A prima vista non c’è abbinamento più coerente che quello tra seguaci del ‘Re della pace’ e pacifisti, ossia coloro che rifiutano sempre e comunque la guerra. Infinite sono le testimonianze scritte, orali e di vita che avvalorano la convinzione che un cristiano non può che amare e difendere la pace. Ma è questa aspirazione alla pace che li distingue? In realtà il mondo di coloro che vogliono la pace si estende a coprire quasi la totalità degli esseri umani, e ai nostri giorni è bandiera di destra e di sinistra, di cattolici e ‘laici’.
E’ forse il caso di soffermarsi sulle problematiche connesse alle affermazioni universaliste che si gridano nelle piazze, come appunto pace, amore, uguaglianza, senza che alcuno sappia in concreto come ottenerle. Inoltre: siamo sicuri che la pace che il Cristo desidera e promette coincida con l’assenza di guerra? Che significa “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore” (Gv 14, 27-31)? Il riferimento a un cuore non turbato fa pensare piuttosto alla pace che viene dall’essere riconciliati e sentirsi amati da Dio.
Ad ogni modo, come essere sicuri che i cristiani rifiutino sempre e comunque le guerre se la loro storia millenaria, radicata nel giudaismo, non è affatto esente da guerre fatte in nome di Dio e a difesa della Chiesa? Non voglio riferirmi alle guerre ingiuste e sanguinose o a quelle ritenute sacrosante delle crociate, a quelle fatte contro gli eretici, ma ancor prima a quelle che nell’Antico Testamento il Signore comandava e guidava fino alla vittoria, a difesa del popolo che Egli aveva scelto e che voleva condurre per mano fino alla nascita del Salvatore. I popoli antichi non potevano sopravvivere senza eserciti di difesa e di conquista. Così, tra l’altro, gli israeliti: “Il Signore degli eserciti è il Dio d’Israele!” ( 2 Samuele 7, 26); “Tu, Signore, Dio degli eserciti, Dio d’Israele, alzati a punire tutte le genti; non avere pietà dei perfidi traditori” (Salmi 59, 6).
Si può obiettare che si tratta del Dio dell’antica alleanza, di cui Gesù nel nuovo testamento ha mostrato il volto misericordioso. Eppure ci si potrebbe chiedere come mai anche nel Nuovo Testamento quando è in gioco la difesa della Chiesa, sembra che in determinate circostanze e a certe condizioni Dio benedica chi ha il coraggio di prendere la spada e perseguire con tutti i mezzi possibili la vittoria. Altrimenti perché, dopo umilianti giudizi e amare vicissitudini, Giovanna d’Arco è stata dichiarata santa benché insieme al Rosario maneggiasse la spada? E’ noto che nella sua obbedienza alle voci ella, benché donna e non addestrata alle armi, incitasse alla guerra, il che ha reso complicato riconoscere in lei i segni della santità. Giovanna si è lanciata senza freni nell’opera che riteneva dover condurre a buon porto durante la Guerra dei cent’anni: la incoronazione del vero re e la difesa della Francia dall’Inghilterra protestante. Le voci divine le imponevano di liberare la città di Orléans dal nemico e far consacrare re Carlo VII nella Cattedrale di Reims, secondo la tradizione della monarchia francese.
E come dimenticare la vittoria epocale dei cristiani nel 1571 contro il millenario nemico musulmano a Lepanto? E’ noto che il sultano Maometto IV aveva lanciato la jihad contro Vienna, con l’obiettivo di arrivare fino a Roma e che il Papa ricorse a Marco d’Aviano, cappuccino (proclamato beato da papa Giovanni Paolo II il 27 aprile 2003), il quale si adoperò per organizzare la difesa puntando soprattutto – ma non solo – a mettere d’accordo i principi cristiani. Vienna era assediata da trecentomila turchi, mentre i cristiani erano di gran lunga numericamente e militarmente decisamente inferiori. Una seconda volta, l’11 settembre 1683, dopo avere assistito alla messa celebrata dal cappuccino, i cavalieri riportarono la vittoria, liberando l’Europa dall’incubo dello sterminio dei cristiani (festa del 12 settembre). Frate Marco era presente alla pianificazione dell’attacco ed era un combattente. La sua beatificazione come nel caso di Giovanna, ha rappresentato una sfida ai pacifisti di tutti i tempi.
Il tema è complesso e si presta a strumentalizzazioni da ogni fronte, ma ci costringe a chiederci se la pace sia un obiettivo valido sempre e comunque su questa terra e se e quando e come sia inevitabile affrontare – sempre obtorto collo – la sfida della guerra.
La storia mi convince che la gran parte delle relazioni interpersonali e tra Stati è dominata da rapporti tra forze che si confrontano e combattano in vista di obiettivi ritenuti inderogabili (la difesa del territorio o la sua conquista, la protezione delle famiglie, l’affermazione della propria religione, cultura, dei valori …). Non si può credere che basti la buona volontà, la raccomandazione omiletica al quieto vivere, quando si profilano forti conflitti di interessi e il nemico incombe alle porte. Uno sguardo realistico ci convince che periodi di pace e di guerra credo continueranno ad alternarsi ora qua ora là nel corso della storia, nella ricerca faticosa di un equilibrio armonico che non si profila all’orizzonte.
Si legge nell’Ecclesiaste (3, 1-15): “Per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo….Un tempo per amare e un tempo per odiare, un tempo per la guerra e un tempo per la pace”.
Non si possono dare soluzioni univoche. Sarebbe ingenuo però pensare che, resi accorti dalle guerre del passato – specialmente per l’Europa dalla prima e dalla seconda guerra mondiale – gli esseri umani saranno in grado in futuro di vivere senza difendere il diritto alla patria, al cibo, ai beni indispensabili alla vita, alla loro identità, ossia che saranno disposti a pagare il prezzo della pace con la rinuncia alla legittima difesa, la sofferenza ed anche all’occorrenza con la vita (sono gesti eticamente sostenibili solo sul piano individuale).
La guerra dobbiamo non volerla e nello stesso tempo pensarla come purtroppo ricorrente, fino a che i protagonisti della storia non saranno nel regno dell’amore vissuto dal Cristo, e dunque capaci di volere solo il bene gli uni degli altri.