessorati e di tutte le scelte amministrative;

– coinvolgere nei programmi e nelle attività tutte le associazioni che già si occupano dell’infanzia e le forze sociali e produttive che operano in città.

Una scelta di così ampio respiro culturale e politico trova nel Sindaco la figura centrale che garantisce lo sviluppo del progetto in quanto primo difensore dei bambini della città”.

 

 

  1. Per una città ecosostenibile

 

Industrie, sovraffollamento e traffico inquinano l’aria con le piogge acide, l’effetto serra e il buco nell’ozonosfera, con le emissioni provenienti dagli scarichi degli autoveicoli (più che raddoppiati in Italia negli ultimi vent’anni, con i loro ossidi di azoto, di carbonio e piombo), dagli impianti di riscalda­mento (anidride solforosa e carbonica), dalle fabbriche, dagli inceneritori comunali (metalli, sostan­ze organiche e anidride carbonica). Oltre i più noti danni all’uomo e alla vita del pianeta, l’inquinamento atmosferico, produce effetti negativi anche su monumenti millenari che si sbricio­lano, privando i cittadini di quel bene che è appunto il radicamento in un ambiente storico particolare. Tali effetti vengono resi intollerabili dall’inversione termica, quando uno strato di aria calda si sovrappone ad aria fredda (piuttosto che il contrario) e l’aria che sale dalla super­ficie terrestre, incontrando la cappa d’aria sovrastante, perde la sua forza ascensionale e ristagna (specie quando si forma un campo antici­clo­nico sull’Europa meridionale che impedisce le pertur­bazioni).

Questo problema dell’inquinamento ambientale è molto sentito dai ragazzi del nostro campione. La risposta “mancanza di rispetto per l’ambiente” (43,9%), infatti, sottolinea una sensibilità che viene confermata da “degrado ambientale” (28,5%), “mancanza di verde attrezzato (25,8%) e “mancanza di pulizia” (15,6). Tra gli interventi migliorativi più richiesti,  essi indicano   i parchi attrezzati (indice di preferenza: 72,89) e  gli spazi verdi (71,05). Questo per indicare una crescente cultura ecologico-urbana.

I principi  cui attenersi per costruire una città ecologica possono riferirsi  ai seguenti punti:

“·    preservare le strutture naturali storiche della città
predisporre una pianificazione ecologica urbana (cartografia dei biotopi)

  • mantenere la varietà locale
  • preservare la diversità degli elementi caratterizzanti del paesaggio urbano
  • protezione dei corridoi urbani
  • preservare nella città ampi spazi aperti unitari
  • preservare dall’inquinamento e dai disturbi gli spazi verdi esistenti
  • utilizzazione nelle nuove realizzazioni delle specie autoctone
  • valutare l’ambiente in funzione dello sviluppo
  • integrazione funzionale degli edifici negli ecosistemi urbani
  • pianificare l’uso degli spazi aperti
  • educazione della popolazione
  • disponibilità di aree-studio per le scuole”[8].

 

Scrivono E. Scandurra e C. Cellamare [9]: “Il fenomeno urbano ha subito, nel corso del tempo, continue interpretazioni ed evocato molteplici suggestioni e immaginari. Dall’utopia di Fourier, alla città-foresta di Morris, Chanders e Piranesi, alla città industriale (coketown) di Dickens e della folla di Baudelaire, alla città-regione del New Deal di Munford e Wright, alla città-nucleare in analogia con il modello dell’atomo di Bohr, alla Megalopolis di Gottmann, fino alla città-macchina di Le Corbusier, al modello sistemico, a quello cibernetico e alla città come ecosistema. Tali interpretazioni sono connesse ai cambiamenti dell’ideologia dominante, allo sviluppo del pensiero scientifico, alla organizzazione economica e sociale data di quel contesto ambientale. Ognuna delle interpretazioni ha, ogni volta, enfatizzato ed esasperato un nodo rimasto sempre centrale della questione urbana: quello del rapporto tra città e campagna che è poi il rapporto tra artificialità e natura, tra uomo e ambiente sul pianeta. Le contraddizioni oggettivamente rilevabili di questo rapporto pongono, per la prima volta nella storia dell’uomo, il problema della stabilità dell’ecosistema planetario minacciato dal prelievo smisurato di risorse e dall’emissione di rifiuti in quantità non più riciclabili e dannosi per l’ambiente; ovvero pongono in discussione, per la prima volta, la sopravvivenza di questa particolare specie vivente. Si pone, dunque, in maniera non più eludibile la ricerca di una nuova alleanza (che altro non è che la ricerca di una riconciliazione) tra uomo e natura, tra sviluppo antropico e sistema ambientale”[10].

Nella pubblicistica più accreditata, specie tra gli ecologisti, si ritiene che la città sia un   “ecosistema, caratterizzato da un continuo processo di cambiamento e di sviluppo, dove aspetti quali l’energia, i trasporti, le risorse naturali e la produzione di rifiuti devono essere visti come flussi o come cicli, e dove gli interventi per mantenerli, ripristinarli, attivarli o chiuderli, costituiscono il cosiddetto “sviluppo sostenibile””[11].

La “città sostenibile” deve  trovare risorse economiche adeguate, “con l’obiettivo però di conciliare i requisiti della sostenibilità con l’uso di meccanismi di mercato”. Si potrebbero individuare   meccanismi di imposte e di prelievi applicati ad attività nocive per l’ambiente, assieme a nuove strutture dei prezzi come incentivo al comportamento sostenibile. Alcune di queste idee sono già collaudate in altre città italiane e riescono in parte a  risolvere la contraddizione  tra conservazione e commercio, facendo delle stesse attività di conservazione una fonte di profitto. Le risorse economiche si possono trovare facendo “nuove considerazioni nelle procedure di approvvigionamento e in quelle di appalto, in modo da comprendere l’efficienza ambientale delle spese e avvantaggiare i fabbricanti di prodotti e servizi sostenibili, o anche semplicemente valutando con maggior dettaglio gli investimenti e considerando l’intera durata di vita di un bene anziché un tornaconto immediato”[12].

In linea generale  ecco  alcune piste di lavoro, proposte dagli architetti, che vanno nella direzione indicata dai ragazzi[13]:

  1. Coordinamento delle iniziative, esistenti sul territorio, rivolte all’incremento della cultura dell’infanzia e del rispetto dei diritti de i minori (Convenzione Internazionale, applicazione).
  2. Definizione degli Indicatori della qualità della vita di una Città dal punto di vista del rispetto dei diritti dei minori.
  3. Proposte d’intervento differenziate per caratteristiche di città (nel senso che è necessario rispettare le esigenze della singola realtà) e contemporaneamente la proposta d’intervento su un campo che sia uguale per tutti.

Le città abruzzesi   non sono un sistema chiuso: come tutte le   città e le aeree metropolitane europee (anche in Abruzzo abbiamo un’area che diventerà metropolitana: Chieti-Pescara) sono un sistema aperto, che dipende da e che al tempo stesso sull’ambiente esterno, modificandolo. Tenendo conto delle richieste dei ragazzi intervistati, la strategia degli amministratori pubblici dovrebbe orientarsi in questa direzione:

affrontare le questioni dell’ambiente, cominciando dall’umanizzazione del proprio ambiente urbano a ciò che sia vivibile(dal traffico all’igiene, al verde, all’attenzione ai bambini, diversamente abili, anziani);

fare attenzione a regolare orari dei negozi ed uffici, per facilitare  sia le compere da farsi in due sia  le pratiche burocratiche;

restringere l’area della violenza e dell’emarginazione;

Studiare esperienze di collegamento con Aziende  d’interesse municipale che curano la raccolta differenziata e verde urbano, la cura delle fontane, dell’acqua, ecc.;

recuperare   monumenti e curarli (per monumento può essere inteso anche una lapide, un ricordo storico da salvaguardare);

limitare l’uso delle macchine;

favorire il rispetto del silenzio;

avvalersi della possibilità di organizzare momenti  d’incontro su tematiche importanti di carattere  ambientale, ma anche sanitario e di valenza sociale, tenendo conto degli apporti multiculturali esistenti in città.

 

3.1.1. Gli edifici: qualità estetica ed ergonomia

 

 

Per favorire la costruzione di città ecosostenibili, è opportuno ripartire dal dettaglio delle costruzioni. Una politica del dettaglio architettonico comporta alcune strategie politiche di intervento:

“-Tenere opportuno conto delle esigenze ergonomiche dei bambini, degli anziani e dei diversamente abili, non semplicemente a livello di impianti sanitari, ma nell’intero edificio, dalla presa della luce a quella dell’acqua.

– Promuovere l’impiego di componenti e materiali locali per favorire ed incrementare l’orgoglio delle differenze culturali e regionali, ricercando al contempo i massimi standard di prestazione tecnica.

-Valutare tutti i materiali e i componenti di costruzione alla luce della sostenibilità di produzione, trasporto, impiego e riutilizzo, incoraggiando la produzione e l’uso di materiali sostenibili.

– Stimolare una progettazione ed un procedimento di costruzione che favoriscano la cura dei particolari.

Modificare il nostro sistema decisionale in modo che al criterio predominante del minimo costo finanziario diretto si sostituiscano provvedimenti più sofisticati che prendano in piena considerazione la qualità intrinseca, la compatibilità ambientale”[14].

Tra i suggerimenti proposti agli amministratori e le richieste che essi farebbero volentieri a quanti hanno il compito di progettare si possono rilevare:   gli spazi verdi, notoriamente indispensabili perché i ragazzi possano giocare in tutta libertà, disponendo di opportuni spazi e attrezzi. Uno spazio verde soddisfacente dovrebbe  avere in abbondanza piante e fiori (48,0%), un pronto soccorso (20,4%),  una fontanella (16,3),  un bar (15,5%),  dei bagni pubblici (13,4%).

