quando tutti scrivono e pochi leggono.
Vorrei dare la mia solidarietà ai colleghi del quotidiano Il Centro, che scioperano in difesa della professione e della libertà di stampa. A parte la particolare situazione aziendale del quotidiano abruzzese, mancano soprattutto concrete proposte su come dare soluzione a problemi gravi ormai noti. La Federazione degli editori ogni anno fa conoscere i numeri sulla lettura dei giornali in Italia ed è una situazione chiaramente insoddisfacente. Dal 2007 i quotidiani perdono copie e la pubblicità è ai minimi storici.
Condivido le preoccupazioni e l’allarme per il continuo calo dei ricavi per quotidiani e periodici. Realtà ancora peggiore, però, è la diminuzione dei lettori. Vuol dire che, nella crisi dell’editoria giornalistica, incide anche la “disaffezione” dei lettori verso il giornale che troviamo ogni mattina in edicola. Proprio sul punto occorrono alcune attente riflessioni, chiedendoci cosa debba fare un giornale perché i suoi acquirenti non interrompano la bella abitudine (determinante per la sopravvivenza) di passare in edicola per l’acquisto di una copia. Acquistare e leggere il giornale hanno duplice valore per la professione e, in particolare, per quella merce immateriale chiamata democrazia. “Leggere il giornale è la preghiera laica del mattino” pensava Wolfgang Goethe e non possiamo che condividere. Spendere ogni mattina in edicola l’equivalente di un caffè è niente, ma per un giornale è una iniezione quotidiana di sostegno e incoraggiamento. Tg, Internet, social? Benissimo. Ma non sono tutto e dobbiamo fare l’impossibile per recuperare i giovani, che sempre di più hanno un atteggiamento agnostico e di rifiuto verso il mondo della carta stampata.
Tempo fa mi ha fatto impressione, passando davanti ad una scuola, vedere per terra un pacco di giornali neppure aperto, inutilmente destinato gratis a ragazzi e docenti. Una sconfitta per editore e colleghi di quella testata, che pure è fra le più importanti di questo Paese che non ama leggere. Direi che escono sicuramente sconfitte la cultura e la voglia d’informarsi. Noi per primi domandiamoci se tutto dipende dal nostro modo di fare giornalismo, forse spesso non in sintonia con i lettori e i giovani in particolare. Su questo siamo chiamati tutti a discutere e riflettere. Altrimenti, non serviranno le misure e i mezzi invocati per uscire dalla crisi. Luigi XIV ripeteva di non leggere i giornali perché scrivevano ciò che diceva lui. Riflettiamo un po’ se anche oggi non si legge perché spesso nell’informazione si avverte troppo l’influenza del Palazzo. Altrimenti, non serviranno il ricambio generazionale, i finanziamenti e le nuove assunzioni.
Urge ripartire dalla qualità del “prodotto-giornale” e dalla formazione di chi lo fa, che comincia consumando le suole delle scarpe, come insegnava Nino Nutrizio, per stare fra la gente a cercare notizie. Quando con la rete tutti sono o si improvvisano giornalisti, tocca alla carta stampata fare la differenza, con una riflessione approfondita, perché la ormai necessaria integrazione fra carta e web funzioni. Anzi, sia risolutiva per uscire dal pantano rischioso, usando qualità e innovazione. Sappiamo che il digitale è il solo comparto che registra segni positivi. I ricavi dell’editoria online sono cresciuti? Bisogna solo sapere come deve essere il giornale di carta da coniugare con il digitale, per farne un tandem appetibile e vincente. Vedo che qualcuno è già sulla buona strada e noto con quanta precisione ricevo il quotidiano in versione elettronica. Ma dobbiamo saper cogliere tutte le opportunità di una risorsa tecnologica che può fare da sicuro traino per togliere dalla palude della crisi il giornale cartaceo che va in edicola.