A distanza di tempo mi è più agevole puntualizzare la figura di don Davide Pagnottella con riferimento al rapporto avuto con Attilio e me e che ora è ‘diversamente vivo’.
Altrove ho scritto come ci siamo incontrati, ricordando che Attilio lo aveva conosciuto in seminario e che poi lo aveva perso di vista finché il Vescovo Padre Abele Conigli ci chiamò per chiederci l’impegno a far rinascere l’Azione cattolica,
spenta dopo la crisi e le rivoluzioni del 1968. Ci disse di aver individuato un prete adatto a farsene carico con noi: Davide Pagnottella. Attilio esultò per quella indicazione che riattivava l’antica stima per il seminarista più grande e buono, mentre
io sono entrata in un rapporto già consolidato.
Credo che don Davide ci abbia visto come l’altro aspetto della vocazione cristiana: la famiglia, eravamo per lui un fratello e una sorella sposati con un bambino meraviglioso e tanta voglia di impegnarsi a fare bene del bene. Portare avanti insieme
gli impegni di ACI è stato al contempo impegnativo avendo lui la parrocchia e noi famiglia e lavoro all’Università, ma anche amichevolmente gioioso e gratificante. Per poter accordare un tale impegno pressoché costante tutte le sere andando nelle
parrocchie per proporre di riattivare e rifondare l’ACI, occorreva trovare chi ci desse una mano con i bambini. Don Davide ci accolse in casa e presentò sua zia, che divenne anche nostra, Antonina. Si era consacrata alla missione del nipote e non ha
mai derogato. Ci presentò anche sua cugina Gilda col marito Agostino e i loro tre figli, tranquillizzandoci sulla loro assoluta affidabilità. Presso queste due case di assoluta generosità, all’occorrenza, al ritorno dalle missioni potevamo trovare un
piatto caldo e recitare la Compieta finale, sempre in accordo con i distinti ritmi di vita. Per don Davide offrire e godere dell’ospitalità ai suoi amici era del tutto spontaneo e anche a quei parroci e parrocchiani che pian piano cominciavano a
rianimarsi nei paesi della diocesi.
È stata una collaborazione fraterna e intensa, interrotta dal punto di vista pastorale mai da quello amicale – quando a don Davide venne affidata la parrocchia del Cuore Immacolato, che richiedeva un impegno più totalitario e nella quale noi non
risiedevamo. Sia noi che lui lasciammo l’impegno diretto e costante in ACI. Del resto eravamo del parere che almeno ogni dieci anni bisognasse rinnovare gli incarichi, per favorire il ricambio e non ostacolare il rinnovamento.
Siamo cresciuti cinquant’anni insieme trasmettendoci reciprocamente i ‘talenti’ di cui ciascuno disponeva. Da don Davide si apprendeva la disponibilità a tener fede agli impegni fino alle ultime energie disponibili, la generosità, l’attenzione umana
prima ancora che sacerdotale ai problemi concreti degli amici, la dedizione ad occhi chiusi alla Chiesa locale e universale. Nell’organizzazione delle sue giornate era rigoroso, sobrio nei pasti e nei momenti di festa, cauto verso i politici e quanti
ricoprivano cariche di prestigio, casto e prudente nelle relazioni con le donne.
Con noi forse egli ha compreso meglio le problematiche che ogni famiglia affronta tra casa, mutuo, figli, casa, lavoro, burocrazia e le difficoltà delle relazioni coniugali nel travaglio quotidiano del farsi ‘uno’. Era lieto quando le circostanze gli
concedevano qualche momento di calore familiare, tanto più che nelle istituzioni, compresa quella ecclesiale, non si trova di frequente. Nelle conversazioni sapide dovette accogliere le critiche spesso corrosive, ma mai distruttive, che due laici a
tutto tondo come noi, di cui io donna, ponevano alla Chiesa. Non sempre si raggiungeva l’accordo sulle diverse questioni teologiche ed ecclesiologiche così come sulle analisi della società contemporanea, ma don Davide aveva il dono di non
impelagarsi nelle dispute e bypassarle per salvare sempre la relazione amicale. A me faceva piacere sollecitare la sua intelligenza, con qualche affondo che poteva risultare una provocazione, ma che lui accettava evitando di controbattere, ripassando in mente la dottrina che aveva studiato e attenendosi ai limiti che come prete sentiva di non poter superare per non trovarsi spiazzato rispetto alla sua promessa di consacrazione. Ascoltava, rifletteva, qualche volta annuiva, ma poi si rituffava a capofitto nella incondizionata adesione alla istituzione a cui aveva scelto sin da adolescente di appartenere. Pur essendo intellettualmente vivace, era cresciuto nell’adesione al magistero senza se e senza ma, il che talvolta lo faceva apparire a parrocchiani (e non) un po’ rigido nell’applicazione delle norme. Eppure i no gli venivano perdonati perché aveva una delicatezza nell’approccio, una innata sensibilità psicologica che lo facevano percepire come un amico privilegiato e
comunque affidabile. Chi lo conosceva sapeva che a qualunque ora lo avesse chiamato per un qualche bisogno imprevisto, sarebbe accorso e avrebbe fatto il possibile per dare una mano.
Vorrei aggiungere due ricordi. Quando il nostro bambino prese l’epatite e io come mamma dovetti restare in ospedale con lui in isolamento per la durata di un mese (le altre mamme non tolleravano presenze maschili), don Davide venne un
pomeriggio in ospedale e mi disse che prima della Messa della sera aveva tre ore libere delle quali aveva pensato di profittare per regalare a me e ad Attilio del tempo per stare insieme, riposare e rinfrancarci. Raro e gentile pensiero in un prete! Avendo
lui una diversa vocazione, aveva voluto prendere su di sé, per quel pomeriggio, il peso della genitorialità e toglierlo a noi. Come non essergli grati? Come non apprezzare la santità dei piccoli gesti nascosti di amore puro, l’amore incondizionato
per il cuore Immacolato di Maria, la disponibilità a scegliere il secondo o l’ultimo posto?
Un altro ricordo s’intreccia con il Vescovo che lo ha stimato, amato e chiamato dal paese di montagna San Pietro alla collaborazione con la Curia teramana: Padre Abele Conigli. Gli incarichi Don Davide non l’ha mai desiderati né percepiti come
prestigio. Era schivo e li teneva nascosti. Vi vedeva semplicemente una richiesta di una più vincolante sollecitudine per la Chiesa locale, con lo sguardo rivolto in particolare ai sacerdoti. In una occasione parlando col Vescovo di alcune persone gli
chiesi: “E che dice di don Davide? La risposta, con un lieve sorriso, fu: “Don Davide è [piccola pausa] perfetto”.
La Chiesa fa le sue valutazioni e ha i suoi tempi, ma credo di non esagerare dicendo che nel cuore di tanti che non indugiano sui dettagli venga spontaneo dire ‘santo subito’.
Giulia Paola Di Nicola