I primi trenta anni del ‘900: il mutamento nelle espressioni letterarie

Parte II.

In relazione all’affermazione del valore della solitudine dell’artista ovviamente potrebbe essere interessante esplorare sia pure  per cenni lineari gli effetti anche espressivi sull’attività e sul prodotto letterario con particolare attenzione a quello italiano. Non sarà possibile per ragioni di spazio farlo qui ma ciascuno di noi intanto potrebbe riflettere sulla similarità e sulle differenze con la situazione attuale in modo da viverla più consapevolmente. Riflettendo su quello che riguarda l’aspetto più specificamente espressivo, o addirittura tecnico della comunicazione letteraria, la rottura dei vincoli tradizionali appare non soltanto nello spostamento della narrativa europea dall’osservazione del mondo esteriore a quello interiore con Proust, Musil, Kafka ma, in maniera forse più rivoluzionaria, nella concezione stessa dell’espressione artistica, nelle poetiche. Si parte dalla rottura del rapporto convenzionale tra oggetto e parola che avevano già operato i simbolisti di fine ‘800, mettendo in moto l’infinita libertà dell’analogia rispetto agli schemi razionalmente fissati dalla retorica tradizionale. Per questa via, passando attraverso la dichiarata eversione della sintassi tradizionale ad opera dei futuristi, arriviamo al flusso di coscienza dell’Ulisse di Joyce dove natura, psicologia e cultura si fondono con l’apparente immediatezza dei moti interiori in livelli elaboratissimi di raffinata cultura. E’ chiaro che veniva già emergendo un’alternativa costruttiva: qualcosa che rompeva frontiere consolidate introducendo il fatto artistico in una dinamica sempre più veloce e che affondava sempre più nel profondo, sempre più aperta a una logica che non era più quella classica delle successioni causa-temporali, ma aveva la libertà dei cerchi, delle spirali infinite che si dilatavano nell’irrazionale di un universo dell’immaginario, sempre più ampio sulla scia dell’irrazionalismo filosofico e dell’acquisizione dell’inconscio, da Bergson a Freud.                       2

In Italia l’innovazione è molto più cauta, il panorama socio-culturale più ristretto. C’è una industrializzazione ancora neonata, una classe borghese solo settentrionale e non sempre audace, una forte tradizione classicistica, rinvigorita dall’autorevolezza del Croce; i processi avanzati nel campo letterario quasi non sono possibili e le suggestioni europee arrivano stemperate. Così il fascino del mistero diviene il torbido, languido cocktail di misticismo e sensualità di Fogazzaro, il rifiuto della retorica ottocentesca diventa l’ironia di Gozzano sommessa e discorsiva sulle “buone cose di pessimo gusto”, la volontà di espressioni nuove, violente e audaci, diventa la chiassosa, anche se interessante, sperimentazione dei futuristi che esaltano la velocità, la civiltà delle macchine e presentano mini progetti sperimentali di rottura, perfino nella grafica del discorso poetico.

Il superomismo e il fascino vitalistico ereditati dalla suggestione nicciana diventano quasi propaganda spicciola e spesso retorica vociante nelle riviste fiorentine Leonardo, Hermes, talora attraverso la voce roboante del Papini. Sono invece voci isolate ma più interessanti e più in sintonia con le grandi intuizioni della lirica europea la poesia visionaria di Dino Campana e quella volutamente spoglia del ligure Sbarbaro.

Intanto le tensioni accumulate sfociano nella grande tragedia della prima guerra mondiale; dopo non cambierà molto ma niente sarà come prima, anche nel campo della letteratura. La Rivoluzione Russa ha posto un problema vivo, un interrogativo pressante a tutto il mondo europeo anche per quanto riguarda i rapporti tra arte e vita, tra poeta e società.

La guerra, sognata da parecchi artisti come avventura rigeneratrice, è

vissuta, invece, come tragedia e non è un caso che nell’ambito della guerra maturi l’esistenzialismo ermetico di Ungaretti.

