Acqua e poesia

In occasione della giornata mondiale dell’acqua, 22 marzo

La scrittura creativa, sia essa in poesia o in prosa, percorre più d’ogni altra attività umana gli aspetti e gli elementi fondamentali della vita. Del resto la scienza ci dice che l’acqua costituisce gran parte dello stesso corpo umano. Questo preziosissimo elemento della vita ha anche specifiche caratteristichea: da una parte è priva di qualsiasi carattere singolare attraverso le sue proprietà di elemento “incolore, inodore, insapore” e dall’altra  è questa stessa essenzialità a renderla adattabile come forma, colorazione e livello di superficie e quantità ai suoi contenitori. E’ stata forse questa estrema flessibilità insieme alla condizione spaziale della sua pressoché universale presenza sulla terra, dai ghiacci del polo alle oasi dell’equatore, a favorire anche una enorme varietà di rappresentazioni nella letteratura. Diversissime perciò sono le rappresentazioni dell’acqua, varie come angolo di visuale, descrizioni dei caratteri, valutazione delle sue proprietà, riflessione sui suoi collegamenti con la vita umana (se ne rappresenta di volta in volta la presenza vivificatrice, l’assenza, la forza generatrice, la dolcezza del ristoro ecc…).

Se partiamo dalle radici della nostra letteratura che affondano nello splendore della cultura greca e nella forza di quella latina, vediamo già agli albori della poesia greca una forte presenza dell’elemento acqua; ed è naturale in una terra proiettata sul mare e disseminata di isole.

In effetti, ad esempio, tutto il poema dell’Odissea profuma di mare ed è pervaso di riferimenti continui all’acqua: si parla dell’acqua canuta (IX, v.432) o dei remi che imbiancavano l’acqua (XII, v.172) facendo coloristicamente riferimento alla spuma delle onde. Tuttavia l’acqua non è solo presente come elemento pittorico, se ne parla  ad esempio nell’episodio di Calipso come elemento essenziale di vita per il navigatore Ulisse: dopo avere promesso la costruzione della zattera del ritorno, la ninfa Calipso dice Io vi porrò in abbondanza cibo,acqua e rosso vino (V, vv.165.6). Ma l’acqua nello stesso poema è vista anche come elemento del ristoro igienico in una prospettiva di bellezza connaturata al senso estetico dell’uomo greco: Quando arrivarono al bellissimo corso del fiume dove erano i lavatoi perenni e tanta acqua sgorga bella, da lavare anche panni assai sporchi…(VI, v.85), racconta il narratore introducendo l’episodio di Nausicaa, la giovane principessa dei Feaci che ospiteranno Ulisse naufrago. Successivamente, quando le richieste del naufrago sono accolte, l’ordine che viene dato è Ancelle, date all’ospite cibo e bevanda, fategli il bagno nel fiume … e in seguito a queste disposizioni, le ancelle l’invitarono a lavarsi nell’onda fluente del fiume..

Dunque acqua del mare, acqua del fiume come sigillo, nutrimento e nobilitazione della vita umana. E non è solo in questo poema del mare che la presenza dell’acqua appare invadente, perchè ad esempio anche nella ruvida e austera poesia di Esiodo l’acqua ricompare nella concretezza del mangiare quotidiano, attraverso la descrizione del banchetto come ristoro alla calura dell’estate mediterranea e d’una fonte che scorre perenne e pura tre parti d’acqua versare, la quarta di vino .                              

Nella successiva poesia dei lirici, l’acqua assume soprattutto valori estetici e sensitivi attraverso le notazioni del paesaggio. C’è Archiloco che descrive il suo movimento il flusso continuo dell’acqua ma anche la sua forza talora ostile all’uomo nella rappresentazione cruda del navigante travolto dalla tempesta Sballottato dalle onde…e uscendo dalla schiuma si scrolli di dosso folte alghe, e batta i denti come un cane, giacendo sfinito, bocconi sulla battigia dove le onde si frangono (Arch. fr 134). Con la stessa atterrita constatazione del vigore violento dell’acqua, Alceo ci rappresenta lo scrosciare della pioggia e la durezza dell’acqua solidificata dal gelo  Zeus si scioglie in pioggia, e giù dal cielo un crudo inverno, mentre i corsi  d’acqua si arrestano gelati (Alceo, fr 338) o la potenza distruttrice dell’acqua durante la tempesta in mare Un’onda si gonfia di qui,‘ l’altra di là: nel mezzo noi siamo portati con la nera nave…L’acqua giunge alla base dell’albero (Alceo, fr 208), eppure altrove s’incanta a contemplare la conchiglia e la definisce Figlia della roccia e della spuma (fr 399). Un  poeta successivo, Ibico, coglie dell’acqua la forza generatrice di vita Germogliano a primavera i meli Cidonii bagnati dalle acqua dei fiumi… (fr 86), definisce le acque vive nell’inno al dio del mare Posidone e guarda il mare come un grande spazio di vita popolato di cetacei che danzano in cerchio, i delfini amici e salvatori dell’uomo nel mare che lui chiama purpureo. Lo sguardo della poetessa Saffo si sofferma prevalentemente sulla bellezza paesaggistica creata dall’acqua in una notazione inarrivabile di suoni e colori e di là dei meli sussurra un fresco ruscello, ovunque s’allarga ombra di rose, da mormoranti fronde stilla sopore…(fr 16).