Alcune esigenze i ragazzi le hanno manifestate soprattutto a partire dall’edificio scolastico. “Una aula scolastica può essere un luogo adatto all’apprendimento: ben illuminato e ventilato, con spazio sufficiente per concentrarsi e una macchia di sole per ravvivare una lezione altrimenti monotona, senza distrazioni provenienti dall’aula accanto – oppure l’opposto”. Nei loro giudizi, scaturiti dal vissuto, i ragazzi   giudicano la scuola che frequentano quotidianamente “nuova, bella, attrezzata” nel 34,2% delle risposte, ma una fetta significativa di ragazzi avanza denunce quali: la mancanza di spazi esterni (17,5%), la  decadenza degli edifici (30,1%),  la necessità di una ristrutturazione (18,6%), i bagni sporchi (27,7%), la mancanza di computer (24,0%), il freddo (15,3%). Le risposte negative  assommano al 222,8 sul 257 del totale delle risposte date (si potevano dare massimo 3 indicazioni).   Prevale perciò il giudizio negativo che costringe gli operatori ad un impegno più incisivo, anche tenendo conto della formazione del gusto e del senso della cura dell’ambiente che edifici migliori inducono nei ragazzi.

Schematicamente si possono indicare alcuni settori di intervento:

-La viabilità che conduce alle scuole: passaggi pedonali controllati

-Giardini delle scuole: recupero all’interesse pubblico con la collaborazione dei genitori su (progetto) Circoscrizione o Quartiere.

-Recupero e restauro degli edifici scolastici.

L’intervento pubblico dal  canto suo non può limitarsi agli edifici scolastici; dovrebbe produrre innanzitutto un quadro complessivo di regole per migliorare gli edifici in generale, a partire dalla sicurezza e dalla qualità estetica. Così ancora il piano del Governo, già citato: “Ad esempio, non sembra più rinviabile far sì che anche nel nostro paese si adottino soluzioni semplici per problemi causati da disattenzione culturale: una segnaletica stradale alla portata di bambini e bambine, il rispetto e la precedenza nei luoghi e negli uffici pubblici, la priorità d’imbarco e di posto nei percorsi autoferrotranviari e aerei ecc”.

“Cosa faresti per rendere più belle le strade della tua città?” era una delle domande a cui i ragazzi  hanno dato risposte concrete: le vorrebbero “più pulite” (66,1%) ma anche arricchite dai graffiti murales (40,1%) e in generale con i muri più puliti (29,2%). “Chiedono anche strade illuminate (35,8%), con edifici più belli, siano essi case, luoghi pubblici o negozi (28,8%), raccoglitori di immondizia differenziati (34,1%). Dal momento che sembrano amare tanto la città da viverci gran parte del tempo libero, questi adolescenti hanno titolo per  chiedere anche più panchine (19,2%) e piante (28,1%), secondo un ideale di città tutta vivibile come luogo di socializzazione, di riposo, di scambio di impressioni, di sfogo dell’immaginario”[15].

Una buona attenzione all’estetica, quindi, provocando un paradosso scaturente dalle normative:  “mentre la società europea dedica sempre maggiore attenzione al miglioramento tecnico dell’edilizia (prevenzione degli incendi, stabilità strutturale) gli edifici divengono sempre più brutti, sia presi singolarmente sia nel loro insieme. Adottiamo tecniche di costruzione industrializzate che si rassomigliano tutte, da Stoccolma a Napoli, da Belfast a Berlino. Ciò costituisce un degrado sotto ogni profilo: regionale, culturale, estetico, umano. Inoltre, nulla che venga costruito sotto una spinta al continuo cambiamento può essere di valore duraturo”[16].

Un discorso a parte meritano gli edifici storici di cui le nostre città abruzzesi sono dotate. Nonostante i notevoli progressi nelle strategie e nelle tecniche di conservazione, molti vecchi edifici ordinari, che rappresentano un’autentica espressione della cultura locale e regionale, sono trascurati e lasciati in decadenza quando non sono demoliti ad opera di un sistema normativo o finanziario che ignora il vecchio ed esige il nuovo, o che alimenta espedienti speculativi a breve termine per lucrare su gusti nuovi ma effimeri. I ragazzi perciò chiedono agli amministratori di non  promuovere una progettazione senza criterio, che degrada i genuini valori ereditati e vanifica la memoria storica con rozzi particolari contemporanei.

In generale, per migliorare la qualità estetica delle nostre città si possono porre in evidenza le seguenti istanze:

“ Assicurare ad ognuno un luogo semplice e sano in cui vivere, come criterio assolutamente prioritario.

Fare in modo che l’edificio soddisfi adeguatamente le esigenze di luce naturale, di privacy, di vita in comune, di durata.

Ottenere un controllo qualitativo sulla progettazione degli edifici, non limitarsi ad una verifica rivolta a ridurre i difetti costruttivi o i consumi di energia (anche se strategie in questo senso sono augurabili e necessarie).

Dibattere, concordare e promuovere la qualità della progettazione, in modo che gli edifici siano veramente idonei all’uso.

Occorre un sistema di valori basato su costruzioni versatili, di lunga durata, concepite per durare 100 anni, suscettibili di ragionevoli adattamenti per impieghi imprevedibili, come oggi avviene per i nuclei urbani del XVIII secolo. Ciò richiede più generosi dimensionamenti in pianta e nell’altezza degli ambienti, adattabilità delle costruzioni, illuminazione e ventilazione naturale e un esame del rapporto qualità/prezzo”[17].

Essendo terminato il boom edilizio del dopoguerra, non c’è più alcuna giustificazione per non investire in una migliore qualità  architettonica: “più eleganti, più significativi sotto il profilo culturale, e, dove sia opportuno, più contemporanei. Non è semplicemente una questione di estetica, né si vuole escludere il tecnicismo; non si tratta nemmeno di evitare lo sperpero di risorse economiche le quali, sebbene più abbondanti che mai, sono pur sempre limitate. È piuttosto l’esigenza di dare al cittadino europeo luoghi in cui vivere e riconoscersi”[18].

I criteri cui un piano regolatore dovrebbe ispirarsi per migliorare la qualità estetica dovrebbero:

“· Favorire un’architettura elegante, minuziosa, ben proporzionata, insieme ad una costruzione a regola d’arte.

  • Conservare per l’uso presente e futuro l’architettura ordinaria del passato e i suoi singoli elementi.
  • Promuovere i massimi livelli di espressione contemporanea, piuttosto che la mediocre riproduzione, il mimetismo, il camuffamento”[19].

E’ necessario operare inoltre  per abbattere la barriere architettoniche per favorire la libera circolazione dei diversamente abili, ma ancor più rivoluzionaria sarebbe una proposta di  dimensionamento  della casa, delle strade, dei segnali stradali e delle piazze a misura di bambino, ossia a partire dalla loro altezza rispettandola nella posizione dei telefoni nelle cabine, delle buche postali, dei segnali stradali e così via.

Tutto ciò si può ottenere tramite una pianificazione partecipata, dove anche i ragazzi assumano un ruolo fondamentale nell’elaborazione di politiche che promuovano il concetto di una città sostenibile; dove l’edilizia sia improntata alla durata, all’adattabilità e all’uso multiplo.

“Serve una rigenerazione urbana, un atteggiamento più flessibile nei processi progettuali in materia di pianificazione di gruppi edilizi completi o di progettazione di singoli edifici non limitati ad un’unica funzione, ma prevedendo la flessibilità negli usi. E questo è un processo che richiede creatività, collaborazione, partecipazione dei cittadini e un cambiamento non solo della sostanza, ma anche dei metodi della politica”.

Sempre in questa direzione si può sottolineare il discorso sulla durata dei materiali e sulla loro ecosostenibilità compositiva. Una attenzione va posta  soprattutto per ottenere costruzioni più durevoli e sostenibili. Gli amministratori  possono riferirsi ad altre esperienze presenti in Italia, ma soprattutto possono individuare i criteri:

“‑Promuovere la progettazione e la costruzione di edifici che adottino tecniche sostenibili per i servizi, le dotazioni, il riciclaggio e lo smaltimento dei rifiuti; impieghino meno materiali sintetici, assicurino ambienti sani, e consumino la minore quantità di energia possibile, con una progettazione qualificata ed una normativa adeguata.

‑ Costruire meno edifici che necessitino di infrastrutture tecniche complesse.

‑ Costruire edifici rispondenti in modo passivo alle esigenze climatiche locali, esprimendo così le differenze regionali come avveniva in passato”[20].

 

3.1.2.Inquinamento e degrado cittadino,  con i suoi effetti sociali, economici ed ambientali, incidono non solo sul sistema urbano, ma anche sulla popolazione non residente. Per rispondere alla sensibilità dei ragazzi occorre tradurre  questa attenzione ecologica in proposta operativa. Lo si può fare  assumendo input da varie esperienze in atto in città europee e nazionali.

Per quanto riguarda l’aria, i ragazzi abruzzesi auspicano che le autorità locali adottino  strumenti e misure tecniche per ridurre le fonti e le quantità dell’inquinamento.

La loro richiesta  è in sintonia con i risultati del progetto internazionale “Sidria” sulle patologie respiratorie nei bambini   in un documento del quale si può leggere: “tosse notturna, tosse cronica e catarro cronico (della durata di più di due mesi consecutivi) mostrano la tendenza ad aumentare con l’aumentare del livello di urbanizzazione” [21].

Per l’acqua essi chiedono più rispetto e  ne incoraggiano un uso più razionale. L’acqua d’altra parte è un bene strategico del futuro: conservarne quantità e qualità costituisce un obiettivo prioritario per città come quelle d’Abruzzo. Non serve ricordare  gli effetti devastanti che una cattiva gestione dei fiumi e delle risorse idriche   potrebbe scatenare.

Per gli aspetti energetici dell’ecosistema urbano, realizzare città “energeticamente sostenibili” significa innanzitutto realizzare una corretta gestione dell’energia disponibile attraverso la sua conservazione. Il che dipende certamente dal comportamento dei singoli cittadini, ma anche dai cicli di produzione e di distribuzione dell’energia.

