Don Davide amico, padre, fratello

Parlare di don Davide non è difficile, perché è unanime la stima di lui come un grande sacerdote che si è dato anima e corpo al prossimo. Io, che ho avuto il privilegio di conoscerlo in modo profondo, preferisco però guardarlo da un’altra angolazione, più strettamente personale.

La mia vita e quella di don Davide si sono incrociate tanti anni fa, quando lui era un giovane seminarista e io un piccolo e curioso bambino che si affacciava nel mondo. Da sempre abbiamo condiviso i guai e le gioie nostre e delle nostre famiglie. Formavamo un team affiatato, che si è purtroppo sciolto fisicamente l’11 febbraio 2024. Tuttavia, il team rimane spiritualmente fortemente unito, visto che io sono sicuro che don Davide mi osserva e veglia su di me anche adesso, dal luogo in cui si trova a godere il meritato premio per la sua splendida vita terrena. Posso attestare che aveva la capacità di approcciare la vita con uno sguardo di indiscussa fede, ma senza perdere mai di vista la fragilità delle persone con cui aveva a che fare e gli aspetti pratici: concretezza e pragmatismo non gli sono di certo mancati. Di fronte all’insorgere dei problemi non si scoraggiava; cercava insistentemente e trovava la soluzione. Senza esagerare, sono convinto che avrebbe potuto essere anche un ottimo sindaco o un ministro.

Un aspetto della personalità di don Davide, che forse non risaltava agli occhi di tutti, era il modo aperto di accogliere i progressi della scienza e i nuovi mezzi a disposizione: non si è mai arreso di fronte alla novità. Ricordo come, dapprima con fatica, poi pian piano con sufficiente disinvoltura, ha cominciato a usare i mezzi informatici. Similmente, era più aperto di quanto si potesse credere nel rapportarsi alle “nuove famiglie”, soppesando di volta in volta le problematiche che le persone dovevano affrontare. Il mondo tradizionale da cui proveniva era molto cambiato, ma lui l’ha affrontato cercando di capire a fondo la psicologia, gli affetti, i turbamenti del suo prossimo. Quando sono apparse le prime famiglie non tradizionali, si è trovato a dover fronteggiare persone a lui care e vicine, angosciate da cambiamenti che non avevano affatto previsto e che turbavano l’intera famiglia. Don Davide, che pure non cedeva sulla dottrina, sapeva incoraggiare e consolare, mostrando un animo comprensivo e aperto.

In particolare, ho potuto seguire lo sconcerto provocato dal figlio del sacrestano della sua prima parrocchia, il quale si sposò con una donna divorziata e anche ‘di sinistra’, cosa all’epoca ritenuta sconveniente, quasi uno stigma per una famiglia cattolica. Ricordo la madre dello sposo, donna umile e tradizionale, che soffrì amaramente a causa di questa unione che ai suoi occhi andava a ledere un caposaldo della fede cattolica: il matrimonio sacramentale. Eppure, anche in questa occasione rammento le parole di don Davide che le disse: “È sempre tuo figlio, lo devi amare in ogni circostanza”. La madre, grazie all’intervento autorevole di don Davide, riuscì a superare l’iniziale posizione ostile e ad accettare, benché a fatica, la coppia e il matrimonio civile. Nel tempo, la vicenda si normalizzò. Quella madre, dopo tanti anni, è morta accudita a casa del figlio e della nuora e confortata dall’affetto del nipote nato da quella unione.

Un altro aspetto che vorrei sottolineare di don Davide è la generosità e l’altruismo, dal punto di vista umano, spirituale e materiale, qualità che, ne sono certo, è ben nota a chi legge queste righe, perché chi lo ha conosciuto lo ha sperimentato, in modo o in un altro. Una sorprendente conferma è venuta alla sua morte, quando innumerevoli persone hanno voluto far visita alla salma per ringraziare chi le aveva aiutate. Erano di ogni estrazione sociale: ricchi poveri, adulti, bambini, bianchi, neri, cristiani, musulmani, una diversa umanità che ha dato atto della generosa dedizione di questo parroco di frontiera.

