Il Nobel per la pace 2023

Quest’anno il premio per la pace è stato assegnato a Narges Mohammadi, paladina iraniana dei diritti umani, civili e politici, rinchiusa per questo da circa un decennio nel carcere di Teheran, da dove ha proclamato di voler continuare a combattere a fianco delle donne iraniane “contro la discriminazione, la tirannia e l’oppressione di genere del regime religioso”. Dietro le sbarre, Narges è affiancata nei progetti libertari da Atena Daemi, attivista in lotta contro la pena di morte e le violazioni dei diritti umani, ma anche da tanti intellettuali, artisti, operai e studenti, tanto che quel carcere viene definito dai ragazzi “l’università”. Il riconoscimento prestigioso cade ad un anno dall’uccisione di Masha Amini e dalla nascita del movimento Donna, vita, libertà: punta dunque i riflettori del mondo sull’oppressione e le brutalità del governo dell’Iran ma secondo me è da intendere anche come monito a condannare la violenza delle tante oppressioni e guerre sparse a pezzettini in varie zone del globo. Il dramma è che i conflitti oggi non sono neanche tanto sparsi ma sempre più diffusi e coinvolgono grandi potenze direttamente o indirettamente come reazione per un gioco di alleanze e aiuti militari, come nel caso di Russia – Ucraina e Israele -Palestina. Il Mediterraneo e l’Europa, ovviamente, in entrambi i casi sarebbero “terreno” di scontro.

La minaccia dell’arma nucleare viene usata come deterrente dai Paesi che la detengono, un dissuasore che ha funzionato fino alla fine della guerra fredda, ma oggi chissà… con il coinvolgimento dei Paesi arabi e di altre grandi potenze l’equilibrio instabile si spezza e la ricerca di nuovi equilibri sembra impossibile senza le armi. Già nel 1961, neanche 20 anni dopo il suo utilizzo, il Presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy avvertiva l’Assemblea generale delle Nazioni Unite che “Ogni uomo, donna e ragazzo vive sotto una spada di Damocle nucleare sospesa al più tenue dei fili che può essere reciso da un momento all’altro”. Il recente film di Christopher Nolan, “Oppenheimer”, mette in luce il tormento vissuto dal grande fisico considerato il padre della bomba atomica come ideatore e direttore del progetto Manhattan durante la seconda guerra mondiale. Dopo gli effetti catastrofici di distruzione e morte, Oppenheimer si rese conto di aver creato con la sua équipe un ordigno che avrebbe potuto annientare l’umanità e nel film, già subito dopo il successo del test, si autocondanna moralmente dicendo “Sono diventato Morte, il distruttore dei mondi.”

Da allora, si sono succedute tante manifestazione per la pace e oggi la lotta dei pacifisti da teorica e ideologica è diventata sempre più super partes e concreta, nel senso che oltre alle organizzazioni degli attivisti ha coinvolto anche tanti comuni cittadini di vari schieramenti e ha cercato dialoghi con le istituzioni per elaborare norme poi riconosciute come nazionali e internazionali. E’ quello che Norberto Bobbio definisce il passaggio dal pacifismo integrale a quello istituzionale, distinguendo il primo filone “strumentale, ovvero la pace attraverso il disarmo”, il secondo “istituzionale, ovvero la pace attraverso il diritto, il terzo etico e finalistico, ovvero la pace attraverso l’educazione morale”. (Il problema della guerra e le vie della pace, Il mulino, 2009 )

Oggi la pace è diventata un’urgenza di carattere etico, se vogliamo garantire la sopravvivenza stessa dell’umanità ed è “ l’unica battaglia che vale la pena combattere”, per dirla con Albert Camus.