Si può operare nei confronti dei flussi di materie prime e di energia con i seguenti interventi:

  • si adotta un approccio integrato di cicli delle risorse naturali, dell’energia e dei rifiuti, con l’obiettivo di ridurre al minimo il consumo di risorse naturali, specialmente quelle non rinnovabili o rinnovabili lentamente;
  • si orienta il cittadino a ridurre al minimo la produzione di rifiuti ricorrendo sempre al riuso e al riciclo;

ridurre al minimo l’inquinamento dell’aria, del terreno e delle acque;

  • si prevede nei piani urbanistici l’aumento della percentuale delle aree naturali e si opera per tutelare la biodiversità.

Ci sembra opportuno anche “l’individuazione di un giusto sistema di tariffazione basato sul principio della città termodinamicamente efficiente, che sia in grado anche di motivare i fornitori di energia ad adottare misure concrete di conservazione dell’energia mantenendo il loro profitto”[22].

 Per rendere le città “energeticamente sostenibili”, una strategia particolare va adottata nei confronti dei rifiuti; anche perché la quantità di rifiuto prodotto e la quantità di rifiuto riciclato sono un indicatore dell’efficienza termodinamica di una città[23]. Dibattere se è meglio bruciare i rifiuti o metterli in discarica non risolve il problema del rendimento termodinamico delle città abruzzesi per migliorare le quali  sembra necessario agire gradualmente secondo una sequenza temporale di azioni che partono dalla riduzione  della produzione di rifiuti fino all’uso e al riuso di quelli inevitabilmente prodotti ma riciclabili, per giungere infine all’incenerimento dei residui.

Bisogna diminuire immediatamente l’immissione nell’ecosistema urbano di rifiuti e di precursori di rifiuti. Le nostre città sono  in sovrappeso, quanto a produzione di rifiuti e continuano “ a mangiare più del necessario, rischiando la crisi cardiaca. A questo malato non si può prescrivere una pillola per bruciare il grasso in eccesso; serve una dieta, spiegando che un piccolo sacrificio oggi aumenta di molto la vita”[24].

La regione Abruzzo potrebbe migliorare la normativa sull’uso, il riuso e il riciclo del materiale edilizio di demolizione, “a usare sempre imballaggi riutilizzabili e riciclabili, compostando i rifiuti organici, fornendo ancora più strutture di raccolta per incoraggiare le persone a una cernita più accurata dei rifiuti”.

  Le nostre città sono intasate di automobili. Al forte aumento dei flussi di traffico è corrisposto un cambiamento drastico nell’utilizzo dei modi di trasporto: andare a piedi o in bicicletta sta diventando uno sport o un modo di svagarsi: non è quasi più un modo di spostarsi; l’uso dei mezzi pubblici è diminuito a favore dell’uso dell’automobile, che ormai è diventata il simbolo di libertà di questo secolo, e probabilmente anche del prossimo. Ma a queste tendenze si associano problemi ambientali classici: ci sono problemi di salute, problemi sociali ed economici.  Non pochi ragazzi dell’inchiesta hanno indicato disagi  a tale proposito sia per  il rischio di essere in strada che  per quanto riguarda i parcheggi. Hanno rilevato un disagio per  “Aspettare per strada” nel 15,3% delle risposte, cui vanno aggiunte: “Ho fatto brutte esperienze in questo campo” (3,2%) e “Ho fatto brutti incontri” (9,3%), per un totale di 27,8% di ragazzi che ha vissuto la strada, per ragioni diverse, come un luogo a rischio. Nel trovare il parcheggio, sono i genitori a lamentarsene (8,2%, specie in città)  ma anche i ragazzi  che non sanno dove lasciare la bici o il motorino (2,6%).

Recita la carta di Aalborg: “Le città si impegneranno per migliorare l’accessibilità e sostenere il benessere sociale e lo stile di vita urbano pur riducendo la mobilità. E’ divenuto ormai imperativo per una città sostenibile ridurre la mobilità forzata e smettere di promuovere e sostenere l’uso superfluo di veicoli a motore. Sarà data priorità a mezzi di trasporto ecologicamente compatibili (in particolare per quanto riguarda gli spostamenti a piedi, in bicicletta e mediante mezzi pubblici) e sarà al messa al centro degli sforzi di pianificazione la realizzazione di una combinazione di tali mezzi. I mezzi di trasporto individuali dovrebbero avere nelle città solo una funzione ausiliaria per facilitare l’accesso ai servizi locali e mantenere le attività economiche della città”[25].

Per il conseguimento di un’accessibilità e di una viabilità urbana sostenibile è necessario ridurre la domanda di spostamenti urbani e capovolgere la tendenza all’incremento della mobilità, favorendo al tempo stesso la dipendenza dai mezzi pubblici invece che dall’automobile. Ma non solo. Serve sviluppare al più presto “un sistema di trasporto intermodale dove venga promossa la complementarità anziché la concorrenza tra i modi; serve incoraggiare e favorire l’introduzione di taxi per la collettività, di veicoli elettrici urbani; serve incoraggiare l’uso multiplo dell’automobile con le corsie privilegiate per i veicoli con più occupanti (High Occupancy Vehicle – corsie HOV), l’uso in comune di automobili private e di veicoli in comproprietà; il sostegno a misure che diano la priorità ai ciclisti e ai pedoni nelle città”[26]. Contro l’inquinamento atmosferico prodotto dall’aumento indiscriminato del traffico, dunque, si suggerisce  di intervenire   con la catalizzazione del parco auto circolante, con misure che favoriscano la rottamazione dei motocicli inquinanti in favore di quelli ecologici o elettrici, con la revisione del trasporto pubblico su gomme e sostituzione con bus elettrici, con la realizza­zio­ne di grandi par­cheg­gi e nuove linee urbane, interventi sugli impianti di riscaldamento, revisione completa e conver­­sione a combustibili meno inquinanti (metano), allontanamento delle industrie dai centri abitati e adozione di opportuni filtri.

“Quale ambiente, in una città fatta a misura di automobili? –  conferma Donatella Bassanesi ‑ I marciapiedi sono terra di nessuno (qualcosa di infido, incute timore ma non rispetto, fonte di degrado materiale e morale). Occuparsi di spazi verdi, di rendere la città più vivibile, di evitare la speculazione delle aree, che i marciapiedi siano puliti, che ci siano fontanelle e panchine vuole dire rendere la città più amichevole e occuparsi dei bambini. La città a misura di bambino (non il paese dei bambini) è accogliente per tutti”[27].

 

 

3.1.3. Ripensare i tempi di vita. Mirare all’obiettivo di città più umane significa sì costruire a misura dei bisogni di socialità (sviluppo dell’urbanistica, della progettazione partecipata, centri sociali, chiese, restituzione ai cittadini delle piazze, delle vie, dei parcheggi), ma anche aiutare il cittadino a  non perdere tempo (semplificando gli atti amministrativi e burocratici, riducendo il numero dei passaggi obbligati, favorendo l’applicazione delle leggi Bassanini sull’autocertificazione, ripensando  gli orari della vita della città). I ragazzi del campione chiedono esplicitamente di “coordinare gli orari, perché sia possibile disporre di più tempo libero per la famiglia (15,3%), potenziando i servizi (mense, dopo scuola, asili nido…)”.  Una sottolineatura  quindi va data al riordino dei tempi di vita delle città. Il problema dei tempi di vita, infatti,  è legato alla “incultura dei servizi”, ossia alla mancanza di attenzione a che i servizi rispondano effetti­vamente ai bisogni e traducano concretamente la cura da parte dello Stato della vita dei cittadini, per renderla meno difficoltosa e facili­tare la soluzione delle emergenze. Il problema va affrontato da più punti di vista. Dal punto di vista della reciprocità uomo donna, la compatibilità tra famiglia e lavoro ha un baluardo nella Costituzione, imperniata sui principi della persona e della solidarietà, che all’art. 29 recita: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia” e all’art. 31 impegna lo Stato ad agevolare “con misure economiche ed altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei com­piti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose”[28]. Dal punto di vista dei ragazzi è sempre più urgente ripensare i tempi scuola e i tempi liberi dei ragazzi stessi. Basta invece un rapido sguardo alla situazione contemporanea relativa alle linee di politica sociale e per la famiglia, da quella fiscale a quella più gene­rale della politica redistributiva dei redditi, a quella della casa e, in­fine, a quella dei tempi, per rendersi conto di quanto questi obiettivi siano stati disattesi[29].

Il problema dei tempi corre parallelamente al ripensamento del Welfare, perché manifesta la medesima esigenza di flessibilità, nel rifiuto di imposizioni rigide e disfunzionali rispetto alle richieste, di servizi standard, pensati con lo stesso metro delle attività lavorative. Si è costretti a tenere conto delle esigenze delle persone nei loro rag­gruppamenti familiari, nelle loro specifiche età della vita, nei bisogni  diversi,  cercando di conciliare le ragioni economiche con quelle della cura. Oggi, mentre ci si rende conto dei costi in­sostenibili di una cura espropriata alla famiglia dallo Stato, si scopre che è spesso controproducente: accudire un bimbo nelle prime fasi della vita o curare un anziano a casa significa sia ridurre i costi per lo Stato, che riaffermare il valore insostituibile dell’ambiente umano[30].

C’è il fondato rischio che il Welfare State re­gredisca nel riflusso, nei tagli puri e semplici della spesa sociale, nell’abbandono dei problemi di cura alle sole reti, all’efficienza delle associazioni e organizzazioni di volontariato, maschili e femminili, a tutto ciò che può costituire uno sgravio per lo Stato. Vi è ancora un largo margine di azione tra il servizio di assistenza e quello di volon­tariato, tra l’espropriazione e il servizio negato, col rischio continuo di restare nelle sterili discussioni attorno alle politiche sociali assistenziali, mentre di fatto lui e lei continuano a sopportare il pe­sante carico dell’organizzazione della vita quotidiana, i cui ritmi rendono spesso difficile incontrarsi tra coniugi oltre il pianerot­tolo (una grande responsabilità sociale e politica vi è legata in ordine alla patologia della famiglia: separazioni, divorzi, aborti), con figli nei momenti essenziali dell’accudire.

