Correva l’anno 1979 (o 1978? Ah, la memoria!). Allora eravamo molto semplici tutti, ci si divertiva con niente, le giornate trascorrevano in passeggiate, partite a pallone, quel poco di lavoro che si ha all’inizio di una professione, il debito amor lo qual dovea Penelope far lieta (ma anche Ulisse) e tante uscite a pesca. Nei giorni più freddi o piovosi, ma non solo in quelli, ci si rintanava in piazza sant’Agostino, nell’armeria Fidanza, che vendeva anche articoli per la pesca e lì, in mezzo a tanti altri pescatori, le nostre catture rimanevano vive nel ricordo e nei racconti e, di conseguenza, divenivano sempre più grandi. Tale attività di racconti, di sfide, di sfottò, diveniva sempre più frenetica con l’avvicinarsi dell’apertura della pesca, alla fine di febbraio, per l’esattezza all’alba dell’ultima domenica di febbraio, ogni anno (lo specifico perché oggi non si sa più se, quando e dove apra la stagione, non per i mutamenti climatici ma per le molteplici autorità che governano la pesca).
Tra i pescatori, comunque, era radicata una convinzione, un dogma che sfiorava il fanatismo: che augurare “buona pesca” portasse una sfiga terribile. Anche il semplice nominarlo, senza indirizzarlo a qualcuno in particolare, portava male e fiorivano gli aneddoti addotti a conferma di tale certezza: chi, avendolo ricevuto, aveva forato due ruote della macchina in una sola volta, chi era caduto in acqua, chi mentre pescava, era stato travolto da un branco di cinghiali che gli aveva distrutto la canna, chi non gli aveva suonato la sveglia (cosa mai accaduta) e aveva saltato l’apertura e così via con una fantasia degna di miglior causa. E chi, sfidando la malasorte, per fare lo spiritoso, augurava agli altri il B.P. (lo abbrevio così perché meno lo si nomina meglio è) rischiava di prenderci delle botte, e comunque ne riceveva una decina di ritorno, ma di quelli arrabbiati, feroci, che se ti pigliano…
Fu così che, un bel giorno, i pescatori trovarono nella cassetta della posta una lettera, proprio alla vigilia dell’apertura. Soli eravamo, e sanza alcun sospetto! E tutti aprimmo la letterina. Ognuno aveva ricevuto una bella poesiola di 4 o poche righe di più, in perfetta metrica e rima, culminante con l’efferato augurio. Ognuno una poesia dedicata a lui, personalizzata sul proprio lavoro, o difettuccio o vizio, impossibile non riconoscervisi. Ognuna era firmata CAP, Comitato Agitazione Pesca. E l’agitazione scoppiò davvero! Nel negozio di Fidanza c’era un subbuglio mai visto e tutti cercavano di scoprire i colpevoli. Tra i principali indiziati figuravamo io e il De Fe, per la nostra abitudine di buttare tutto in caciara, in ridere, e fu dura dimostrare di essere anche noi tra le vittime. Alcuni portavano le lettere incriminate, altri, tra cui noi, principali sospettati, le avevano distrutte d’impeto, sperando così di vincere la iattura. Insomma per parecchio tempo andò avanti questa caccia all’untore ma sugli autori nessuna certezza.
L’anno successivo arrivarono ancora delle letterine che, vuoi o non vuoi, tutti dovettero aprire! Stavolta c’era una sola poesia, più lunga, non personalizzata, buona per tutti, con il ferale verso finale che augurava a tutti B.P. ancora siglata CAP. Ancora una volta si scatenò la caccia, tanti sospetti ma nessuna prova o confessione. Tutti però giurarono che l’anno successivo non avrebbero mai e poi mai più aperto una lettera nei giorni precedenti l’apertura. E invece anche l’anno successivo arrivò lo sberleffo del CAP, stavolta sotto la forma di biglietto listato a lutto. Che fai? Non lo apri? E così ci cascammo tutti nuovamente. All’avvicinarsi dell’apertura dell’anno seguente, già cominciavano tutti a temere scherzi da parte del CAP, e a mettere in guardia da lettere, letterine e dispacci di qualsiasi sorta. E invece il CAP sbalordì tutti: il giorno prima dell’apertura ognuno, ovviamente all’insaputa di tutti gli altri, ricevette, dal postino ufficiale, con regolare consegna, un telegramma: Credevate di farcela? E invece beccatevi sto B.P. firmato CAP. Grosso modo era questo il tono del testo. Stavolta la cagnara assunse toni tragicomici perché, mentre chi lo aveva ricevuto smoccolava, calendario alla mano, altri che, al contrario, non lo avevano ricevuto, cominciarono a lamentarsi, a chiedersi come mai non erano compresi nella famiglia dei pescatori provetti, quali ormai si consideravano i cappisti, insomma ci erano rimasti male, si sentivano esclusi.
Cosicchè l’anno dopo il CAP inoltrò, tramite posta regolare, delle belle lettere con tanto di intestazione CAP, Comitato Agitazione Pesca, e tutti furono contenti perché erano stati inclusi anche quelli che l’anno prima si erano lamentati. Negli anni successivi il repertorio del CAP si arricchì di una serie di disegni molto pecorecci, in verità, ma anche molto divertenti, con pescatori dallo sguardo abbacinato che con le mani alludevano alle straordinarie misure delle loro catture mentre dal cestino si intravedevano enormi genitali maschili debordare da ogni dove! Insomma per qualche anno ancora si andò avanti così poi, come tutte le cose della vita, finì anche il CAP. Qualcuno era morto, i pescatori non erano più gli stessi, i tempi non erano più gli stessi, la cricca si era scompaginata, e i nuovi arrivati del B.P. se ne fregavano.
Il CAP chiuse l’attività con una sorta di filastrocca giocata sull’acronimo CAP, simpatica, che ho conservato e che ripropongo qui, a memoria di un periodo spensierato della nostra vita e della nostra città e quale augurio per la prossima apertura:
Chi per CAPriccio al CAP il CAPo oppone CAPriole farà con l’auto CAPottando! Ma chi del CAP, anche CAPziosamente, Il CAPitale CAPnomantico CAPisce, CAPodogli al CAPezzo CAPterà, non trote o carpe! Non inCAPpar vieppiù in altre CAPpelle ma sCAPpa al fiume e acCAParrato il borgo, in CAPo al tuo CAPel sottile innesca il nostro più CAParbio Buona Pesca!
CAP (i cui autori sono tuttora avvolti nel mistero)