Coreografia Johan Kobborg
Musica Herman von Løvenskjold
Corpo di ballo del Teatro Nazionale di Praga
Orchestra dell’Opera Nazionale di Praga
Teatro dell’Opera
PRAGA
10 Aprile 2024 h19
…Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni…
(W.Shakespeare, La tempesta)
Sono una silfide, vengo da un altro mondo e tu mi sogni, sussurra all’orecchio del giovane James la lieve creatura d’aria e di vento, fantasma o figura reale chi può dirlo. Danza per lui, che se n’innamora perché l’anima inquieta lo spinge in un altrove visionario, al di là di ciò che è terreno. Ma l’alata creatura d’aria e di vento non può essere afferrata, perché se tocchi un sogno, il sogno muore: muore la silfide con le sue ali cadute nell’abbraccio mortale, e muore colui che nell’amarla la perderà per sempre.
C’è nell’ottocentesca fiaba struggente e tragica tutto il romanticismo nordico col suo corredo di atmosfere ossianiche e di leggende gaeliche: c’è il cupo maniero in Scozia – dimora dello sventurato James – e c’è il bosco della strega cattivissima Madge con la sua corte di streghe cattive almeno quanto lei, con tanto di sabba e pentolone dove ribolle ogni sorta di pozione – niente di salutistico, da scommetterci – e ci sono i voli notturni delle aeree silfidi dei boschi, creature dell’aria che ben poco possono per migliorare l’atmosfera…
Paradigma di un rinato bisogno di spiritualità, è quest’universo misterioso e magico ad irrompere anche nella danza e a fare della Sylphide – dalla versione pionieristica dell’italiano Filippo Taglioni a quella definitiva del danese Auguste Bournonville per il Balletto Reale di Copenhagen (1836) – l’archetipo del balletto romantico, prima ancora dell’altro balletto – archetipico anch’esso – Giselle: il linguaggio coreutico e la tecnica stessa della danza, profondamente innovati dal rivoluzionario metodo Bournonville saranno d’ora in poi luogo dell’agire eterno – non solo romantico – del dissidio incomponibile tra reale e ideale, del contrasto tra mondo materiale e universo sovrannaturale.
Nella versione coreografata da Johan Kobborg per prestigiosi teatri del mondo e ora alla State Opera di Praga, l’idioma della danza disegna l’irrisolto dualismo dell’anima romantica: e il Sehnsucht – il “male del desiderio” – del giovane protagonista incapace di aderire alla realtà contingente e da cui fuggirà infatti per inseguire tragicamente la sua Silfide, finisce per spogliarsi del connotato fiabesco e farsi elegia dell’irraggiungibile, del sogno come infinita ombra del vero.
Due mondi contrapposti che il vocabolario della danza disegna e la partitura musicale evoca, in perfetta reciproca simbiosi.
In quello reale si dipana la trama giocosa e festante delle nozze imminenti e che mai avverranno tra il giovane James e la dolce Effie, si dispiegano il vigore giovanile e l’ardore dell’eros nella coralità dei riti sociali, delle danze dagli echi folklorici: un mondo di vitale esuberanza che la fisicità dei danzatori – interpreti a tutto tondo – esalta e fonde con grazia naturale alla trama sonora; in mezzo, come silenti acque carsiche, scorrono l’intima insopprimibile irrequietezza del giovane James (Adam Zvonař), il presago turbamento della promessa e mancata sposa, la dolce Effie (Olga Bogoliubskaia), la baldanza compressa del rivale in amore (Francesco Scarpato).
Nell’altra dimensione, quella misteriosa ed onirica dell’intero secondo atto, ecco la levità della Silfide (Irinia Burduja) ecco il gioco tenero e ambiguo della seduzione, ecco la conquista dell’amore predestinato e impossibile, il sortilegio malefico della strega Madge (Miho Ogimoto); ecco infine, unica vincitrice, la morte.
Grazia, leggerezza, perfezione tecnica sono la cifra di questi luminosi danzatori, nell’intensità con cui disegnano la parabola tragica dell’amore distruttivo: fiaba romantica eppure senza tempo, quella della Sylphide, dove né il sogno si tramuta in realtà, né le aspirazioni si compiono; dove la felicità è fantasma leggero fatto d’aria e di vento e la sconfitta, ancor prima che dell’eroe romantico è quella, eterna e sempre uguale, dell’uomo.