“Morte, non essere troppo orgogliosa/se anche qualcuno ti chiama terribile e possente/Tu non lo sei affatto/perché quelli che pensi di travolgere/in realtà non muoiono, povera morte/né puoi uccidere me/. Se dal riposo e dal sonno/che sono tue immagini/deriva molto piacere,/molto più dovrebbe derivarne da te/, con cui proprio i nostri migliori se ne vanno per primi/tu che riposi le loro ossa e ne liberi l’anima./Schiava del caso e del destino, di re e disperati/hai casa col veleno, la malattia, la guerra/e il papavero e il filtro ci fan dormire anch’essi/meglio del tuo fendente/. Perché dunque ti inorgoglisci? Un breve sonno e ci destiamo eterni/Non vi sarà più morte/E tu, morte, morrai./ (Sonetto X).
Il componimento Sonetto X appartiene alla raccolta delle Poesie Teologiche di John Donne, poeta, saggista, religioso inglese e massimo esponente della poesia metafisica. I versi sono dedicati all’orrenda morte; il poeta riflette sul fatto che anch’essa è mortale e che il suo è un potere illusorio e si rivolge alla morte direttamente con un tono ironico che dà al lettore un senso di conforto. Tema centrale è la mortalità, tema nel quale si confrontano l’umana paura del trapasso con l’idea cristiana della vita eterna. Il poeta fa notare che il corpo ha altri modi per cadere nel sonno profondo ma quel sonno non sarà eterno. Il passaggio dalla vita alla morte, che riesce spesso a prendersi gli esseri migliori, costituisce in realtà la nascita dell’anima e quindi è parte integrante della vita eterna. Sarà dunque la morte a morire.
La letteratura e la religione Donne le aveva nel sangue per parte di sua madre, figlia del drammaturgo John Heywood e della nonna materna, sorella di Thomas More. Sebbene l’appartenenza ad una famiglia cattolica impedisse al futuro poeta di conseguire titoli accademici, egli poté comunque frequentare corsi di studio ad Oxford e, grazie alle buone condizioni economiche del padre, viaggiò in Francia, Italia e Spagna. Nel 1598 riuscì ad ottenere un lavoro di segretario presso il Lord Guardasigilli Sir Thomas Egerton ma fu fortuna di breve durata. Il matrimonio segreto con la nipote del Lord, una ragazza di appena sedici anni, suscitò uno scandalo tale da fargli perdere il posto di lavoro e prendere la via del carcere. Seguì un periodo oscuro che si concluse con l’adesione alla Chiesa d’Inghilterra; per alcuni critici il fatto è da attribuire più ad opportunismo che a vera e propria crisi religiosa ma i celebri e memorabili sermoni da lui scritti, oltre ad avere un alto valore letterario, sono testimonianza di un travaglio sincero e doloroso.
La vita di Donne fu complessa e tormentata, divisa fra azione e contemplazione, ribellioni e compromessi evidenti nella sua poesia non certo manieristica. I suoi componimenti, come anche i sermoni, sono ben lontani dalle facili mode del tempo e le ovvie interpretazioni petrarchesche. Durante la lunga malattia e dopo la morte di alcuni figli, rifletté sulla morte e sull’ineffabile gloria celeste. I suoi versi non sempre sono di facile comprensione: pensieri e parole, simboli e metafore si fondono e ci appaiono straordinariamente moderni. Per la complessità di contenuti e forme John Donne fu poco apprezzato dai contemporanei e nel Settecento. Ignorato nell’Ottocento, alla sua grandezza viene resa giustizia solo nel Novecento grazie alla critica del poeta e drammaturgo T. S. Eliot.
“Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso; ogni uomo è parte del Continente una parte del tutto. Se il mare spazza via una zolla, l’Europa non è diminuita, come ne fosse stato spazzato via un promontorio,, come ne fosse stato spazzato un maniero dei tuoi amici, o tuo proprio: la morte di qualsiasi uomo mi diminuisce , perché io appartengo all’umanità, e quindi non mandare mai a chiedere per chi suona la campana: suona per te.“
J.Donne ( Meditazione XVII ).
Nel mese dedicato ai defunti, ricordando Benedetto con le riflessioni di un grande poeta inglese.