Qualcosa si va muovendo. Già gli orari di lavoro, per effetto della contrattazione collettiva si sono ridotti, nella gran parte dei settori produttivi con un orientamento a 35-36 ore. La tendenza è perseguire l’obiettivo di una ulte­riore riduzione, ad ogni rinnovo contrattuale. Ma, ripensare il Welfare non significa un più o meno di ore lavorative, un più o meno di ser­vizi, quanto una generale reimpostazione dei servizi stessi, dei luoghi e dei tempi di vita, tenendo conto sia del valore sociale della pre­senza di uomini e donne nel mercato del lavoro, sia del valore insosti­tuibile della famiglia e della vita armonica tra i suoi membri, grandi e piccini.

Nei dibattiti si parla di “tempo scelto”, ossia in­dividualizzato, per cui chi è inserito in un percorso occupazionale po­trebbe uscirne, per frequentare corsi di riqualificazione professionale o per scelte di cura, senza che ciò costi­tuisca motivo di penalizzazione per la conservazione del posto di la­voro, della pensione, dell’assistenza ed anche del reddito. Infine, l’art. 36 della nuova legge 142 sulle autonomie locali fa obbligo ai Comuni di armonizzare, a vantaggio degli utenti, gli orari dei servizi commer­ciali, degli uffici pubblici e dei servizi sociali. Si tratta di adottare un piano urbano dei tempi come già avviene in alcune città dell’Emilia Roamgna.

Si riconosce il diritto del bambino ad essere educato dai genitori, così come quello delle persone in difficoltà a godere di un ambiente fami­liare caldo, senza penalizzare coloro che operano scelte di solidarietà intrafamiliare, escludendoli per sempre dal mondo del lavoro. Nelle proposte che si vanno avanzando, viene anche in evidenza la possi­bilità di periodi di non lavoro che vanno da 30 mesi a 5 anni, da fruire nell’intero arco della vita lavorativa, potendo conservare il posto e recuperare il tempo “perduto”. Vi è anche la possibilità di vendere pacchetti-lavoro di poche ore settimanali, magari gestite a casa, davanti ad un computer[31]. Tali proposte dovrebbero essere maggiormente studiate, nel difficile equilibrio tra qualità della vita e mercato del lavoro, ma anche maggiormente conosciute e discusse dalle famiglie stesse, perché si diffonda una cultura che sia di soste­gno ad una gestione familiare conforme alla cultura della reciprocità, rendendo possibile a ciascuno di realizzare al meglio le sue poten­zialità e le sue competenze.

A fronte di obiettivi di ottimizzazione della qualità della vita, nella realtà si assiste alla contraddizione tra la moltiplicazione delle carte dei diritti (del bambino, dell’anziano, del malato) e lo stroz­zamento dei compiti di cura della famiglia, tra espropriazione, burocratizzazione, delega al pubblico e ricaduta del peso globale sulla madre di famiglia. I vari documenti sono espressione della esigenza di umanizzare la vita, come i documenti delle Conferenze dei Ministri Europei incari­cati di questioni familiari, la carta dei diritti del bambino adottata dall’ONU. Le raccomandazioni, le proclamazioni, le carte dei diritti non possono contrastare l’inefficacia della moltiplicazione di enti, troppo spesso resi sterili dagli eccessi della burocrazia, dall’anonimato, dalle clientele, funzionanti più per autoregolazione interna che in vista di un servizio al cittadino. L’obiettivo è oltrepassare le logiche autoreferenziali del si­stema, obiettivo in cui i soggetti femminili si sentono particolarmente protagonisti (si parla perciò di un sistema woman-friendly [32]) coaudiuvati in questo dai ragazzi, altro soggetto in trend positivo di  protagonismo. La difficoltà di ripensare l’intervento pubblico, passa per questa sfida, perché non sia né sostitutivo né pu­ramente assistenziale, ma mirato a mettere al centro i soggetti sociali, lasciando che siano essi stessi a dire la propria e a gestire l’organizzazione della cura, col sostegno dello Stato.

Sono aspirazioni che potranno tradursi in realtà se il tessuto sociale, i gruppi e le associazioni, sapranno costi­tuirsi come soggetti responsabili, dal punto di vista politico, nella gestione delle risorse locali, per contribuire a costruire ed esigere, se occorre, il rispetto di tempi di vita più umani per tutti.

Le piste di soluzione non possono essere sempli­ci­sti­camente ridotte al fattore tempo, anche se questo fattore non può es­sere sottovalutato, né limitato a piccole proposte di modifica degli orari. In vista di una cosiddetta città userfriendly, amica-di-chi-ci-vive, leggi e disposizioni dovrebbero essere riformulate da appo­site commissioni con la partecipazione di famiglie e ragazzi, attente ad armonizzare gli orari di lavoro con i ritmi fami­liari (trasporti, negozi, burocrazia, banche, scuole). Entrano in gioco valori non strettamente produttivi in termini di mercato, come la cultura, la solidarietà, il tempo del tu (cura dell’altro). Perciò si parla di care in society, quando il Welfare State si ripensa in prospettiva della valoriz­za­zione delle prestazioni di cura[33]. Segnali positivi si intravedono nella cura dell’altro generalizzato (non parente o amico) o “cura sociale” (che altrove ho chiamato “maternità sociale”). Anche se la famiglia perde alcuni suoi compiti tradizionali, ne acquista di più impegnativi, dal momento che la cura oggi si estende, oltre l’ambito dei figli e dei parenti stretti, al sociale e al politico (volontariato, associazionismo, figura della casalinga-cittadina e dei baby sindaci)[34].

 

  1. Per una città amica dei bambini

 

 

Nella città labirinto il cittadino e quello adolescente in particolare viene spinto a comunicazioni superficiali, spesso dominate dal sospetto, e ad un agire anonimo[35].  Si parla  di “disorientamento” — nota F. Jameson col consueto pessimismo — che  si evidenzia nei grandi edifici o nei mega com­plessi che formano cittadelle autonome all’interno della città: scale, ascensori, com­plessi ritagli di spazi producono l’incapacità di orientarsi, di organizzare l’ambiente in rapporto alla posizione del proprio corpo e quindi la separazione tra corpo e ambiente. La città viene pensata come spazio alienante, di cui la gente non riesce a tracciare una mappa per potersi collocare spazialmente in rapporto alla totalità in cui si muove[36].

In suo favore l’epoca contemporanea ha la valorizzazione della comunicazione e ha inteso lo spazio città come una dimensione comunicativa[37]. Comunicare implica il riscatto dalla schiavitù dello spirito, incapace di sovrintendere l’attività dell’uomo, distratto nei sogni, nella pura funzione vegetativa o nelle ri­petizioni meccaniche dei gesti della fabbrica. La H. Arendt ha fortemente sottolineato che, essendo la corsa al potere frutto del limite del pensiero umano e di una illusione conoscitiva, se ne possono vincere i meccanismi grazie allo scambio di parola, alla comunicazione politica nella città[38]. An­che per Simone Weil l’agorà è il luogo della parola e della sovranità: “Noi non pos­siamo tentare niente utilmente… senza aver confrontato tra noi le nostre concezioni”[39]. Nella parola che comunica, che è qualcosa di spirituale,  l’uomo può ridefinire l’ambiente che lo cir­conda, rimettere in discus­sione le illusioni e riaprire le strade del possibile, se imprime a questo comunicare la direzione etica dell’incontro.

La costruzione di una città  amica dei bambini richiede soggetti capaci di mettere in comunicazione le esigenze di ognuno, facendo penetrare iniezioni di umanità nella rigida e burocratica organizzazione della città e consentendole di sopravvivere, nonostante tutto.

Per la città di domani, gli studiosi utilizzano nuove tecno­logie informatiche, cercando di riorganizzare gli spazi della comuni­cazione e i territori in maniera più funzionale, anche se ciò non significa automaticamente  più umana. Si ricercano  soluzioni che esprimano insieme tecnica e ragioni di senso, organizzando in modo nuovo spazio, tempo, velocità. Alla pesantezza del muro, si sostituiscono i pilastri che veicolano cavi informatici e comunicano con “punti di incrocio” e “linee di connessione” (architettura della comunicazione), per una “architettura della non materia”. Si parla di filosofia del territorio, con riferimento non tanto ad atteggiamenti utopici, usuali nella storia dell’urbanistica, quanto a prospettive definite escatologiche, in quanto suscitatrici di cambiamenti motivati (per Masullo si tratta di “traenza escatologica”). Si parla anche di città “cablata”, ossia riorganizzata mediante l’utilizzo dei sistemi telematici, quando il puro utilizzo di tecnologie materiali ha manifestato i suoi esiti di entropia  per il degrado ambientale. Si vuole ripensare il concetto di città come interconnessione di persone e oggetti, facendo riferimento al tessuto, con suoi nodi di incrocio.

La nuova architettura dovrebbe essere meno orientata al realizzare, meno materiale e corposa e più adatta al comunicare, al costruire rapporti e, aggiungiamo, al contemplare. La riconfigurazione della forma e dello spazio significa mirare alla salvaguardia ambientale, alla flessibilità per esprimere  la progressiva integrazione della persona con il creato, sia attraverso l’impiego di tecnologie materiali, sia attraverso nuovi squarci di prospettiva.

