XXXI Festival, Civitanova Danza, 23 giugno – 28 settembre
Compagnie ACCRORAP
PRÉLUDE
Coreografia Kader Attou, Musica Romain Dubois
Civitanova Marche – Teatro Rossini
31 Luglio 2024 h 21.30
…Del mio corpo, della mia anima, ho fatto un’arma di riflessione di massa
(Azdine Bouncer)
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Quel “Vola, cammina, arrampicati, corri” nella voce fuori campo di Azdine Bouncer – uno degli interpreti – riassume ciò che abbiamo visto di portentoso materializzarsi su questo palco.
Portentoso è sempre il realizzarsi di un sogno: come quello di Kader Attou, fondatore della Compagnia nel 1989 quando attrae a sé e trasforma in artisti professionisti dei talentuosi interpreti di arti circensi, break dance e hip hop, e innesta tali potenziali su un imprescindibile sostrato di preparazione classica.
Ed è rivoluzionario, a metà anni Novanta, il primo frutto di questa ammaliante mescolanza: la creazione “Athina” (Biennale Danza di Lione), che spariglia gli stilemi coreografici istituzionali e si impone di diritto come danza d’autore.
Francesissima l’impronta della Compagnia, ça va sans dire, fondata da un figlio di immigrati, in anni recenti nominato Chevalier de l’Ordre National de la Légion d’Honneur e, prima ancora, Chevalier de l’Ordre Nationale des Artes et des Lettres.
[Cose che accadono, dove non si valuta il merito dal colore della pelle…]
E ciò che si svolge stasera su questo palco, insieme alla perfezione degli interpreti e al curatissimo impianto coreografico e musicale, è narrazione che fluisce continua dalla fisicità dei danzatori fino al pubblico: racconta storie e illumina frammenti di vite, plana su memorie – “i ricordi sepolti nella mia testa” – che la voce fuori campo evoca e disegna e parlano anch’esse di sogni ma anche di guerre quotidiane, di emarginazioni e tristezze, e di speranze, di entusiasmo e coraggio.
E parlano di arte, soprattutto, e affidano il messaggio alle parole di Camus e al suo discorso al banchetto per il Nobel del 1957: al suo “non posso vivere senza la mia arte” che è al tempo stesso consapevolezza che quell’arte “non è un piacere solitario” e non separa l’artista da tutti gli altri ma al contrario, “lo sottopone alla verità più umile e più universale”.
Tutto il resto è spettacolo, arabesco poderoso e prodigio che sfida le leggi della gravità e della materia, dentro una trama sonora – la musica di Romain Dubois – che guida, accoglie, assorbe il moto degli interpreti; e quest’ultimo è energia pura ma anche geometrica precisione che racchiude studio e tecnica uniti al talento.
La coreografia vi tesse trame molteplici, le intreccia nei moti collettivi, nelle solitudini, nell’aggregarsi e sciogliersi dei corpi: diresti che questi siano disarticolati, ignari di peso; di certo lo spazio ne è modificato, ridisegnato dall’intensità sonora che incalza, sostiene, dirige le traiettorie degli interpreti. Ipnotico crescendo, che dal suono e dalla prorompente fisicità della danza estrae un’alchimia intensa che quasi attrae a sé, con forza primitiva, il pubblico stesso.
Ho un sapore di nostalgia: la voce fuori campo di Azdine stempera a tratti l’impeto della danza; è confessione e narrazione, dichiarazione d’amore per l’arte e per ciò che questa significa in una vita che “non fa regali”, dove “il gusto della fatica è il mio Eldorado”.
Quella fatica, così nella vita come nell’arte, non prevede la resa: e val la pena pensare che sia anche per tutti noi in fondo, e per chi si è arreso, e per chi sta per farlo, l’esortazione finale:
Vola, cammina, arrampicati, corri!