Parroco: questo è il ruolo che gli si confaceva, perché gli consentiva di stare in mezzo alla gente. Per la tempra umana e spirituale che lo caratterizzava, avrebbe potuto essere anche un eccellente Vescovo, ma io sono sicuro che vivere da parroco gli piaceva di più. Gli consentiva di prendersi cura del ‘gregge’ a lui affidato, fare la visita alle famiglie, ascoltare le storie delle persone, indirizzare i giovani, visitare gli anziani e gli ammalati, fare gli auguri ai compleanni dei parrocchiani, di cui teneva memoria nel computer, cogliendo l’occasione per scambiare aggiornamenti e confermare affetti. Insomma, poteva vivere bene se stava insieme al prossimo.

Nel corso della vita, per quanto mi riguarda, ho avuto il privilegio di vivere in sintonia con lui e posso dire che per me è stato contemporaneamente un padre, un fratello e un amico. Io ho cercato di fare altrettanto con lui, probabilmente non sono stato alla sua altezza, ma quel che conta è che gli sono stato vicino e che abbiamo potuto condividere importanti esperienze, come pure i beni materiali. Cito la sua gioia di poter venire al mare nella mia casa di Giulianova, inizialmente insieme a zia Antonina e poi purtroppo da solo, così pure il piacere di consumare insieme un pasto, festeggiare i compleanni di suo padre e mio padre ad agosto e, cosa più importante, condividere l’affetto di tanti amici ai quali ancora oggi sono legato da sentimenti fraterni.

Non vorrei eccedere con le lodi stucchevoli e nascondere gli inevitabili limiti umani. Sì, don Davide aveva anche qualche lato più problematico del carattere. “Era testardo come una capra”, come mi dicevo quando mi scontravo con le sue rigidità. Molto difficile fargli cambiare idea. Ricordo quando decidemmo di trovargli un aiuto, qualche tempo dopo la scomparsa dell’amata zia Antonina. Ci volle una riunione plenaria di parenti, amici, prelati e tantissima fatica da parte mia, prima di fargli accettare l’arrivo della bravissima Giorgetta, con cui poi ha stabilito un rapporto fraterno.

Ho imparato tante cose da lui, che mi sono state di aiuto sia nella vita lavorativa che nella vita privata per la evoluzione della mia persona. Devo dire con un pizzico di orgoglio che don Davide era contento che quel bambino gracile che l’estate andava in villeggiatura a San Pietro e che lui scorrazzava con la sua 500 bianca, era diventato un uomo con significative responsabilità, un uomo che voleva a fianco a sé, specie nella fase della vita in cui già s’incamminava sul viale del tramonto.

Un’altra caratteristica di don Davide era una certa orgogliosa dignità con cui difendeva se stesso e le persone a lui care. A tal proposito ad esempio ci teneva a dire a tutti che io avevo rinunciato a un più importante incarico professionale e che ero lieto di rimanere con i miei ‘animali’ nell’Istituto Zooprofilattico. Lo diceva con gioia e soddisfazione, perché si rallegrava di aver contribuito in maniera significativa a formare una persona matura, che non motivava le proprie scelte con convenienze di potere o economiche.

Anche se può apparire in contraddizione con l’uomo ‘orgoglioso’, tutti hanno potuto costatare l’amore incondizionato alla Chiesa, specie quando obbediva alla gerarchia a cui era sottoposto. A tal proposito, rammento una volta che doveva fare un esame in ospedale e si rifiutava di sottoporsi, nonostante i consigli medici miei e di altri amici. Lo feci chiamare dal Vescovo e lui fece docilmente ciò che io e i medici gli chiedevamo.

Per concludere e riassumere in modo completo ciò che don Davide è stato per me, posso dire che l’ho sempre percepito come la persona che più mi ha amato, dopo i miei genitori. Io ho provato a fare altrettanto con lui, anche se non so se ci sono riuscito. Con la mia vita vorrei ringraziare Dio che l’ha messo sulla mia strada. Penso che quest’ultimo pensiero possa essere condiviso da tutti quelli che leggeranno queste righe, perché sono convinto che l’eredità più grande per ciascuno è che si è sentito amato. Di questo amore vogliamo portare la staffetta.

Lucio Ambrosj