4.2.1.Sicurezza. I bambini vivono sempre accompagnati, vigilati e rinchiusi. Bisogna dare loro una città che tenga conto delle loro esigenze. Francesco Tonucci, dell’Istituto di Psicologia del CNR, nell’iniziativa “La città dei bambini” ha lanciato il progetto “A scuola da soli” che restituisce ai piccoli la libertà di rapportarsi con il mondo che li circonda. Ai genitori si chiede di rinunciare alla paura di mandare i bambini da soli per strada[40]. Il progetto prevede la mobilitazione del quartiere (contando anche sulla figura del commerciante amico) e un cambiamento profondo della città. L’idea di andare a scuola da soli consente al bambino esperienze indispensabili per la sua crescita e lo libera dall’abbraccio di quella baby-sitter materna che è la TV. Negli appartamenti non c’è più spazio per i loro giochi e non c’è chi ne sopporti il chiasso. Eppure l’art. 31 della Convenzione dei diritti dell’infanzia riconosce il diritto al gioco[41]. “Si rivela di primaria importanza affrontare il tema della progettazione di una città diversa, in cui i giovani siano al centro dell’attenzione degli amministratori e della cittadinanza, a livello di quartiere. Progetti che siano proposti e discussi con i bambini e gli adolescenti, che sono le nuove generazioni interessate”.

Se prendiamo come riferimento i bambini, ciò significa:

costruire a misura dei bisogni di socialità  delle famiglie e dei bambini (sviluppo dell’urbanistica, della progettazione partecipata, centri sociali, chiese, restituzione ai cittadini delle piazze, delle vie, dei parcheggi);

aiutare il cittadino a  non perdere tempo (semplificando gli atti amministrativi e burocratici, riducendo il numero dei passaggi obbligati, favorendo l’autocertificazione).

Anche nei confronti dei centri storici va individuata una politica urbanistica di riqualificazione della comunicazione e della vivibilità. “Il centro storico – è stato scritto va riportato a nuova vita, e, per andare incontro al bisogno dei ragazzi di vivere la città, si propone di realizzare condizioni ambientali utili a:

-tutelare la quota di residenti esistenti e incrementarne la presenza;

-migliorare l’accessibilità con servizi pubblici potenziali e aree di parcheggi ampliate;

-risolvere il problema auto per i residenti”.

 

4.2.2. Comunicazione. Una città vissuta a “misura d’uomo”[42] come  con sensibilità hanno rilevato gli intervistati progetta e affianca al centro storico altri centri (borghi, quartieri, frazioni) dotati dei servizi essenziali e indispensabili a soddisfare i bisogni della vita quotidiana[43]. Perché si possa ristabilire una corrente di fiducia, è fondamentale la continuità della comunicazione tra politici e cittadini (oggi frenetica solo in periodo elettorale), nella consapevolezza che l’effettiva rappresentatività nasce dall’appartenenza ad un progetto comune, da una condivisione di obiettivi, da un vissuto partecipato senza confusione di ruoli, ma anche senza divaricazioni. Accade più spesso che coloro che sono detti titolari della sovranità della nazione, i cittadini in quanto padroni di casa nella città, specie se ragazzi, si sentano in realtà ospiti, spettatori, svuotati come sono di cittadinanza, non perché impediti al voto, ma perché non messi nelle condizioni di far sentire la loro voce. Nella realtà attuale i bambini, insieme con altri gruppi di cittadini, vengono considerati come una specie da proteggere: vedono, cioè, ignorati i propri diritti come cittadini che hanno esigenze peculiari.

Ci si occupa di loro solo in quanto utenti di servizi (scolari, adottati, assistiti, malati, ecc.). Occorre un rovesciamento di prospettiva: guardare a loro come indicatori della qualità della vita, una risorsa preziosa per interrogarci sulle scelte fondamentali da assumere rispetto al futuro della città[44].

 

4.2.3. “Star bene in città”. Per questo è importante dedicare loro un’attenzione mirata che si può formalizzare nella costituzione di un settore decisionale che si occupi del loro star bene in città, dell’affermazione del loro diritto, come cittadini, di esprimere esigenze, progetti, proposte. Si potrebbe istituire in ogni comune medio grande l’Assessorato dei bambini[45]. Si legge in un documento del Comune di Varese che sta sperimentando questa modalità: “Non si tratta solo di realizzare iniziative e strutture nuove per i bambini, né solo di modificare, aggiornare e migliorare i servizi per l’infanzia (che rimane, comunque, un dovere per la pubblica Amministrazione).

La sfida, invece, è quella di accettare la diversità dei bambini quale garanzia di tutte le diversità; di imparare ad ascoltare e capire i bambini per essere capaci di capire tutti”.

Lo “star bene” di una città amichevole per i bambini richiede un’azione di governo orientata verso scelte che migliorino i bisogni primari (casa, lavoro e sicurezza), la vita di relazione sociale e culturale, la qualità dell’ambiente.

La qualità delle relazioni sociali e culturali si nutre del coinvolgimento di diverse realtà associative e di volontariato già esistenti nonché della nascita di nuove aggregazioni.

Opera importante  è ridurre le barriere burocratiche per la fruizione delle strutture pubbliche (impianti sportivi, sale riunioni, etc…) facilitando l’accesso anche a gruppi non associati.

Infine la realizzazione  di aree dedicate ai bambini, aiuta a pensare la città a misura di bambino, per immaginarla adatta a tutti e per permettere nuovi rapporti intergenerazionali (anziani, giovani, adulti).

Quale metodo si può utilizzare?

Innanzi tutto si può istituire un gruppo promotore composto da operatori e educatori provenienti dalle istituzioni e dal privato-sociale (che si occupa di bambini). Tali agenti catalizzatori esterni possono garantire la qualità scientifico-operativa dell’iniziativa e l’avvio di processi sinergici all’interno della scuola, nei quartieri e tra i soggetti istituzionali.

Si può quindi porre in essere una struttura inter-istituzionale a livello cittadino, composta di rappresentanti dei settori urbanistica, parchi e giardini, arredo urbano, vigilanza, ambiente, qualità urbana, progettazione e costruzioni stradali,  che permetta di conoscere in tempi brevi e di rispettare i piani urbanistici e i piani particolareggiati dei Comuni e dei privati relativi ai luoghi scelti dai ragazzi insieme ai cittadini per la riqualificazione, per  valutare, in corso d’opera, la fattibilità progettuale, per approntare dei progetti tecnici in tempo utile. Questa  l’esperienza al comune di Milano: “Dal 1994 è attivo un Consiglio per il benessere dei minori, organismo tecnico permanente presieduto dal Sindaco. Partecipano istituzioni pubbliche (Usl, Provveditorato agli studi, Regione, Provincia, Tribunale di minori…) e forze del Terzo settore (associazionismo, volontariato, cooperative sociali…). Un programma di prevenzione sul territorio, di educazione civica e di partecipazione guidata dei bambini al miglioramento della qualità della vita (interventi in campo urbanistico, ecologico, di arredo urbano, di vigilanza…). Periodicamente la comunità tutta viene coinvolta nelle iniziative in corso, sia in fase progettuale sia in quelle consuntiva. Feste e mostre diventano occasioni per dibattere i temi della città”[46].

Ancora sul piano metodologico  è necessario:

“- accettare un confronto continuo con i problemi e i diritti e le necessità dei bambini, non in quanto utenti di un servizio, ma in quanto cittadini;

– considerare la città come un laboratorio, un luogo di ricerca dove si è disposti a rovesciare l’ottica delle prospettive e degli obiettivi;

– garantire su questo piano un impegno e una verifica trasversale e continua di tutti gli assessorati e di tutte le scelte amministrative;

– coinvolgere nei programmi e nelle attività tutte le associazioni che già si occupano dell’infanzia e le forze sociali e produttive che operano in città”.

Una scelta di così ampio respiro culturale e politico trova nel Sindaco la figura centrale che garantisce lo sviluppo del progetto in quanto primo difensore dei bambini della città[47] .

4.3. Responsabilità e  partecipazione

 

La passività e il disinteresse della maggior parte dei cittadini per le questioni politiche sono confermati da tutte le inchieste, unitamente alla scarsa fiducia nelle istituzioni. Nella indagine sul tempo libero dei giovani dai tredici ai diciassette anni nella regione Abruzzo, le risposte sulla fiducia nelle istituzioni, eccezion fatta per la famiglia che raccoglie il 72,5% di consensi, sono indicative di questa caduta di senso civico: Chiesa 39,7%; Scuola 35,7%; Forze dell’Ordine 19,9%; Comune 4,6%; Partiti 3,3%[48].

In compenso, i ragazzi della presente inchiesta risultano più legati al loro habitat, anche dal punto di vista socio-politico, e  manifestano maggiormente il desiderio di conoscere, con visite guidate, l’ambiente e gli enti locali (Comune, Provincia). In effetti possiamo considerarli “ragazzi-cittadini, se con questa espressione intendiamo la loro capacità non solo di amare la città e frequentarla, ma anche di pensare e progettare ciò che può renderla più vivibile per se stessi e per gli ultimi, ai quali pensano significativamente (52,2% delle risposte sul sindaco ideale). Essi hanno manifestato il desiderio di poter prendere la parola, non tanto per sostituirsi a quanti sono preposti alla pubblica amministrazione, quanto per essere ascoltati e poter portare un contributo creativo. Non si sentono solo utenti passivi. Chiedono infatti che il loro parere sia tenuto in conto e considerano questo ascolto delle voci dei ragazzi un segno indicatore di buona capacità amministrativa. In breve essi chiedono che sia possibile sperimentare il loro peso nella città, nonostante la mancanza del diritto di voto, nella convinzione che non si conta solo perché c’è chi conta i voti, ma in quanto persone che frequentano intensamente, forse più degli adulti,  la città e amano l’ambiente in cui sono cresciuti”[49].

 

4.3.1. Partecipare. Si  deve perciò profittare della circostanza e rilanciare forme partecipative (oltre quelle istituzionali e partitiche, raggiungendo la realtà quotidiana), favorire la conoscenza della storia della propria città e della realtà geografica circostante; educare all’amore per la propria gente e al dovere di contribuire al buon vivere comune[50]; i sindaci potrebbero istituire premi di civismo per giovani al fine di rafforzare l’amore per la città, dando un riconoscimento pubblico a chi si prende cura di una proprietà non privata (giardino, strada, cabina telefonica, panchina).

