Fantascienza in endecasillabi

Fantascienza in endecasillabi

INFERNA DANCTIS ORKESTRA – CANTI VII – XII con Vincenzo Di Bonaventura e Teatro Aoidos

OSPITALE DELLE ASSOCIAZIONI

GROTTAMMARE ALTA      27 Ottobre 2024

L’Alighieri avrebbe apprezzato la definizione che Vincenzo dà di lui questa sera: “Il più grande autore di fantascienza in endecasillabi”. 

E, dopo aver doverosamente fatto un balzo sulla poltrona, puoi solo riconoscere che è vero, e che la fantascienza non ha inventato niente, perché tutto è già nel più grande poema che mente umana abbia mai concepito. Una manciata di secoli, ed ecco scrittori, registi, creatori di graphic novels disegnare mostri alati e inquietanti creature mitologiche così come Dante li disegnò negli endecasillabi del suo Inferno.

E il ”brivido allucinatorio” che promana dall’oltremondo dantesco è questa sera evento sismico che può scagliarci al di là di noi (“al di là di Andromeda”, disse una volta Vincenzo) se al nostro Di Bonaventura autore-attore-regista-percussionista  –  “macchina attoriale narrante e concertante in memoria metabolica” – e alla voce possente del suo djembe, rispondono le percussioni del valente Alberto Archini, in un crescendo ipnotico che dilata lo spazio oscuro del “disperato loco d’ogne luce muto”.

La partitura poetico-musicale, innestandosi possente su un’architettura linguistica ineguagliata nei secoli, sovverte tradizioni e schemi e birignao di paludati recital, e l’ipnotico crescendo ti inchioda alla poltrona come immaginiamo ci si inchiodi al seggiolino della navicella in fase di decollo…

“Ho visto cose che voi umani…” dirà nel thriller fantascientifico l’eroe di “Blade Runner”, ma l’ha già detto l’Alighieri secoli fa: “…E vidi cose che dir né sa né può chi  di là su discende”  (Paradiso, canto I)  ma prima che la materia paradisiaca si dispieghi alla vista del Poeta nella sua insostenibile luce, bisognerà che egli attraversi il magma ribollente dei gironi infernali, la disperata eternità della pena che sfigura i volti e i corpi in continua tensione tra orrore e grottesco.

Pluto, Flegiàs, le Arpìe, Medusa, i diavoli della città di Dite, il Minotauro, i Centauri – dopo Caronte, Cerbero, Minosse dei canti precedenti – popolano l’universo allucinato dei canti VII-XII, creature infernali nelle quali bestiari medievali e mito antico s’intrecciano e si fondono: la voce recitante ne estrae gli accenti irosi, orripilanti o striduli e si deforma, s’inarca, vira fino all’onomatopea.

Stupisce, Dante, e atterrisce, perché è tutta umana la sostanza che il poeta porta con sé nell’oltremondo, allo stesso modo in cui nelle visoni distopiche della fantascienza il reale e la materia s’incontrano e confliggono con l’impensabile e l’inaudito.

Ed è sempre l’irriducibile concretezza della vita terrena ad irrompere nel viaggio dantesco e il poeta vi porta il peso del suo destino terreno, la tensione agonistica, la ricerca dell’universale nel particolare, la dirittura morale e la crudeltà dell’esilio. Così, sempre, la storia e la politica del suo tempo entrano d’impeto nella dimensione ultraterrena per essere proiettate sub specie aeternitatis: e sarà il tristemente conosciuto barattiere Filippo Argenti che il Dante vendicativo vedrebbe volentieri spinto ancor più dentro nel fango che lo sommerge; sarà Farinata degli Uberti che evocherà l’imminente esilio del poeta; sarà Cavalcante Cavalcanti, padre di Guido, che si duole dell’assenza del figlio accanto all’amico Dante, e lo crede morto, e si accascia nell’arca infuocata della sua pena eterna…

Atterra, ma solo provvisoriamente stasera, la nostra navicella poetico-musicale, mentre l’eco delle percussioni dilegua e il fido djembe innalza furente il battito conclusivo.

Riprenderà il suo viaggio più avanti, con noi ancora, impazienti di ripetere il volo, di percorrere l’orbita già sperimentata. Stregati dal Poeta, ammaliati da Vincenzo, abbiamo visto cose che voi umani…, testimoni e ospiti privilegiati di questa, incredibile e unica, fantascienza in endecasillabi.