Soprattutto gli esiti della guerra non hanno affatto risolto le tensioni ma le volontà imperialistiche che permangono nella volontà di rivincita sulla pace mortificante di Versailles introducono nuovi elementi di conflitto. La Società delle Nazioni non funziona, le dissipazioni anche economiche della guerra hanno impoverito le economie e immiserito nella disoccupazione  la vita dei popoli, la crisi economica diventa spesso crisi sociale. L’inettitudine di alcuni governi porta all’affermazione di forme dittatoriali: arrivano al potere nel 1922 il fascismo in Italia, il nazismo in Germania.

In questo quadro storico l’artista è sempre più in fuga dal mondo violento e oppressivo. Pochi sono quelli che tentano un’analisi dei fattori storico-sociali e che hanno la speranza e la volontà di intervenire per cambiare.

In Italia si collocano su questa linea, a proprie spese, il liberale Gobetti, il comunista Gramsci e solo tredici professori universitari rifiutano il giuramento di fedeltà al regime fascista; molti intellettuali si adeguano ai compiti di celebrazione e alcuni si rifugiano nella neutralità. Sulla scia e con l’alibi dell’atteggiamento di Croce, i letterati della Ronda si chiudono nell’ideale della prosa d’arte, di una poesia che punti esclusivamente alla perfezione espressiva.

Comunque questa tensione stilistica non è cosa limitata; la maggior parte dei poeti europei si muove alla ricerca di mezzi di espressione nuovi e non solo con una ricerca puramente tecnica ma con una ricerca epistemologica, di segni più significativi sul piano esistenziale, capaci di rappresentare, con il valore spoglio della verità dopo tanta mistificazione del potere, i nuovi livelli di conoscenza e di coscienza

Quando trovo-in questo mio silenzio-una parola scavata è nella mia vita-come un abisso”, dice Ungaretti e la ricerca della “parola” nel senso proposto da De Saussure è anche, sia pure indirettamente, il rifiuto di un mondo ingabbiato.

“Cerco un paese innocente”, è ancora Ungaretti, oppure nella severa

denuncia della scarna essenzialità di Montale si afferma “Codesto solo oggi possiamo dirti-ciò che non siamo,ciò che non vogliamo”

La coscienza della disgregazione di un mondo diventa anche crisi del racconto naturalistico e ricerca di un’ironica fluidità fra interno ed esterno nel monologo sveviano de “La coscienza di Zeno“. Non si tratta soltanto di una tecnica espressiva nuova sotto l’influenza di Freud e di Joyce ma è la chiave più adatta  rendere visibili le contraddizioni di una crisi storica e ideologica.

Così in Pirandello l’umorismo acre e amaro diventa il lucido strumento dell’intelligenza per demistificare le convenzioni e frantumare le certezze fittizie; l’uomo socialmente mistificato attraverso la “chiave” ironica si ritrova “uno, nessuno, centomila”. Non sempre, però, la nuova letteratura è solo giudizio o condanna; in alcuni autori si presenta con il volto della speranza, con il coraggio di costruire, con la volontà dell’artista di impegnarsi nella trasformazione della società.

Il surrealismo per esempio già nel primo manifesto del 1924 si presenta come desiderio irrefrenabile di libertà e va al di là della pura negazione del dadaismo per proiettare un mondo nuovo, anche attraverso la liberazione della parola dalla profondità dell’inconscio; non è un caso che i più importanti surrealisti Breton, Eluard, Aragon si buttino nell’impegno sociale.