Nella poesia del mondo romano, mondo più terrestre, di contadini e soldati, l’acqua ha meno colori, splendori e presenze, e tuttavia nella poesia di un poeta disincantato e scettico come Orazio troviamo addirittura una poesia dedicata all’acqua nell’ode Alla fonte Bandusia alla quale rende omaggio e ringraziamento per il ristoro nella calura dell’estate.

Se passiamo all’intensa spiritualità del mondo medievale, possiamo notare come l’acqua in una delle prime poesie nel volgare italiano, o meglio umbro, viene caricata di significati religiosi nel Cantico di frate sole di San Francesco: in una sequenza di aggettivi di valenza positiva, ne vengono messi in luce prima gli effetti benefici e in crescendo il simbolismo spirituale che culmina nell’immagine metaforica della castità.

Più tardi, quando dall’ascesi medievale si passa alle esigenze  e ai turbamenti terreni, nella poesia di Petrarca, che di questo passaggio culturale rappresenta le inquietudini e le aspirazioni, l’acqua del fiume provenzale presso il quale è collocata la figura della donna amata viene descritta, ad apertura della lirica Chiare, fresche e dolci acque, nelle sue caratteristiche sensibili con notazioni visive e tattili tutte ispirate a un senso di dolcezza ma poi, in realtà, il paesaggio diventa solo schermo di proiezione delle increspature psicologiche. E in un quadro successivo, le onde appaiono soltanto come il luogo dove si posano i fiori  che fanno da cornice alla bellezza di Laura. Tutta la poesia e anche la natura sono concentrate sulla memoria struggente dell’incontro amoroso.

Le notazioni sensitive, che in sostanza pongono l’elemento acqua nella prospettiva della sensibilità umana senza attardarsi nel rappresentarne la realtà oggettiva, sono ancora più evidenti nella poesia sofferente del Tasso, in un certo senso straziato tra il fascino del piacere che gli deriva dalla cultura rinascimentale di provenienza e l’ombra del dovere penitenziale che gli incombe nel clima della Controriforma. Ecco allora  che in una canzone dedicata al fiume Metauro, egli  mette in particolare evidenza l’offerta di serenità e ristoro che da esso gli può venire. Soprattutto in un musicalissimo madrigale dell’acqua che scorre, egli rappresenta in una sinfonica rappresentazione i sommessi rumori della natura all’alba.

E tuttavia l’elemento acqua nella sua forma di lago si presta ancora una volta ad esprimere un clima psicologico quasi spirituale. Lo possiamo vedere nel famosissimo brano dell’ Addio ai monti di Manzoni quando, pur attraverso una rappresentazione minuta e realistica dei movimenti e dei suoni dell’acqua del lago attraversato dalla barca dei promessi sposi costretti alla fuga, il Manzoni riesce a darci il senso di solitudine e di pacata sofferenza dei personaggi perseguitati da un ingiusto potere.

Molto diversa è questa sommessa e interiorizzata rappresentazione dell’acqua rispetto al vitalissimo e quasi esplosivo accumularsi di suoni e sensazioni tattili che viene originato dall’acqua della pioggia sopra la ruvida vegetazione marina  nella famosa e tipica poesia sensuale dannunziana La pioggia nel pineto.

Nei primi decenni del Novecento, la poesia ermetica si proietta in Italia verso la ricerca dei significati essenziali che collegano natura e uomo, ed ecco allora Ungaretti che nella poesia I fiumi, partendo  dall’immersione nelle acque dell’Isonzo in un paesaggio devastato dalla guerra, ripercorre le tappe della sua formazione, attraverso il ricordo dei fiumi presso i quali si è svolta la sua vita, il Serchio toscano delle sue origini familiari, il Nilo della sua infanzia e la Senna della sua giovinezza artistica per tornare poi a riconoscere in questo fiume del teatro di guerra, l’Isonzo, la sua immersione tormentata di uomo nell’armonia dell’universo.

