Carlo Bergonzi-Tenore verdiano del secolo.

13 luglio 1924 – 26 luglio 2014

Respira fin dalla nascita un’atmosfera verdiana; nasce, infatti, a Vidalenzo di Polesine Parmense da  genitori “casari” a pochi chilometri da Busseto (che assumerà come residenza insieme a Milano), e dalla villa verdiana di Sant’Agata, e comincia ad appassionarsi all’opera fin dall’età di 6 anni, ascoltando un’opera di Verdi.  A 16 anni si iscrive al conservatorio di Parma, nella classe di baritono, e vi conosce Renata Tebaldi, con la quale stringe una lunga amicizia. A19 anni deve, però, interrompere lo studio per compiere il servizio militare. Durante la guerra viene catturato e finisce in un campo di lavoro in Germania per tre anni. Alla fine della guerra ritorna in Italia e riprende gli studi musicali a Brescia. Nel 1947 esordisce come baritono nel Barbiere di Siviglia e poi  nella Butterfly, ma non soddisfatto dei risultati, decide di reimpostare la sua voce nel registro di tenore, da autodidatta, facendo riferimento a Pertile e Gigli per il legato e la mezzavoce. Debutta, così, nel 1951 nell’ Andrea Chenier a Bari. Interpreta ruoli di varie opere: da Bellini e Donizetti alle maggiori opere pucciniane, al Mefistofele di  Boito, al “verismo”, a Verdi di cui ha interpretato anche le opere giovanili, con una speciale predilezione per Un ballo in maschera.

 Ben presto si fa apprezzare per l’elegante linea vocale e stilistica così è scritturato dalla RAI per le incisioni di Giovanna d’Arco, Simon Boccanegra, I due Foscari. Successivamente viene chiamato nei maggiori teatri del mondo: canta a Londra e  Buenos Aires, alla Scala, a Venezia, Chicago, Madrid, Barcellona, Parigi, Berlino, Vienna, Salisburgo e nei maggiori teatri degli U.S.A.  Nel 1956 inizia la sua collaborazione con il Metropolitan di New York (dove sarà presente ininterrottamente fino al 1983, con 324 recite delle varie opere); mentre la sua presenza al Covent Garden continua fino al 1986. All’Arena di Verona interpreta tutti i maggiori ruoli verdiani dal ’58 al ’75.

Tenore estremamente duttile, versatissimo nel canto verdiano,  ha saputo adattare la sua voce ai diversi stili di canto richiesti dalle partiture, alternando  accenti vibranti, gagliardi, tesi, taglienti – tipici dei tenori di forza – alla soavità e morbidezza del belcanto – come in Lucia di Lamermoor (con Maria Callas) e nell’Elisir d’Amore.

Il suo repertorio comprendeva 71 opere, di cui 38 registrate. Particolarmente importante il progetto realizzato  con la casa discografica PHLIPS di cui Bergonzi andava molto fiero: l’incisione di 31 arie tratte da tutte le opere di Verdi (tranne il Nabucco, per mancanza di parti solistiche).

I critici musicali hanno espresso giudizi lusinghieri sul tenore bussetano. Ricordiamo fra gli altri Enrico Stinchelli e Rodolfo Celletti, quest’ultimo non sempre tenero con altri cantanti famosi, il quale scrive:

 “Il grande successo di Bergonzi come interprete verdiano è legato a 4 fattori: tecnica, fraseggio, accento, stile. La tecnica di Bergonzi si riallaccia a quella dei tenori dell’Ottocento e del primo Novecento sia nel sistema di fonazione che in quello di respirazione. Nelle opere verdiane la frase musicale … è fatta di periodi spesso irregolari, alcuni brevi, altri lunghissimi, che si susseguono imponendo un ritmo di respirazione a tratti  affannoso. Inoltre, i periodi lunghi non sono interrotti da pause che consentano al cantante di riprendere fiato. Bergonzi emerge in Verdi anche perché ha una eccezionale resistenza polmonare e conosce a fondo l’uso dei cosiddetti “fiati rubati”, che sono quelle fulminee inspirazioni mediante le quali l’esecutore riprende fiato senza interrompere il ritmo del periodo musicale.  … Dalla perfetta respirazione dipendono perciò anche la morbidezza e la levigatezza del canto di Bergonzi e la sua capacità di alternare i forti e i piani, i colori scuri e i colori chiari”.  Per quanto riguarda il fraseggio, in Verdi “vi è sempre un’alternativa di intensità diverse e non esiste forse compositore che più di lui abbia abbondato  .. nelle indicazioni di “piano” e di “pianissimo”. Carlo Bergonzi  si preoccupa di rispettare tutti i segni di espressione di Verdi e .. riesce a realizzarli. Quindi il suo fraseggio è vario, colorito, sfumato”.

Anche l’accento è un punto di forza del tenore bussetano, che, richiamandosi a Pertile e Lauri-Volpi, “ripristina la tradizione del vero accento verdiano – “verdiano”  inteso come il colore e il fraseggio, la capacità di rendere la situazione e i sentimenti dei personaggi unicamente attraverso la musica -, rendendo l’esecuzione “perfetta non soltanto  sotto il profilo vocale, ma anche sotto quello storico”.

Dopo il ritiro, nel 1988 con una serie di concerti nei maggiori teatri, si dedica all’insegnamento, desideroso di trasmettere ai giovani cantanti l’arte e la tecnica “antica”, basata sul rispetto della partitura e sulla ricerca stilistica, contro la tendenza a puntare sulla “potenza polmonare”. Per questo diventa docente dell’“Accademia di voci verdiane”, oggi “Accademia di Voci Verdiane Carlo Bergonzi”.  Tra i suoi allievi ricordiamo i tenori: Vincenzo La Scola, Roberto Aronica, Salvatore Licitra, Stefano Cacciarri, Phillip Webb; i baritoni: Alberto Gazale. Giuseppe Altomare, Luca Salsi; i bassi : Michele Pertusi, Enrico Giuseppe Jori; i soprani:  Antonella Bernardi, Daniela Lojarro; i mezzosoprani: Elisabetta Fiorillo, Edita Kulczach.

Ha ricevuto numerose onorificenze e riconoscimenti, tra cui più significativo sul piano musicale, quello di “Principe tra i tenori e migliore tenore verdiano del XX secolo” attribuitogli nel  2000 dal  Royal Festival Hall di Londra.

Si è spento a Milano nel 2014.