Ad Amsterdam ci risiamo con la “caccia all’ebreo”

Federico Facci, in un articolo del 13.11.2024, ha definito l’episodio antisemita di Amsterdam come un “elefante nella cristalleria europea”, frutto del crescente antisemitismo tra alcune comunità musulmane immigrate. Egli ha denunciato la diffusa attitudine politicamente corretta, la quale per il timore di apparire islamofobici, impedisce una discussione approfondita del problema. Anche il procuratore di Amsterdam ha parlato di ‘evento non spontaneo’ come espediente (retorico) per non dire che l’attacco antisemita era premeditato. “Basta leggere le cronache giornalistiche più oneste, laddove si scrive che dalle parti di Amsterdam il 10% degli abitanti è di origine araba, che molti poliziotti denotano un’implicita obiezione di coscienza nell’intervenire (o no) contro i ‘ProPal’, che in molte scuole non si studia la Shoah perché le famiglie dei figli degli immigrati si oppongono, che camminare per strada con una kippah in testa è rischioso”.

Chiediamoci che vuol dire e dove ci porta questo ‘politicamente corretto’.  Perché trionfa nella cultura dominante una  cautela timida che innalza bandiere di diritti astrattamente giusti come  «accogliamoli tutti», «migrare è un diritto»? Questo atteggiamento che chiamiamo politicamente corretto in realtà è  una narrazione paralizzata e paralizzante, che denuncia l’«antisemitismo» con giri di parole retoriche ma senza alcuna coerenza nella traduzione giuridica e politica, che crede di stare dalla parte del giusto contrapponendosi ad una ‘ ultradestra becera’, razzista che discrimina i musulmani e vuole cacciarli dall’Europa perché incapaci di democrazia.

Il filosofo Alain Finkielkraut ha criticato la sinistra radicale per aver trascurato il ruolo di una “radicalizzazione importata” dal mondo arabo-musulmano e aver attribuito l’antisemitismo principalmente all’estrema destra, insistendo sul fatto che l’antisemitismo tra gli arabi musulmani non è solo legato al sionismo, ma affonda le sue radici in un fanatismo più antico. Questa spiegazione invita ad una consapevole riflessione che abbia fondamenti storici.

L’antisemitismo non nasce con il sionismo, ma affonda profonde radici già nei primi conflitti tra Maometto e le tribù ebraiche di Medina. Bisogna ricordare gli episodi di espulsione e violenza che Maometto attuò contro alcune tribù ebraiche, eventi che avrebbero creato un pregiudizio duraturo all’interno della cultura islamica. Nella stessa Palestina pre-sionista, i contadini arabi, durante la rivolta del 1830 contro la coscrizione obbligatoria imposta dalle autorità egiziane, colsero l’occasione per devastare le comunità ebraiche di Gerusalemme e Safed. A loro volta, i militari intervenuti per sedare l’insurrezione uccisero gli ebrei di Hebron. Un secolo più tardi, nel dicembre del 1941, a seguito di un fallito colpo di Stato filo-nazista in Iraq, gli ebrei di Baghdad furono sottoposti ad un orrendo massacro in cui morirono a centinaia.

Nel XX secolo, l’antisionismo nel mondo arabo-islamico si è intrecciato con l’antisemitismo classico europeo, specialmente durante l’alleanza tra nazionalisti arabi e Germania nazista. Con la Guerra dei Sei Giorni del 1967 e la conquista israeliana di territori considerati islamici, la demonizzazione di Israele si è rafforzata, anche a causa di figure di riferimento come Sayyid Qutb, che con i loro scritti legittimavano l’ostilità religiosa verso gli Ebrei. Tale lunga storia di conflitti, inizialmente di natura politica e religiosa, non può non influire ed anzi plasmare negli islamici una ostilità persistente,  alimentata dall’antisemitismo europeo.

Nonostante i pareri contrari, in realtà arabi e musulmani non hanno mai realmente fatto una distinzione tra sionisti, israeliani ed ebrei.  Questi termini vengono tuttora usati in modo interscambiabile. Per esempio, Anis Mansur, uno dei più importanti giornalisti egiziani e consigliere del presidente Sadat, ha ammesso: “Non c’è niente di simile in tutto il mondo come l’Ebreo e Israele. Ogni Ebreo è un israeliano. Nessun dubbio a riguardo”. In effetti, l’antisionismo arabo e musulmano è inevitabilmente farcito di un antico rancore che va ben oltre il livello “normale” di ostilità che ci si aspetterebbe in seguito a uno scontro prolungato e aspro. Più che una risposta all’attività sionista, si tratta di pregiudizi radicati che sono stati portati allo scoperto dal conflitto in atto. La sovrapposizione di identità ebraiche e sioniste, comune tra alcuni arabi e musulmani, porta a non distinguere tra ebrei, israeliani e sionisti, il che trasforma l’antisionismo in un antisemitismo ideologico e pregiudiziale.

Uno degli argomenti principali della propaganda anti-israeliana è che, per quanto concerne la Palestina, arabi e musulmani non sono mai stati ostili agli ebrei e all’ebraismo, ma solo al sionismo e ai sionisti. Dopo tutto, i musulmani non hanno trattato le loro minoranze ebraiche in modo di gran lunga migliore dei loro omologhi europei? Gli arabi e gli ebrei non hanno convissuto armoniosamente per secoli prima dell’avvento del movimento sionista? Come ha affermato Fayez A Savegh, rappresentante del Kuwait sulla risoluzione che equiparava il sionismo al razzismo durante il dibattito all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, nel novembre del 1975: “Noi nel mondo arabo abbiamo sempre offerto ospitalità agli Ebrei che fuggivano dalle persecuzioni in Europa quando l’antisemitismo europeo li spingeva nelle nostre braccia… è stato soltanto quando è arrivato il sionismo che, nonostante la nostra ospitalità verso gli Ebrei, siamo diventanti ostili al sionismo”.

La convergenza tra l’antisionismo arabo-musulmano e l’antisemitismo classico europeo conosce un nuovo sviluppo durante gli anni Trenta, con l’ascesa in Egitto dei ‘Fratelli Musulmani’, così come nell’alleanza de facto tra nazismo e Haj Amin el-Husseini, leader del nazionalismo arabo palestinese. L’antisemitismo è stato un  vitale cemento di tale alleanza ideologica e politica. Non è un caso che nel corso degli anni Cinquanta, nell’Egitto di Nasser, un certo numero di consiglieri nazisti sulla “questione ebraica” trovasse non soltanto protezione dalla giustizia, ma contribuisse anche a organizzare una grande campagna di propaganda “antisionista” che raggiunse l’Europa, l’Africa, l’Asia, l’America Latina e il Medio Oriente.

Dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967, la retorica antisionista ha trionfato, con figure come Sayyid Qutb che hanno riportato alla luce testi antisemiti medievali e utilizzato il Corano per legittimarli. Il conflitto arabo-israeliano ha giustificato una demonizzazione più ampia del popolo ebraico, consolidando i pregiudizi storici della retorica anti-israeliana.

Queste sono le premesse che non ci fanno purtroppo credere che episodi come quello di Amsterdam non si ripeteranno.