Gli adolescenti delle società occidentali sono nati in un mondo di suoni, immagini, audiovisivi. Ingurgitano bocconi di impressioni senza avere il tempo di metabolizzare. Stimoli superficiali e fuggitivi rubano il tempo necessario per riflettere, meditare, contemplare, ascoltare e si perdono dietro la continua ricerca di sollecitazioni, il cui effetto principale è quello di far eludere le fondamentali domande esistenziali. Troppi sono i giovani che finiscono col diventare succubi delle piazze e non riescono ad assaporare momenti di calma e di quel silenzio che considerano una perdita di tempo, lo sopportano di malavoglia quando imposto, per timore di sanzioni, quando non mettono in atto un silenzio che è il broncio di chi si rinchiude su se stesso.
Sono i ragazzi della generazione digitale che se non sono connessi cadono nella sindrome della cosiddetta nomofobia a causa di una insopprimibile dipendenza da connessione. Da un lato sono la conferma che l’essere umano è per natura socievole e ha bisogno di rispecchiarsi e confrontarsi con gli altri. Tuttavia, senza un periodo di riflessione personale, senza dare alla parola quello spessore di senso che nasce dalla riflessione, la comunicazione si riduce a chiacchiera e pettegolezzo, il dialogo a monologo ad alta voce, lo sguardo verso l’altro a proiezione di sé. La vita, come la musica, ha bisogno di pause per essere vissuta con senso, per non soffocare sotto il tam tam dei rumori e lo zapping delle immagini e delle informazioni. Specialmente i problemi esistenziali e spirituali esigono un ambiente “pulito” in cui sia più agevole avere fiducia in sé e negli altri e comunicare da anima a anima.
Nonostante vi siano educatori e terapeuti esperti nel sollecitare a comunicare, a parlare, a chiarire sempre e comunque eventuali incomprensioni, non mancano giovani che avvertono il bisogno di ritagliarsi spazi di solitudine, chiusi nella loro stanza, a contatto con la natura o anche in mezzo ad una folla, ma chiudendo le porte della mente e dell’anima, spegnendo il tumulto e provando ad ascoltare ciò che il silenzio dice a chi sa percepirne il richiamo, quando si fa strada pian piano rivendicando i diritti dell’anima: “Habeas animam” (Ignazio Silone).
Non si tratta di demonizzare immagini, informazioni e comunicazioni, ma al contrario di potenziarne il valore: solo se si fa spazio al silenzio la parola prende senso, come solo grazie alle pause le note fanno risaltare il loro suono. Il silenzio non è un vuoto assoluto; è solo un azzerare temporaneamente il volume per ascoltare sussurri e suoni inesprimibili, ordinarli nella mente e lasciare che producano frutti. I giovani che ne avvertono il richiamo parlano in modo più sapido, apprezzano la possibilità di rinvigorire il proprio pensiero e di ricaricare l’affettività, sanno vivere meglio con gli altri, stabilire sintonie oppure, all’occorrenza, prendere le distanze. Le pause dalle connessioni e dalla frenesia delle attività non sono tempi morti, ma incubatori di vita. Secondo un aforisma di Buddha: “Prima di parlare domandati se ciò che dirai corrisponde a verità, se non provoca male a qualcuno, se è utile, ed infine se vale la pena turbare il silenzio per ciò che vuoi dire”. Sono fortunati i giovani educati ad apprezzare il silenzio per pensare, concentrarsi, contemplare, ascoltare profondamente e in silenzio. Generalmente hanno incontrato adulti che hanno fatto del silenzio un alleato fecondo e sono riusciti a farlo apprezzare dai loro allievi magari attraverso la lettura silenziosa di un testo e la riflessione successiva.
