Quasi un secolo e mezzo separa i due grandi, due espressioni d’arte ben differenti ma unite nel sentire
più profondo davanti alla volontà di dipingere la scena delle scene: la nascita di Gesù Cristo.
In entrambi la corporeità, ben presente in tanti capolavori dello stesso soggetto, si pensi a Rubens, a
Giorgione, ai floridi pargoli dell’epoca rinascimentale, diventa un soffio dell’anima.
Nella cappella patavina degli Scrovegni, nel grande percorso degli affreschi, c’è una Natività che apre il
cuore, oltreché gli occhi commossi d’arte, ad una tenerezza inusitata. Quella Madonna è davvero una
umanissima puerpera, una giovane, semidistesa su di un letto improvvisato, che ha appena sentito suo
figlio vagire per la prima volta. E’ ritratta nell’atto di deporlo in un posto che non è più il suo seno.
Oltre la “culla” c’è qualcuno che forse la ha aiutata, è una donna dietro la quale campeggiano i due più
coloriti personaggi: il bue e l’asino, partecipi, discreti, osservatori.
Giotto propone una nuova plasticità che spezza la seriosa fermezza bizantina aprendo, man mano, a
situazioni grafiche e di colore molto più coinvolgenti.
Gli angeli paiono quasi arrampicati, asserragliati sul tettino che sovrasta Maria. Uno di essi si sporge in
direzione della sottostante scena pastorale dove uomini e armenti ricevono l’esortazione a muovere
verso il grande prodigio.
San Giuseppe appare alquanto in disparte, quasi a significare l’antica discrezione dell’uomo nei
confronti del parto e quasi a dire che anche lui c’è, che è ben presente ma più come garante che come
protagonista della straordinaria vicenda.
Notiamo l’ estrema delicatezza delle immagini, il loro dettaglio fornito di nuovo movimento, la
straordinaria poetica che caratterizza l’intera decorazione della celebre Cappella.
Ben diversi sono il tratto, la volontà, la, pur statuaria, dinamica di Piero della Francesca.
La sua Natività appare, al confronto, quasi “fredda” se non fosse così straordinariamente bella, così
straordinariamente propria di lui e carica del suo fascino.
Qui la Vergine è inginocchiata ed ha posto suo figlio sul nudo terreno frapponendogli, come unica
barriera, solo un lembo del suo manto. E quel “blu” di Cielo sembra piovere dalla madre sul suo
bambino come preghiera, come supplica estrema affinchè il destino, per cui pur è venuto al mondo,
voglia distogliersi da lui.
Il centro di questa grande tavola ad olio conservata presso la National Gallery di Londra è costituito da
una cantoria di angeli, tutti in piedi, simili ad una piccola folla umana, tutti volutamente della stessa
statura, forse la beatitudine. Ageli cantori e angeli liutai in concerto davanti a quella Madre e a quel
Figlio.
Sullo sfondo un abbozzo di paesaggio, differente sui due lati: il destro offre una visione essenziale
nella quale è stato riconosciuto il paese di nascita di Piero, Borgo San Sepolcro, mentre il sinistro
mostra dei campi, che probabilmente non sono stati mai completati dall’autore. Così come pure
incompiuti sembrano essere i due contadini che parlano con un San Giuseppe inconsueto, a gambe
accavallate, seduto dietro la Madonna. Uno di essi indica il cielo, come ad asseverare che il prodigio cui
stanno assistendo proviene da lì.
Indipendentemente dal fraseggio adoperato, le comunicazioni di tutti i maestri pittori di ogni epoca
sul mistero del Natale appaiono sempre molto adeguate a rappresentarlo, accanto, a buon diritto, ad
ogni altra espressione dell’arte dalla poesia alla musica.