Sentito mai dire che qualcuno “s’arpellate”? Il riflessivo si usa (forse ancora oggi) per persone in condizioni di salute precaria ritenute gravi dai sanitari, ma che, fortunatamente, hanno superato la fase critica. La parola deriva dal latino “appellare”, che, oltre agli ovvi riferimenti di tipo giuridico, significa identificare gli alunni di una classe scolastica, ed anche richiamare persone o animali domestici. Nel nostro caso, ovviamente, sta ad indicare che il malato ormai migliorato può essere nuovamente annoverato tra le persone in buona salute.
Altra parola dialettale che credo tutti conoscano è “la canije”, (la canìglia), ovvero la crusca di frumento. E’ sostantivo utilizzato anche in Sicilia (canigghia) e deriva dal latino “canis” perché la stessa è ritenuta utile come cibo per i cani. Adesso i dietologi, trattandosi di un alimento ricco di fibre, la consigliano, in piccola misura, anche agli esseri umani.
Col verbo “arduaijà o, meglio, arduvaijà”, e con la frase “dà n’arduvaijate” – senso medesimo – noi abruzzesi intendiamo riferirci all’aggiustare, al mettere in ordine. Vediamo cosa scriveva su questo il mio caro, compianto amico Sergio Rosa nel suo testo “Li Castille” (Verdone Editore):“Rimediare, aggiustare, riordinare, racimolare soldi per regolarizzare piccoli debiti oppure altre cose. Rimediare alla meglio a situazioni disagiate e precarie. “Haije arduvaijate a la mìje: ho risolto alla meglio.” Derivazione da “dovario” e dal latino medievale “dotarium” (da dos-dotis) = assegno dotalizio, dono che il marito faceva alla moglie in occasione delle nozze oppure lascito in caso di vedovanza.”
Concludendo questo giretto tra alcune “nostre” espressioni, troviamo il termine “appalluštrë”, che viene usato, generalmente al negativo, per parlare di una persona – quasi sempre anziana, come il sottoscritto – che, dati i problemi alla vista dovuti all’età, non vedono bene qualcosa. Anche questo vocabolo deriva come tante altre volte dal latino, precisamente da “praelustris” (praelūcĕo-es), che significa “splendere davanti”. Chi dice “ ‘N’ c’appaluštrë ninde”, naturalmente, vuol dire “non vedo niente”.
Nella foto, la canìje