Il coinvolgimento partecipativo dei fanciulli  viene ritenuto necessario al benessere dei fanciulli stessi anche nel citato documento del Governo, informandoli e responsabilizzandoli in alcune scelte dell’amministrazione della città: “E’ di grande importanza che i centri urbani, in modo particolare, si conformino per riconoscere la cittadinanza dei più piccoli. Per crescere bene, infatti, è necessario che vi sia tempo per i rapporti e spazi dove vivere la propria età. Vi debbono essere occasioni, da condividere anche con gli adulti, per sperimentarsi e formarsi alla vita della comunità civica, costituita da approcci, confronti ed integrazioni di persone diverse per età, sesso ed etnia. In questa prospettiva è opportuno prevedere organismi di partecipazione diretta dei ragazzi, finalizzati all’individuazione e alla soluzione dei problemi loro e della comunità”[51].
L’intento del governo italiano era quello di uniformare le politiche sociali  dei poteri locali per i bambini.

 

4.3.2. Riserva di democrazia. Tali esigenze si raccordano con l’aspirazione ad una “democrazia comunale” in cui i ragazzi possono  diventare una “riserva di democrazia” alla quale deve corrispondere una urbanistica comunale, atta a rendere visibile che la città è il luogo dell’incontro tra ragioni della politica e ragioni della vita di relazione, dell’economia e della solidarietà, delle comunicazioni ideali ed espressive e delle regole sistemiche. Sono tutte esigenze che si esprimono con “democrazia comunale” luogo di incontro e avvicinamento tra ragioni della politica e ragioni della solidarietà[52]. Forti della capacità di giudizio e della dignità di cittadini loro riconosciuta, i ragazzi del campione hanno  chiesto di essere ascoltati di più e di raccogliere le loro esigenze (47,9%).

Per riprendere ancora esperienze già in atto sul territorio italiano si può avere come obiettivo l’insediamento del   Consiglio Comunale dei ragazzi con lo scopo   “di riconoscere capacità decisionale ai giovani anche attraverso i canali politico-istituzionali, evitando di riprodurre in modo stereotipato mansioni/ruoli mutuati dal mondo degli adulti e valorizzando ricerche significative delle caratteristiche del territorio ed elaborazioni originali di proposte migliorative rispetto all’ambito di vita dei ragazzi attuate dalle scuole”.

Interessante l’itinerario seguito dai fanesi che attraverso il loro sindaco , difensore dell’infanzia, hanno  visto la costituzione innanzitutto di un Laboratorio, con personale e risorse del comune. Il laboratorio ha costituito il momento aggregante intergenerazionale che ha svolto la funzione del “grillo parlante” o di svegliarino delle coscienze sulle problematiche dei  bambini. Come secondo importante momento  si è data la parola ai bambini, riservando loro un ruolo da protagonisti. Commenta giustamente Tonucci: “Nessuno può rappresentare i bambini senza preoccuparsi di consultarli, di coinvolgerli, di ascoltarli. Far parlare i bambini non significa chiedere loro di risolvere problemi della città, creati da noi, significa invece imparare a tener conto delle loro idee e delle loro proposte…Occorre essere convinti che i bambini abbiano qualcosa da dirci e da darci, che questo qualcosa sia diverso da quello che sappiamo fare noi adulti e che quindi valga la pena metterli in condizione di esprimere  quello che pensano davvero”[53]. Il Laboratorio di Fano ha poi  convocato un Consiglio dei bambini con rappresentanti delle quarte e delle quinte elementari, diverso dalle numerose esperienze di sindaci e consigli baby, con l’intento cioè di dare “alla città la scioccante opportunità di confrontarsi con un punto di vista e con un pensiero ‘altro’, diverso, come quello infantile. Un consiglio dei bambini quindi per cambiare la città e non per far contenti i bambini”[54]. Infine i bambini di Fano sono stati chiamati  a dare il proprio contributo progettuale per la soluzione dei diversi problemi urbanistici  e ne sono scaturite proposte originali e alternative al solito schema urbanistico degli adulti.

Come rispondono i ragazzi coinvolti anche altrove nella gestione delle  proprie città?

La scoperta di poter essere ascoltati, di poter essere cittadini comporta un’idea di diritti e di responsabilità che facilita la consapevolezza del proprio ruolo nel migliorare il proprio paese. “Un gioco serio. I ragazzi ringraziano gli adulti, i sindaci, i tecnici per essere stati presi considerazione. Dove si era pensato ci fosse solo problema si scoprono straordinarie risorse. Dal 1990 al 1992 la città di Milano ha partecipato al Progetto Bambino Urbano, programma internazionale promosso dall’Unicef di alcuni paesi del mondo, coordinato in Italia dall’Istituto degli Innocenti di Firenze”[55].

E’ vero in generale che si allarga la fascia dei giovani consapevoli dei processi politici in atto, anche se diminuisce  la fascia dei politicizzati e impegnati nei partiti. E’ più facile che essi convoglino i loro interessi sui grandi problemi del mondo (i “grandi universali”: pacifismo, lotta all’AIDS, solidarietà) e d’altro canto sull’impegno nelle attività di volontariato, come espressioni della ricerca di un nuovo modo di far politica.

Ciò si inserisce bene nel disincanto verso il sistema democratico che di per sé non è   la panacea  di tutti i mali, ma è anche tendenzialmente un sistema pilotato da un’oligarchia, se non si trova il modo per correggere i limiti di un sistema formale, ridotto a “democrazia puntale” o “monosillabica”.

Si rafforza perciò la convinzione che una democrazia che voglia tentare di risolvere i suoi problemi, debba coniugare i luoghi e gli strumenti della partecipazione con aspetti qualitativi: diffusione di una adeguata coscienza politica, crescita della dimensione civica e della legalità,  rafforzamento dei momenti di comunicazione, fiducia nelle istituzioni, formazione di persone sempre capaci di assumere l’impegno, se necessario. La crescita della democrazia è affidata ai cittadini, alla loro capacità di comunicare con discernimento, filtrando le notizie, prendendo posizione, votando consapevolmente, creando e ravvivando giornalmente i luoghi degli scambi simbolici nei quali si fa la “politica vicina”, dal bar alla pizzeria, alle sedi di associazioni e partiti, ai luoghi di lavoro.

Per i cittadini più giovani oggi è particolarmente importante percepire il senso di una presenza politica come continuità e innovazione  rispetto alla propria storia, percepire cioè l’equipollenza tra la dedizione non di rado anche eroica al proprio ambiente familiare e l’agire nei luoghi della vita pubblica a vantaggio dell’ “altro generalizzato”. L’abitudine all’impegno verso il tu che è di fronte, al quale si è legati affettivamente, deve potersi allargare al tu che non si ha modo di incontrare, ma che abita la stessa città, e poi via ai connazionali, agli abitanti del pianeta, “piccolo villaggio”. Sarebbe infatti antistorico non prendere coscienza dei collegamenti palesi e occulti, nazionali e sovranazionali che condizionano i livelli micro.

 

4.3.3.Educare la responsabilità. Molto più in profondità della conquista dei posti, l’impegno democratico è culturale: mira a ricomporre l’alienazione tra persona e cittadino/a, a cominciare dalla formazione alla responsabilità della cura nei confronti della propria città, all’utilizzazione tutti i nuovi canali  della partecipazione, al collegamento tra le esigenze quotidiane della vita con l’agire politico. Per essere meno disarmati di fronte alla complessità dei problemi della democrazia, occorre investire su un lento ma sicuro lavoro di formazione politica ed etica, che parta dall’infanzia e colmi l’attuale disinteresse scolastico e associativo per l’ambito politico. La sfida del futuro, nel rapporto tra cittadini e  politica, si gioca sulla formazione di persone capaci di competenza ed eticità, per entrare nelle istituzioni non per esserne semplicemente cooptati, ma per portarvi l’investimento del proprio impegno costruttivo.

Di qui la ne­cessità di potenziare le biblioteche e in particolare quelle per ragazzi, in ogni quartiere della città, affiancate a più ampi centri di servizi culturali, nei quali si potrebbero istituire corsi di formazione all’ascolto selettivo della radio e della Tv, gruppi di Tv-forum e disco-forum, cineforum. Sempre nelle biblioteche di qu­artiere e nel centro di servizio culturale si potrebbero riservare delle sale di lettura sele­zionata e guidata, facendo incontrare i ragazzi periodicamente con gli scrit­tori viventi, non senza coinvolgere la scuola, allo scopo di aiutarli a collegare la pagina scritta alla persona che l’ha prodotta.

La proposta è quella di coinvolgere le scuole, specie quelle della media, anche in forma di gioco a squadre come hanno fatto a Lecce col progetto “La città che vorrei”. Gli scopi condivisi alla base  della fase  operativa sono:

“- raccogliere, documentare, pubblicizzare i lavori delle singole scuole tesi ad un intervento nel proprio contesto territoriale;

– sollecitare tutte le realtà scolastiche ad elaborare proposte di miglioramento del tessuto sociale e della realtà ambientale circostante;

– rendere più consapevoli gli insegnanti della risorsa rappresentata dalla disponibilità al dialogo di amministratori locali e dirigenti comunali attraverso un coordinamento dei docenti referenti;

– favorire i rapporti tra le realtà scolastiche e gli amministratori delle circoscrizioni;

-organizzare ogni anno un Consiglio Comunale aperto, nel corso del quale gli studenti delle scuole cittadine rappresentino problemi e richieste, propongano loro forme di partecipazione organizzata, anche a fronte di un budget messo a disposizione per gli interventi conseguenti dalle Circoscrizioni e dall’Amministrazione Comunale”.

Molto significativa anche l’esperienza, comune in parte ad altre città che hanno aderito all’Associazione Mondiale delle Città Educative, che si sta conducendo nella città di Varese.

