Amarcord

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Quando il grande poeta Diego Valeri chiamò Teramo “Città delle rondini

Ho visto una quantità di rondini in piazza del Municipio, andando alla cerimonia del Premio Teramo…non ne avevo mai viste tante. E allora ho pensato: questa è una città amata dalle rondini ed è bello essere amati dalle rondini…”. Chi poteva far caso a un’accoppiata così delicata, Teramo e le rondini, se non un personaggio di elevata sensibilità, un poeta, un grande poeta, Diego Valeri?

Nella commissione del premio letterario con Baldacci, Bo, Di Poppa e Prisco ben presto il venerato vecchio della poesia italiana era diventato amico della città e dei teramani. Tanto che il sindaco Ferdinando Di Paola, nel giugno ’74, lo nominò cittadino onorario. E qualche anno prima, gli alunni della scuola media “Savini” (IIA) lo avevano invitato fra i banchi per un’intervista. Senza “le astuzie- annotò l’illustre personaggio– che naturalmente ci sono nelle interviste dei giornalisti”. Accolto dal preside Salvatore Ferri e dal consiglio d’istituto, il poeta si mostrò sorridente e attento, rispondendo alle domande dei ragazzi, che lo presero per mano, trasportandolo nel loro mondo. Incalzante il botta e risposta sulla città e il territorio, la scuola e i giovani, la poesia e la cultura, la gioia, il dolore e la vita. Una lunga avvincente conversazione.

Diego Valeri era attratto dalla città pretuziana e anche dalla montagna poco lontana, Prati di Tivo in particolare. Poi, Atri “piccolo capolavoro di città perché non c’è soltanto quella meravigliosa cattedrale che può fare, del resto, il paio con la vostra qui a Teramo, bellissima anche questa con quella pietra di quel colore caldo, dorato, ma è bella proprio la cittadina di Atri con quel palazzo degli Acquaviva…”. Da uno dei ragazzi la domanda forse più scontata:”Poeta si nasce o si diventa?”. “La poesia –spiegò il maestro- è un’essenza che si cerca di versare nelle parole…”. Con la poesia o no, in tempi di crisi e declino dei valori, cosa occorre oggi per essere “veramente un uomo”? Da vecchio maestro dei giovani, il grande poeta concluse la bella conversazione usando semplicemente la parola “verità” come chiave di volta per la vita e il futuro. La prima dote? “Essere vero, rifiutando tutte le pose e gli snobismi, come si dice oggi”.