Una mistica “ribelle”: Cristina di Markyate

Una mistica “ribelle”: Cristina di Markyate

Nella società medievale la condizione della donna è stata contrassegnata da pregiudizi dovuti sia a tradizioni ancestrali, sia a elementi culturali (pensiamo alla posizione di Aristotele), sia ad elementi religiosi, come la convinzione che la discendenza da Eva determinasse la sua innata e naturale peccaminosità. Ciò ha relegato l’intero universo femminile a una condizione di inferiorità, di sofferenza e di sopraffazione, infatti le donne non hanno fatto la storia e anche nei documenti appaiono sempre in forma anonima; tuttavia in questo panorama emergono alcune rare figure che da un lato confermano lo
status femminile di subordinazione, dall’altro si ribellano e cercano di attuare le proprie scelte di vita,
anche a costo di grandi difficoltà e sofferenze.

È il caso di una mistica poco nota, ma non per questo meno interessante, Cristina di Markyate, vissuta in Inghilterra tra l’XI e il XII secolo. Le notizie della sua vita sono contenute nel Sanctilogium Angliae, un’opera biografica contenente 157 vite, redatta dai monaci dell’abbazia di S. Albans, sulla base di un manoscritto, che è andato perduto, redatto da un monaco mentre Cristina era ancora in vita.
Teodora, (questo il suo vero nome), nacque nel 1096 (o forse 1098), in un periodo difficile perché 30 anni prima l’Inghilterra era stata conquistata dai Normanni. Apparteneva a una facoltosa famiglia di mercanti di origine anglosassone, che si aspettava da lei un matrimonio consono alla sua posizione. Ella però fin da bambina provava un intenso fervore religioso: aveva visioni di Cristo, di Maria e degli angeli e si rivolgeva a Gesù ad alta voce. A 12 anni si recò con la sua famiglia in pellegrinaggio al monastero di St. Albans. Mentre usciva dalla chiesa lasciò cadere nelle mani del sacerdote il denarius, una moneta che all’epoca veniva data durante il rito del matrimonio e rappresentava simbolicamente l’impegno assunto.
Non disse niente a nessuno, ma con questo gesto si sentì “sposata” misticamente con Cristo. In tale circostanza, secondo l’autore della Vita avrebbe pronunciato queste parole: O Signore, Dio clemente e onnipotente prendi attraverso le mani del Tuo sacerdote la mia offerta. Infatti a Te offro questa moneta come il mio atto di resa a Te. Degnati, Ti chiedo, di concedermi la purezza e l’integrità della verginità con cui Tu possa rinnovare in me l’immagine del figlio Tuo che vive e regna con Te nell’unità dello Spirito Santo, Dio per tutti i secoli. Amen.

La decisione segreta di Cristina dopo poco tempo provocò un forte contrasto all’interno della famiglia nel momento in cui le venne imposto il matrimonio, infatti in quel periodo non era concepibile che una ragazzina potesse decidere il proprio futuro poiché ogni decisione matrimoniale o claustrale doveva essere approvata dalla famiglia (cioè dal padre). Secondo l’autore della Vita sarebbe sfuggita a un tentativo di abuso da parte di Romualdo Rambard, vescovo di Durham (vicino al re Guglielmo il Rosso), il quale per vendicarsi del rifiuto avrebbe spinto i genitori a cercarle subito uno sposo. La scelta cadde sul
nobile Burtredo, ma Cristina, che aveva un carattere forte ed era decisa a rispettare il voto che aveva pronunciato, rifiutò decisamente il matrimonio; i genitori, soprattutto la madre, non accettarono il suo rifiuto e cercarono con ogni mezzo di indurla al matrimonio, ricorrendo anche ai maltrattamenti, alle umiliazioni e persino a una fattucchiera, ma senza successo. Alla fine la trascinarono di forza in chiesa e le strapparono il consenso, ma anche allora ella non volle piegarsi a vivere con il marito. Non riuscendo a risolvere la situazione, decise di fuggire dalla casa paterna così, aiutata dall’eremita Edvino scappò a
cavallo travestita da uomo e si rifugiò presso l’anacoreta Alfwena a Flamstead, dove rimase per due anni. Successivamente trovò asilo presso l’eremita Ruggero, presso il quale visse quattro anni, chiusa in una cella sbarrata da un tronco d’albero, da cui usciva per pochissimo tempo solo la sera. Furono anni durissimi di reclusione perché la famiglia non si era arresa alla sua fuga e cercava ancora di rintracciarla.

Nel suo rifugio venne però raggiunta da Burtredo che le comunicò la sua decisione di lasciarla libera, anche per poter contrarre un nuovo matrimonio. In quegli anni visse una intensa esperienza spirituale e intellettuale sotto la guida dei suoi maestri Ruggero e Sueno, che le insegnarono a leggere il latino, necessario per poter leggere il Salterio, a praticare l’esercizio della meditazione e della contemplazione e ad acquistare competenza sul piano della dottrina.
Intanto aveva numerose visioni spirituali ed estatiche con riferimento a Cristo e a Maria, e riceveva rivelazioni di carattere teologico.

Nel 1122 finalmente il vescovo di York dichiarò la nullità del matrimonio cosi poté consacrarsi totalmente a Cristo. Il 21 dicembre 1131, nel pronunciare i voti religiosi, lasciò il suo nome Teodora per assumere quello di Cristina, volendo sottolineare la sua unione con Cristo. La fama della sua santa vita si diffuse rapidamente tanto che venne invitata a condurre due monasteri femminili in Francia, ma lei rifiutò. In questo periodo incontrò Goffredo di St. Albans, che divenne suo maestro e fondò il monastero di Markyate, di osservanza benedettina, di cui Cristina diventò la prima badessa, guidando e istruendo le sue discepole . Noi conosciamo solo il giorno della sua morte, l’8 dicembre, ma non l’anno; tuttavia una notizia riportata nelle Gesta abbatum dimostra che era ancora in vita nel 1155; infatti vi si racconta che l’abate Roberto di Gorham portò al papa Adriano IV i sandali e le tre mitre confezionati da Cristina.