Così, penso, altrettanto e forse ancora più chiara è la volontà di intervento di B. Brecht che parte, insieme con l’espressionismo, dalla violenta denuncia del presente per scendere poi in campo a lottare. Il suo teatro didattico, più tardi epico, è un deciso atto di volontà per riportare l’opera dell’artista nella società con l’intento di modificarla. Significativi per la concezione antilirica alla quale egli approda tra gli anni ’20 e ’30 sono i versi che costituiscono una dichiarazione di lotta contro la dittatura nazista “in me combattono-l’entusiasmo per il melo in fiore-e l’orrore per i discorsi dell’Imbianchino-Ma solo il secondo-mi spinge al tavolo di lavoro”

Con la stessa scelta, anche se in un’atmosfera più esaltante, Majakovskij aveva impiegato la ricchezza immaginifica delle sue espressioni analogiche per cantare nella rivoluzione russa una società nuova. Per lui il futurismo, la ricerca espressiva di avanguardia, era strumento di un intervento nella società, uno strumento che egli usò con coraggio anche per denunciare le contraddizioni stesse di quella Rivoluzione, soprattutto il burocratismo della politica culturale.

In questi rivoluzionari trenta anni, quindi, l’esplorazione di nuovi parametri per la conoscenza del mondo va in un certo senso di pari passo con la ricerca inquieta e variegata di nuovi codici di lettura di quell’universo mai del tutto esplorato che è l’uomo.

 

 

 

 

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denuncia della scarna essenzialità di Montale si afferma

“Codesto solo oggi possiamo dirti-ciò che non siamo,ciò che non vogliamo”

La coscienza della disgregazione di un mondo diventa anche crisi del racconto naturalistico e ricerca di un’ironica fluidità fra interno ed esterno nel monologo sveviano de “La coscienza di Zeno”.Non si tratta soltanto di una tecnica espressiva nuova sotto l’influenza di Freud e di Joyce ma è la chiave più adatta  rendere visibili le contraddizioni di una crisi storica e ideologica.

Così in Pirandello l’umorismo acre ,amaro diventa il lucido strumento dell’intelligenza per demistificare le convenzioni e frantumare le certezze fittizie;l’uomo socialmente mistificato attraverso la  “chiave” ironica si ritrova “uno,nessuno,centomila”.Non sempre ,però,la nuova letteratura è solo giudizio o condanna;in alcuni autori si presenta con il volto della speranza,con il coraggio di costruire,con la volontà dell’artista di impegnarsi nella trasformazione della società.

Il surrealismo per esempio già nel primo manifesto del 1924 si presenta come desiderio irrefrenabile di libertà e va al di là della pura negazione,del dadaismo per proiettare,anche attraverso la liberazione della parola dalla profondità dell’inconscio,un mondo

nuovo;non è un caso che i più importanti surrealisti Breton,Eluard,Aragon si buttino nell’impegno sociale.

Così,penso,altrettanto e forse ancora più chiara è la volontà di intervento di B.Brecht che parte,insieme con l’espressionismo,dalla violenta denuncia del presente per scendere poi in campo a lottare.Il suo teatro didattico,più tardi epico,è un deciso atto di volontà per

riportare l’opera dell’artista nella società con l’intento di modificarla.Significativi per la concezione antilirica alla quale egli approda tra gli anni ’20 e ’30 sono i versi che costituiscono una dichiarazione di lotta contro la dittatura nazista

 

 

 

 

 

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“in me combattono-l’entusiasmo per il melo in fiore-e l’orrore per i discorsi dell’Imbianchino-Ma solo il secondo-mi spinge al tavolo di lavoro

Con la stessa scelta,anche se in un’atmosfera più esaltante Majakovskij aveva impiegato la ricchezza immaginifica delle sue espressioni analogiche per cantare nella rivoluzione russa una società nuova.Per lui il futurismo,la ricerca espressiva di avanguardia era strumento di un intervento nella società,uno strumento che egli usò con coraggio anche per denunciare le contraddizioni stesse di quella Rivoluzione ,soprattutto il burocratismo della politica culturale.

In questa rivoluzionari trenta anni,quindi,l’esplorazione di nuovi parametri per la conoscenza del mondo va in un certo senso di pari passo con la ricerca inquieta e variegata di nuovi codici di lettura di quell’universo mai del tutto esplorato che è l’uomo.