Non si tratta di collegare solitudine e clausura, silenzio e fede: il silenzio non è appannaggio esclusivo dei credenti. In forma laica esso è praticato anche nelle sedi istituzionali (scuole, Parlamento, luoghi di lavoro) tutte le volte che un episodio luttuoso o sconcertante invita a “fare un minuto di silenzio” per commemorare, riflettere, contemplare, ritrovarsi nel comune sentire. Per tutti pause di silenzio sono essenziali. Educano all’ascolto innanzitutto del proprio corpo, percependo i battiti del cuore e le sue pulsazioni, il respiro profondo dell’ossigeno dalle narici al torace, agli organi interni. Se ascoltassimo di più il nostro corpo, forse riusciremmo a riconoscere e a combattere in anticipo eventuali patologie.
Similmente è bene dedicare del tempo ad ascoltare l’io, i suoi pensieri, il suo vagare tra esperienze vissute, progetti desiderati, dialoghi immaginati, idee che si affacciano non si sa bene da dove vengono e perché prendono dimora nella mente. Il silenzio è un ‘time out’ che permette alla persona affaticata, bisognosa di riposare e rilassarsi, di ritrovare l’equilibrio, conoscersi e riconoscersi per quel che è, col mix di buoni e cattivi pensieri, tracciare un bilancio di conferma o di mutamento, liberi dalla necessità di indossare le maschere sociali dell’ipocrisia, delle imposizioni della moda e della cosmetica.
Che dire poi dell’ascolto della natura? Quando si sta h 24 col cellulare, anche se si partecipa a massicce manifestazioni in difesa del pianeta, di fatto si sfrutta la natura, si violenta il suo ritmo, non si è in grado di contemplarne la bellezza e le trasformazioni. Non si è in grado di provare stupore di fronte a tutto ciò che si muove e sussurra, magari attraverso una passeggiata nel bosco brulicante o tra la maestosa immobilità delle montagne che regalano certe magnifiche mattine di cielo terso. Se si va al mare si mira all’abbronzatura stordendosi su spiagge invase da turisti mordi e fuggi, senza lasciarsi interrogare dal luccichio dell’alba, dal ritmo delle onde che obbediscono a non so chi, ritirando la loro potenza quando lambiscono la terra…
Nel rapporto con la natura l’io si decentra, prende atto dei suoi limiti e della sua imponenza, si sente immerso nel mistero di un cosmo che lo sorpassa infinitamente. Significa anche conformarsi alla necessità con cui la natura segue l’ordine che le è stato impresso fino a sintonizzare con quella presenza misteriosa, discreta, silenziosa, che sottende e illumina ogni cosa.
Il silenzio sostiene il dialogo. Proprio perché i giovani amano essere continuamente aggiornati e comunicare con gli amici, bisognerebbe aiutarli a scoprire la risorsa che alimenta il vero dialogo e rende sapidi i messaggi e le parole. Frenando il continuo scambio di informazioni, si rende più facile lasciar decantare eventuali litigi, prendersi il tempo per ripensare alle parole dette e ascoltare, correggere qualche comportamento poco gentile, qualche offesa…. Leggendo e rileggendo la propria storia di vita, condividendone i frutti con i vicini, cresce la disposizione a comprendersi tra genitori e figli, credenti e non, tra coniugi e colleghi. Si scopre forse anche che il vissuto della persona più sconosciuta sulla faccia della terra, che appare insignificante al grande mercato delle informazioni, racchiude un misterioso disegno d’amore che vale la pena di ascoltare e valorizzare.
Il silenzio è un buon alleato nel dare senso agli avvenimenti di ogni giorno. Una pausa dalla fretta aiuta ad interpretare ciò che accade, a orientarsi e sfuggire da possibili trappole e cogliere le occasioni positive. Come voleva Mounier: «l’evento è un maestro interiore», anche prescindendo dalla fede. L’interpretazione di ciò che accade da parte di un non credente e quella soprannaturale da parte del credente, se fatte con probità di intenti, non si escludono, anzi si arricchiscono a vicenda: piove perché le nuvole sono cariche di umidità e piove perché il contadino ha pregato la pioggia per il suo raccolto…
Giulia Paola Di Nicola e Attilio Danese