E’ con questa prospettiva di correlazione tra l’acqua dei fiumi e la vita dell’uomo che anche Montale, con un discorso  quasi filosofico, esplicita in un paesaggio fluviale tipicamente montaliano, segnato da elementi poveri e quasi squallidi (giuncheti paludosi, sterpaglie e borraccina), la nullità e nello stesso tempo la crudeltà rapace dell’uomo. Come l’acqua cerca di impadronirsi di tutto ciò che incontra, così anche l’uomo si fa vortice e rapina.

L’acqua è ovviamente presente, come elemento paesaggistico e simbolo vitale, anche nella poesia straniera, europea e non. Potremmo cominciare dalla poesia del grande poeta spagnolo Garcia Lorca: nella sua piccola ballata dedicata ai fiumi della Spagna assolata, l’acqua del Gualdalquivir sembra colmarsi di tutti gli splendori della natura mediterranea, aranci e olivi con il contrappunto struggente del lamento ricorrente per un amore svanito. Molto diversa, rispetto a questo struggente appello ai fiumi, agli stagni e ai mari, a tutte le acque dell’Andalusia, è la tristezza amara che si coglie nella rappresentazione che un altro poeta ispanico, Pablo Neruda, fa delle acque di un porto  dove l’inquinamento portato dall’uomo ha deturpato con gli oli industriali un mare rassegnato all’immondizia, che è  stato costretto a scordare la marina sotto un cielo illividito da grandi uccelli neri. E’ una poesia amara di denuncia contro l’azione dissacrante degli uomini che ha tolto alle acque lo splendore radioso della loro origine, e nello stesso tempo di amara pietà per questa natura violata.

Nel mondo raffinato e inquieto della Mitteleuropa del primo Novecento, un poeta nordico come Rainer Maria Rilke  nelle acque delle fontane e degli stagni rispecchia un’anima malinconica in un’atmosfera quasi surreale dove sentimenti umani e tremori delle fontane alberi di vetro quasi si confondono.

Nell’acqua che cade con violenza primigenia sulle grandi pianure del nuovo mondo americano, la solitaria poetessa Emily Dickinson  coglie con un succedersi galoppante di verbi attivi come riempire, rigonfiare, allietare, liberare, allagare, alzarsi  tutta la potenza di un elemento vitale nel suo dinamismo e nella sua capacità trasformatrice. E comunque nelle sue parole vediamo rappresentato un paesaggio realistico, quasi domestico, dell’America contadina con campi e pozzi.

E’ lo stesso paesaggio concreto e segnato dall’attività produttiva dell’uomo che vediamo nella poesia di un poeta australiano contemporaneo, Lee Murray. Nella sua lirica, che ha come tema la descrizione di una cisterna costruita dal contadino delle grandi pianure per raccogliere, conservare e poi utilizzare l’acqua piovana, si percorre quasi il ciclo dell’acqua che cadendo dal cielo e dal tetto sgocciolante, viene raccolta e va ad abbeverare le galline, ad innaffiare le petunie, a dissetare l’uomo nella cucina sgorgando dal rubinetto. La minuta descrizione fatta di elementi quotidiani, popolata di figure contadine (il garzone della fattoria, il cane pastore, le galline ecc..) non si esaurisce, però, nel realismo della rappresentazione, perché mette bene in luce, anche nella battuta ironica del verso finale, il debito dell’uomo verso l’acqua.

Se in questa rappresentazione si può notare tutta l’empirica concretezza della cultura anglosassone nel rapporto dell’uomo con l’acqua, in una lirica di un poeta africano l’acqua dei grandi fiumi di questo continente assolato e assetato eppure ricco di grandi vie fluviali, che purtroppo nei mutamenti climatici corrono rischi di estinzione, diventa quasi un segno del riscatto di libertà. In una appassionata invocazione che viene scandita attraverso un ritmo martellante che evoca quasi il suono dei tamburi tribali, il poeta Bosco Mpankima chiama i popoli della sua terra a contemplare il vigore delle acque che straripano e fecondano, e a lottare tutti in piedi per la libertà nera.

Voci diverse, dunque, quelle della poesia nella evocazione dell’acqua, voci che partendo da mondi e culture differenti toccano il tema con prospettive che spaziano dal confronto con l’elemento all’immersione in esso, dalla considerazione della sua bellezza e dei suoi benefici al timore della sua potenza. Tutte voci, comunque, che dalla lontananza o dalla vicinanza del tempo ci trasmettono il significato di una inscindibile correlazione tra l’esistere degli esseri viventi e l’acqua.

Un bene essenziale da contemplare con rispetto e da custodire con amore.