Blaise Pascal: cercare il divertimento o rimanere in riposo?

Blaise Pascal: cercare il divertimento o rimanere in riposo?

di María del Sol Romano.

Nella sua opera Pensées, il grande filosofo, scienziato e apologeta cristiano Blaise Pascal (1623-1662) riflette sulla condizione umana e considera un concetto specifico di questa condizione: il divertimento [divertissement].

Etimologicamente, la parola “divertimento” deriva dal verbo latino divertere, che significa, tra l’altro, volgersi dalla parte opposta, scostarsi, andarsene2. Questo termine è comunemente usato per indicare passatempi, attività di svago o diversi tipi di intrattenimento, che permettono, almeno per un momento, di combattere la noia, nonché di liberarsi dalle preoccupazioni e dalle fatiche della vita quotidiana.

Il divertimento, pur essendo qualcosa di naturale per l’essere umano, nell’ottica di Pascal consiste nel fare una serie infinita di attività, essere in continuo movimento, cercare distrazioni –anche nel tempo dedicato al riposo– per evitare, in particolare, di rimanere soli con se stessi e guardare la propria miseria. Come osserva l’autore, “tutta l’infelicità degli uomini proviene da una cosa sola: dal non saper restare tranquilli in una camera” (frm. 139)3. Allo stesso modo sostiene che “gli uomini, non avendo potuto guarire la morte, la miseria, l’ignoranza, hanno deciso di non pensarci per rendersi felici” (frm. 168). Dato che, “nonostante queste miserie, l’uomo vuole essere felice, e non vuole essere altro che felice, e non può non volerlo essere: ma come ci riuscirà? Per riuscirci bene, dovrebbe diventare immortale; ma poiché non lo può, ha deciso di non pensarci” (frm. 169).

La vita trascorre tra la ricerca del riposo e la fuga da esso a causa della noia che provoca. Ma, in realtà, il riposo non è solo insopportabile per la noia, ma anche perché costringe a guardare la propria esistenza. Il rimanere soli con se stessi, in riposo, guardando dentro di sé, mette di fronte alla propria fragilità, provoca una sgradevole sensazione di vuoto e di solitudine. Ecco perché, come precisa Pascal, “nulla è tanto insopportabile per l’uomo quanto lo stare in riposo completo, senza passioni, senza preoccupazioni, senza svaghi, senza applicazione. Allora sente il suo nulla, il suo abbandono, la sua insufficienza, la sua dipendenza, la sua impotenza, il suo vuoto. Immediatamente dal fondo della sua anima verranno fuori la noia, la tetraggine, la tristezza, l’affanno, il dispetto, la disperazione” (frm. 131).

Si fugge dall’interiorità, si passa da un’attività all’altra, per evitare di pensare alla miseria della condizione umana. Si cerca senza sosta il divertimento come antidoto alla tristezza e come fonte di felicità. Ma il divertimento è solo una chimera, una parvenza di felicità. Se da un lato non elimina l’infelicità, dall’altro la gioia che offre è fugace e illusoria. Pascal mette in luce che l’uomo si rifugia nel divertimento per riempire un vuoto “che egli inutilmente cerca di colmare con tutto quello che lo circonda, chiedendo alle cose assenti il soccorso che non ha dalle presenti, ma che tutte quante sono incapaci di dargli” (frm. 425).

Il divertimento, quindi, non porta alla felicità perché, come evidenzia l’autore, “proviene da altrove e dal di fuori; perciò è dipendente e quindi soggetto ad essere turbato da mille accidenti che rendono inevitabili le afflizioni” (frm. 170). Il divertimento, che in apparenza, sembra essere un rifugio dal dolore, dalla sofferenza e dalla tristezza, paradossalmente –come evidenzia Pascal–, “è la maggiore tra le nostre miserie. Perché è esso che principalmente ci impedisce di pensare a noi e ci porta inavvertitamente alla perdizione” (frm. 171).

È una miseria nel senso che nasconde la realtà, impedisce di riflettere su ciò che si è, di guardare dentro di sé e di contemplare la propria interiorità. Il divertimento, insomma, allontana il pensiero da Dio, fondamento della vita e fonte della vera felicità. Impedisce di vedere che il senso di vuoto, “l’abisso infinito”, come sottolinea Pascal, “non può essere colmato se non da un oggetto infinito e immutabile, vale a dire da Dio stesso” (frm. 425).

La felicità a cui ogni essere umano aspira non risiede pertanto nel divertimento, ma nel riposo, nel dialogo interiore e, in particolare, nel rivolgersi al cuore. È il cuore, afferma il filosofo francese, che “sente Dio” (frm. 278), è il luogo del contatto, dell’unione amorosa con Dio, che –nelle parole di Pascal– “è un Dio di amore e di consolazione, è un Dio che riempie l’anima e il cuore di coloro di cui egli s’è impossessato, è un Dio che fa internamente sentire a ognuno la propria miseria e la sua misericordia infinita, che si unisce con l’intimo della loro anima, che la inonda di umiltà, di gioia, di confidenza, di amore, che li rende incapaci d’avere altro fine che lui stesso” (frm. 556).

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1 Questo articolo è stato originariamente pubblicato in spagnolo sul sito web del Centro de Investigación y Difusión en Estudios Sociales (CIDESOC): https://cidesoc.com/2024/04/04/pascal-entre-la-diversion-y-el-reposo/

2 Dizionario latino-italiano secondo la sesta ed ultima edizione tedesca, Torino, Rosenberg & Sellier, 1896, s.v. Diverto, p. 854.

3 Per questo articolo verrà utilizzata la versione integrale dal francese: Blaise Pascal, Pensieri e altri scritti di e su Pascal, Roma, Edizioni Paoline, 1987. I frammenti citati saranno numerati secondo l’edizione Brunschvicg, che è stata adottata nella versione italiana.