Si può catalogare l’incontro a Milano tra Marina Berlusconi, Gianni Letta e Mario Draghi, autore del Rapporto sulla competitività europea, come ordinaria amministrazione? La notizia è passata nei media ma col silenziatore.
Come tutti noi, Marina e famiglia avranno ascoltato la disamina di Draghi che partiva da una impietosa denuncia del declino dell’Europa, per il deciso calo della sua produttività, e poneva l’accento sul necessario rilancio della competitività attraverso più investimenti, più coordinamento e più efficienza decisionale, onde evitare il trasferimento delle aziende in altre parti del mondo.
Chi potrebbe non condividere la tesi di Draghi per cui la politica industriale va coordinata, le decisioni vanno prese in tempi rapidi e vanno fatti investimenti adeguati fino al 5% del prodotto interno lordo (dunque superiori a quelli del piano Marshall) per poter reggere il passo con le grandi potenze economiche di USA e Cina? Indispensabili le tecnologie avanzate, il piano per il raggiungimento di basse emissioni, il potenziamento delle capacità di difesa, la messa in sicurezza delle filiere delle materie prime, per le quali si dipende soprattutto dalla Cina. Draghi è stato perentorio: in caso contrario bisognerà rassegnarsi a dipendere.
Impossibile che i Berlusconi non abbiano condiviso l’assunto per cui per la compattezza dell’Unione – in specie per l’Italia che non si rassegna ad un’Europa a due velocità – si richieda una politica equa sulla concorrenza, agendo sui criteri degli accordi tecnologici e al contempo sui vincoli agli aiuti di Stato nei settori di importanza strategica, come la transizione ecologica.
Gli obiettivi del rapporto mirano ad una maggiore compattezza e solidarietà, ovvero ad una articolazione più incisiva dell’unità-diversità – che è il modulo chiave della convivenza tra nazioni e Stati – anche attraverso la creazione di un fondo comune in debito europeo per la ricerca e per lo sviluppo della difesa (specie droni e missili ipersonici). Tutti i commentatori sanno bene che non è facile raggiungere l’unanimità nelle decisioni europee, ma se non si farà, accadrà che un gruppetto di paesi si muoverà per conto proprio.
Sic stantibus rebus la domanda è: perché Marina ha voluto incontrare Draghi a pochi giorni di distanza dalla presentazione del Report sulla competitività in UE? Va da sé che SuperMario sia un economista apprezzato da Marina e Piersilvio Berlusconi. Pare siano stati i Berlusconi a far trapelare la notizia dell’incontro che sarebbe stato un evento imprevisto, ma certamente non banale. I commentatori si sono concentrati sugli scenari metapolitici possibili. Marina avrebbe inteso lanciare il messaggio che, pur finanziando il partito di governo figlio di suo padre, i Berlusconi vogliono avere mano libera e discutere con Draghi a 360 gradi. Dunque, non intendono rinchiudere la loro presenza nel campo economico e politico ai dettati del centrodestra. Si lasciano la libertà di manifestare un atteggiamento eventualmente critico verso alcune politiche sui diritti civili e sulle politiche economiche del governo Meloni. Inevitabile pensare alle proposte di tassare gli extraprofitti delle banche e delle assicurazioni.
In ballo ci sono anche gli eventuali aumenti del tetto pubblicitario per la Rai o la sua completa privatizzazione. Il gruppo Mediaset ne trarrebbe nocumento e si aprirebbe una ragione in più di tensione col governo. Di certo non si è trattato di un routine meeting quello con la presenza di Gianni Letta.
C’è chi ha visto in questo summit anomalo l’avvio della formazione di un nuovo movimento, un partito (centrista) perno di un inedito disegno politico che potrebbe far saltare l’attuale quadro politico-istituzionale e destabilizzare l’esecutivo Meloni, ma potrebbe anche volerlo indirizzare facendo attenzione e forse tendere a riformularlo, evitando che sia di ostacolo alle aziende di famiglia e al business. Le aziende della famiglia Berlusconi&C – in primis quelle con al centro le TV – seguono logiche diverse dalla tenuta della premier Meloni e del governo di centrodestra. Niente si può escludere tenendo conto che il business in generale cerca di sfuggire e di costringere le politiche a proprio vantaggio. Di qui forse certe aperture a sinistra. Si pensi alla imprevedibile iniziativa di Tajani sui temi dello ius scholae e alle posizioni esplicite di Marina Berlusconi che suonano “prossimità” al centrosinistra.
Al di là di questi fatti, i nodi economici potrebbero portare Forza Italia fuori dall’attuale maggioranza per intraprendere tali supposte ‘nuove strade’ facendo saltare l’attuale quadro politico-istituzionale?
Il governo Meloni spinge per la riforma del servizio pubblico radiotelevisivo che mira anche alla privatizzazione di una Rete Rai e non vuole, per timori di boomerang elettorali, l’aumento del canone Rai, aprendo all’aumento dei tetti pubblicitari. Non sono questioni di lana caprina. Sono, in particolare, segnali allarmanti per Mediaset, che non intende perdere i suoi attuali livelli di audience e di business. In questo quadro va letta politicamente la non troppo nascosta ostilità di Mediaset nei confronti di Palazzo Chigi e della sua principale inquilina.
Politikon…