Questi gli scopi che si sono proposti:

“- elaborare e scambiare con tutte le città associate a livello mondiale progetti tesi ad adattare le nostre città a misura di bambino, e dunque a renderle più vivibili da parte di tutti ed in particolare dalle fasce più deboli della popolazione;

– diffondere a tutti i livelli di popolazione – a partire dai responsabili della politica cittadina – una cultura dell’infanzia che cerchi soluzioni per consentire ai bambini di riappropriarsi della loro città: di conoscerla meglio, di avere la possibilità di percorrerla sicuri e protetti, di accedere autonomamente alle risorse (sportive, culturali, ricreative, …) che la città può offrire loro, attraverso progetti (urbanistici, viabilistici, sociali, culturali, educativi) che tengano conto di punti di vista assunti dalla parte dei bambini.

Tale prospettiva comporta un rovesciamento di un tipo di politica affermatasi nel recente passato, tendente anziché a ridurre motivi di disagio, a fornire sempre più servizi atti a superarli”.

[1] Per S.BELLOW muore più gente di crepacuore per solitudine che per radiaziopni per l’inquinamento atmosferico: cf. S. BELLOW, Ne muoiono più di crepacuore, Mondadori, Milano 1987, pp.88 ss.

[2] Su questo argomento cf. G. AMENDOLA, Disgregazione e marginalità urbana: il borgo antico di Bari, Mazzotta, Milano 1976.

[3] Cf Soroptimist, Tempo libero e giovani a rischio nella realtà del quartiere.  Quale prevenzione?, Pescara 1992

[4] Sul rinnovamento della politica con riferimento alla famiglia cf. A. DANESE, Riscoprire la politica, Roma 1989, p. 216.

[5] Per S. Bellow muore più gente di crepacuore per solitudine che per ra­diazioni o per l’inquinamento atmosferico: cf. S. Bellow, Ne muoiono più di crepacuore, Milano 1987, 88 ss. Sulla disgregazione operata dalla città, cf. G. Amendola, Disgregazione e marginalità ur­bana: il borgo antico di Bari,  Mazzotta, Milano 1976.

[6] F. Bellino, Etica della solidarietà, Bari 1988, 196.

[7]  F.  Bellino, op.cit., 284.

[8]  Cf C. Cellamare, in Internet 98, http://wwwdau.ing.uniroma1.it/ progetti/conferen/carlo.htm

[9] Cf E. Scandurra e C. Cellamare,  Verso nuovi paradigmi urbani: dalla cultura del macchinismo alla città sostenibile, in  Internet 1998, .progetti/ref96/s96g.htm, cf anche E. Scandurra, La città tra ordine e disordine in Tiezzi E., Marchettini N. (a cura di), Oltre l’Illuminismo, Cuen, Napoli 1995, pp.185/209.

[10] Cf anche E. Scandurra,  Dalla città “moderna” alla città ecologica; Atti del Convegno di Venezia su: “Ambiente e pianificazione”; Venezia 25/26/27 marzo 1996, Palazzo Tron, Santa Croce, Atti, in Internet 98,  http://www.dau.ing.uniroma1.it/progetti/ref96/s96d.htm

[11] Su questi aspetti cf R. Fortina, Relazione Agenda 21, Internet 1998, http://www.aerre.it

[12] cf R. Fortina, Relazione Agenda 21, cit., 2.

[13] In effetti i ragazzi intervistati denunciano la mancanza di rispetto per l’ambiente (43,9%) e il degrado ambientale (28,5%) e chiedono nel 71,05% delle risposte più spazi verdi e nel 72,89% parchi attrezzati.

 

[14] AA.VV., L’Europa e l’Architettura domani, cit. §3.4.

[15] Cfr. G. Di Nicola, Ragazzi cittadini, cit.. infra.

[16] AA.VV., L’Europa e l’Architettura domani, cit. §3.5.

[17] AA.VV., L’Europa e l’Architettura domani, cit. §3.5.

[18] AA.VV., L’Europa e l’Architettura domani, cit. §3.5. “ Nonostante i grandi progressi gli spazi pubblici mancano troppo spesso di estetica. Incrementando le piantumazioni si migliora il microclima, si riduce la polvere, si filtrano i rumori, si rinfresca la vista e lo spirito. Arredo urbano: cartelli, illuminazione, pavimentazioni, cassonetti, cabine telefoniche, semafori, panchine, tutto è installato senza riguardo alla coerenza ubicazionale o culturale. Le città, i centri urbani e molte periferie sono “ambienti tecnici” privi di ogni senso di qualità visuale.

Escluse le aree vincolate, abbiamo trascurato i controlli estetici. Ciascuno costruisce senza alcun riguardo per i propri vicini. Anche nei centri storici, la necessità legittima ed urgente di tutela del patrimonio storico ha spesso come risultato riproduzioni in stile-cartolina di una vita passata da tempo, senza ammettere il valore della civiltà contemporanea. La gerarchia passata viene distrutta: oggi, invece di essere simboli civili e religiosi, gli edifici predominanti sono espressione del potere commerciale ed economico, autocompiacenti e indifferenti all’interesse pubblico.

La più urgente sfida funzionale, sociale e culturale consiste nel creare un ambiente contemporaneo della stessa umanità, qualità ed importanza talvolta già realizzata in passato, per poterlo a nostra volta tramandare con orgoglio alle future generazioni” (Ivi, §3.6)

[19]AA.VV., L’Europa e l’Architettura domani, cit. §3.6. “ La città europea è la più importante depositaria della nostra eredità culturale ed è il simbolo stesso della cultura europea. Attraverso l’Organizzazione dell’ambiente edificato la nostra tradizione civica cerca di rendere la società comprensibile e presente ai suoi cittadini, consentendo loro una partecipazione razionale, democratica e – in ultima analisi – pienamente umana. La tradizione civica europea attraversa due millenni di storia del nostro continente, ed è diversa da tutte le altre. Essa riunisce una molteplicità di funzioni: residenziali, lavorative, di svago, civili e religiose, in una ben ordinata gerarchia. Essa controlla l’espressione edificata, in merito alla prevenzione incendi, all’igiene e all’estetica: da almeno 700 anni esistono controlli sul disegno delle facciate. Essa promuove la continuità culturale: un equilibrio di finalità e di mezzi, una risposta adeguata al clima locale, alle tradizioni e al contesto culturale, una corretta sintesi di ideali”.

[20] AA.VV., L’Europa e l’Architettura domani, cit. §3.5.

[21] AA.VV., La frequenza dei fattori di rischio per l’asma bronchiale in varie aree italiane, estratto da “Epidemiologia & prevenzione”, 21(1997 ), 243-251. Il campione italiano ha preso in esame 18.737 bambini residenti in varie zone d’Italia con diverso grado di urbanizzazione e ha rilevato che la maggiore incidenza (10,8%) delle patologie respiratorie abituali si ha tra i maschi, residenti in zone metropolitane o urbane e con un basso livello di istruzione dei genitori.

[22] cf R. Fortina, Relazione Agenda 21, cit., 3.

[23] Cf AA.VV., La città da vivere. Teorie e indicatori di qualità, Vita e Pensiero, Milano 1996, p. 101, dove M. Colombo li indica come fattori di stress urbano e rischi derivati(pp. 97-120).

[24] Cf Riccardo Fortina, Relazione Agenda 21, cit., 3.

[25] Carta di Aalborg, cit., § I.9 Modelli sostenibili di mobilità urbana. La Carta di Aalborg è stata approvata dai partecipanti alla conferenza europea sulle città sostenibili, che si è svolta ad Aalborg, Danimarca, dal 24 al 27 maggio 1994 sotto il patrocinio congiunto della Commissione europea e della città di Aalborg ed è stata organizzata dal Consiglio internazionale per le iniziative ambientali locali (ICLEI). Il progetto di Carta è stato elaborato dall’ICLEI insieme al ministero per lo sviluppo urbano e i trasporti dello Stato federale della Renania del Nord-Westfalia, RFG. La Carta rispecchia inoltre le idee e il contributo redazionale di partecipanti diversi.

La Carta di Aalborg è stata firmata inizialmente da 80 amministrazioni locali europee e da 253 rappresentanti di organizzazioni internazionali di governi nazionali, istituti scientifici, consulenti e singoli cittadini. Con la firma della Carta le città e le regioni europee si impegnano ad attuare l’Agenda 21 a livello locale e ad elaborare piani d’azione a lungo termine per uno sviluppo durevole e sostenibile, nonché ad avviare la campagna per uno sviluppo durevole e sostenibile delle città europee.

[26] Cf Riccardo Fortina, Relazione Agenda 21, cit., 4.

[27] D. Bassanesi,  Bambine/Bambini Per una politica della cittadinanza,  in “Il paese delle donne”, n.1 (1997).  Dello stesso tenore l’invito ai cittadini di Fano alla collaborazione per la realizzazione del progetto “Fano la città dei bambini”: “Lavorare perché la città diventi adatta ai bambini significa lavorare perché la città sia adatta a tutti” (Invito alla collaborazione, in F. Tonucci, op. cit., p.208). Conferma in maniera più generale e ampia il libro bianco già citato: “ Per ottenere una migliore qualità urbana, la strategia pubblica dovrebbe: · Pianificare la società futura per il bene di tutti, non soltanto a vantaggio di singole iniziative edilizie. · Perseguire prioritariamente gli obiettivi di riduzione dell’inquinamento atmosferico e acustico. · Conservare le funzioni quotidiane dell’abitare nell’ambito dei nostri centri storici. · Limitare l’impatto del turismo di massa che, se incontrollato, distruggerà molti valori. · Sviluppare migliori metodi di controllo perché le città contemporanee possano raggiungere la pluralità di usi e funzioni, la giusta densità urbana e l’espressione formale dei nostri centri storici. · Promuovere maggiori occasioni di interazione sociale, comprese attrezzature sociali migliori e più diffuse: luoghi di riunione, asili di infanzia, biblioteche, laboratori di informatica. · Elaborare dettagliati piani di intervento per ogni città e ogni nucleo urbano, alla scala adeguata, rivolti alla promozione di una urbanistica umana, tridimensionale, ad ispirazione culturale, con maggiore uso di piani particolareggiati e più ampio coinvolgimento dei cittadini nel processo di pianificazione. La città sostenibile rappresenta una delle massime sfide che dobbiamo affrontare. La centralità e l’enormità di questa sfida non deve oscurare il fatto che una edilizia sostenibile non è tutto. Ciò che veramente occorre è una architettura sostenibile. La ricerca di un modello di città sostenibile richiede che la strategia pubblica tenda a: · Ridisegnare le periferie in modo che l’automobile non sia indispensabile, ridurre i consumi di energia e l’inquinamento, consentire una migliore accessibilità a tutti e in questo quadro concentrarsi sulle molte periferie socialmente degradate. · Valutare l’impatto delle proposte edilizie sul microclima circostante e prevenire le calamità naturali frequenti negli ultimi decenni (come le alluvioni, gli allagamenti, le eccessive escursioni termiche). · Perseguire l’obiettivo della massima durata e del minimo consumo energetico attraverso la selezione dei materiali, dei componenti costruttivi e dei sistemi di pavimentazione urbana, di sistemazione del paesaggio, dei servizi. · Sfruttare le possibilità della tecnologia contemporanea per il riciclaggio ed il trattamento dei rifiuti, e fare appello al senso di responsabilità civica tanto dei produttori quanto dei consumatori per la riduzione dei rifiuti e per un contenimento del consumismo. · Integrare le zone residenziali, produttive, commerciali e culturali in modo che nelle città e nei sobborghi il trasporto motorizzato non costituisca una necessità”( AA.VV., L’Europa e l’Architettura domani, cit. §3.6).

[28]  Su questi aspetti rinvio a G. P. Di Nicola, Per un’ecologia della società, Dehoniane, Roma 1992, p.

[29] Per la discussione sul significato da dare al termine “politica sociale” cf P. P. Donati (a cura di), Le Frontiere della politica sociale, Milano 1985, 21-55. Utilizzo il si­gnificato di politica sociale in senso stretto “in quanto riferita alla mediazione del sottosi­stema politico-amministrativo (Stato), anche se non si identifica tout court con il Welfare State” (37). Cf ancora Id., Famiglia e politiche sociali, Angeli, Milano 1987.

[30] Per un ripensamento dei servizi sociali, cf Aa.Vv., I servizi sociali nella società complessa: dalla residualità alla centralità, Angeli,   Milano 1988; per gli anziani in particolare tra i numerosi contributi cf G. Rossi, La famiglia e la politica dei servizi per gli anziani, in P. P. Donati – E. Scabini (a cura di), Le trasformazioni della famiglia italiana, Milano 1984; G. Rossi (a cura di), Famiglia e anziani: condizione anziana e servizi socio-sani­tari. Nuovi orientamenti di politica sociale, in “Difesa sociale”, 3 (1984); D. Bramanti, Anziani, famiglia e reti amicali: verso un incremento della solidarietà?, in “Studi di socio­logia”, 4 (1985), 371-382; L. Boccacin, I servizi per gli anziani: marginalità o integra­zione, in M. Ampola (a cura di), Dalla marginalità all’emarginazione, Milano 1986; C. Lanzetti – 2. Stumpo (a cura di), Anziani e innovazione nei servizi sociali, Angeli, Milano 1986; Aa. Vv., Anziani, relazioni familiari e benessere, Rapporto di ricerca, Angeli, Milano 1987; S. Burgalassi, Solitudine e solitudini, ETS, Pisa 1992, 2 voll.

[31] Poco è stato fatto in Italia, al di là di un convegno sul telelavoro, contrariamente agli USA che conta già diversi milioni di impiegati/e a casa (cf G. Scarpitti -D. Zingarelli, Il telelavoro, Angeli, Milano 1993).

[32] Cf H. M. Hernes, Welfare State and Woman Power, Oslo 1987. Cf G. Castellano, Il ventaglio dei tempi sociali tra realtà e aspettative proiettate, in Aa.Vv., Madri e Padri. Transizione dal patriarcato e cultura dei servizi, Milano 1990, 79-107, e nella stessa raccolta: F. Bimbi, Molteplicità dei tempi sociali, 109-117.

[33] Cf Aa.Vv, Famiglia, comunione, comunità, Roma 1982; G. Rossi, La famiglia assistita, Angeli, Milano 1983.

[34] Cf E. Scabini – P. P. Donati (a cura di), La “famiglia lunga” del giovane adulto, Angeli, Milano 1988; Vivere da adulti con i genitori anziani, Angeli,  Milano 1989

[35] Cf M. Tronti, Con le spalle al futuro. Per un altro dizionario politico, E.Riuniti, Roma 1992, 5 ss. e 172.

[36] Cf K. Lynch, L’immagine della città, tr. it. Venezia 1985.

[37] Per approfondire le dinamiche comunicazionali della città cf A. Mela, La città come sistema di comunicazioni sociali, Angeli, Milano 1994.

[38] Cf H. Arendt,Vita activa, tr. it. Milano 1989.

[39] S. Weil, Écrits historiques et politique. 1. L’engagement syndical (1927-1934), Paris 1988, abbr. OC I, 198. Riportiamo un brano della lettera ai genitori, da Londra: “Continuo a gioire deliziosamente dell’atmosfera del tutto parti­colare dei pubs dei quartieri operai. Passo anche delle ore la domenica a Hyde Park, a riguardare la gente che ascolta gli oratori. Suppongo che sia là il solo residuo che permane nei paesi di razza bianca, e forse nel mondo, delle discussioni dell’Agorà  di Atene, tra cui circolava Socrate” (EL, 231).

[40] Cf F. Tonucci, La città dei  bambini, Laterza, Bari 1998

[41] Per diffondere le informazioni su iniziative e progetti di città sostenibili dei bambini è stata costituita dal Ministero dell’ambiente un’agenzia di servizi. L’agenzia è in rete con le agenzie ANDI nel mondo (Agenzie di notizie per i diritti dell’infanzia).

[42] Il quadro di rifermento teorico e valoriale  per una città  misura d’uomo lo si può ritrovare nel testo di  C. Riva, Al centro della città metteri l’uomo, Cittadella editrice, Assisi1985.

[43] Interessante in questa direzione l’esperienza vissuta  con il proggetto “città invisibile” a Bari, cf IPRES, Una città per crescere. Potenziale sociale, progettualità e rete giovanile in una grande città del mezzogiorno, Levante ed., Bari  1994.

[44] Per una ricostruzione comparata degli indicatori di qualità della vita utilizzati dai vari enti di ricerca (Censis, OCSE, IRER) si rinvia a M. Colombo, Indicatori sociali e metodi di studio di qualità della vita, in AA.VV., La città da vivere. Teorie e indicatori di qualità, a cura di E. M. Tacchi, Vita e Pensiero, Milano 1996, pp.29- 61, con le ricche indicazioni bibliografiche.

[45] Per uno studio  specifico sulla qualità, la preparazione e il ruolo degli assessori nei comuni italiani, cf. G. Bettin – A. Magnier, Chi governa la città?, Cedam, Padova 1991.

[46]D. Bassanesi,  Bambine/Bambini.  Per una politica della cittadinanza,  cit. , 2.

[47] Interessante a questo proposito il progetto Unicef del Sindaco difensore dell’infanzia, che oltre alla pubblica nomina comporta almeno un Consiglio comunale aperto all’anno sulle tematiche dei  bambini.

[48]  Rimando all’indagine UNICEf,   Tempo libero e minori a rischio in Abruzzo, a cura di G.P. Di Nicola,  Rdr, L’Aquila 1990, pp. 213 ss.

[49] Così  le conclusioni della Di Nicola, cf. infra

[50] Sollevare la soglia di qualità di un popolo, attraverso la cul­tura e la responsabilità, significa rendere sostanziale la demo­crazia, anche attraverso la partecipazione alla politica, ma senza dimenticare la libertà dalla politica, che testimonia la supe­rio­rità della persona e dei suoi molteplici campi di interesse (sport, arte, religione) rispetto all’assolutizzazione del suo es­sere cittadino per la città. È vero che il tasso di democraticità di una società corrisponde all’allargamento della base parteci­pante e che più questa base è ri­stretta, più una società è ete­rodiretta e dunque solo formalmente democratica, ma, a fronte di una cultura politica che dovrà essere sempre più diffusa e sempre meno esoterica, resta il fatto che, pro­prio perché una società sia democratica, vi devono essere persone li­bere di non partecipare.

[51] AA.VV., Piano d’azione del Governo, cit.

[52] Cf Soroptimist, Tempo libero e giovani a rischio nella realtà del quartiere.  Quale prevenzione?, Pescara 1992

[53] F. Tonucci, La città dei bambini, cit., p.41.

[54] F. Tonucci, La città dei bambini, cit., p. 43.

[55] D. Bassanesi,  Bambine/Bambini.  Per una politica della cittadinanza,  cit., 2. Ella racconta l’esperienza di Milano in questi termini: “La sperimentazione portata a Milano in due zone (una centrale e una periferica), si è avvalsa della collaborazione del Settore urbanistica che ha realizzato mappe topografiche delle due zone con la simbologia dei servizi pubblici e privati esistenti (carte corredate da un opuscolo intitolato Spazi amichevoli per noi). Bambini della scuola dell’obbligo hanno effettuato un percorso di apprendimento alla progettualità con analisi dei problemi e delle risorse locali, preparato disegni e plastici per il recupero di alcune aree urbane (terre di nessuno, spazi ostili da cui difendersi), verificato la fattibilità con i settori e istituzioni preposte, realizzato alcuni micro-interventi per il recupero di aiuole, spazi verdi, cortili (con l’aiuto di famiglie, artigiani, tecnici, componenti di associazioni…).

Hanno avviato un laboratorio di comunicazione per la raccolta e la diffusione di idee sul futuro del quartiere, per la produzione di giornali, video ecc. e un Centro in cui si raccoglierà la documentazione relativa alle esperienze effettuate”