Marisa Forcina, Francoise Collin. Pensare nella differenza, pensare nella libertà, ed. Franco Angeli, Mi 2024
In questo libro l’autrice, Marisa Forcina, che ha al suo attivo numerosi studi sulle problematiche relative alla condizione femminile, propone una riflessione sulla figura e l’opera della scrittrice e filosofa Françoise Collin. Il lavoro non è concepito come uno studio accademico, ma come un dialogo con un’amica nell’intento di “conservarne la memoria, nella consapevolezza che…la memoria intrattiene un dialogo incessante con il presente”. Dal discorso dell’autrice, che condivideva con Collin amicizie e letture, emerge il profilo del pensiero e dell’appassionata militanza della scrittrice belga, che è stata una voce importante “del femminismo critico dagli anni Settanta fino al primo decennio del Duemila”.
Francoise Collin sottolinea come il femminismo pone questioni molto importanti non solo per la donna, ma per tutta la società: avendo vissuto lei stessa le vicende del femminismo fin dagli anni Sessanta e Settanta, ne individua l’evoluzione nell’arco di mezzo secolo. Mette in evidenza come partendo dalla prima fase, centrata sulla riflessione intorno alla differenza sessuale, all’uguaglianza di fronte alla legge e alle istituzioni, alla parità dei diritti e alla differenza sessuale che si ripercuote sul ruolo familiare e sociale della donna, il femminismo attuale ha spostato la riflessione sul piano culturale e politico. Questa posizione si concretizza nella fondazione della prima rivista di teoria femminista in lingua francese, Le Cahiers du Frif, a cui collaborano donne provenienti da vari ambiti culturali, con l’obiettivo di avviare la discussione su cosa sia il femminismo e quale ne sia la funzione. Attraverso la discussione sui rapporti di forza cui le donne sono state da sempre assoggettate emerge la necessità di trasformare tali rapporti attraverso l’impegno politico. In tal modo la differenza dei sessi viene riletta come ricerca di una nuova identità, diversa da quella implicita nel concetto di égalité.
Per questo rifugge dalla terza persona, neutra, in nome dell’impegno assunto in prima persona: bisogna prendere partito, stare da una parte, difendere la propria posizione contro il politicamente corretto. Diffida anche dei concetti di uguaglianza e democrazia perché l’uguaglianza nega la pluralità e la democrazia rappresentativa limita la partecipazione al momento elettorale, arrivando a definire l’urna elettorale come “l’urna funeraria della democrazia”.
L’autrice nell’ultimo capitolo affronta il tema dell’identità di genere e della differenza, offrendo un’ampia panoramica del dibattito in corso e ponendo in primo piano la convergenza della posizione di Collin con quella di Hannah Arendt; sottolinea come secondo Collin dal punto di vista filosofico e politico si tratta di vedere la differenza non come opposizione né come nozione teorica, ma come strumento “che apre alla libertà dei soggetti…e si pone come risorsa per se stessi e per tutti”. Si tratta di capire quali sono le condizioni e le modalità per la valorizzazione dei soggetti attraverso una conoscenza “in qualche modo unitaria della soggettività”, mediante il superamento dei concetti e delle metodologie tradizionali, che facevano riferimento a categorie assolute non più adeguate all’analisi dell’epoca attuale. Oggi il teme più importante è la differenza, ma è necessario chiarire il rapporto tra identità e differenza. Secondo Collin l’affermarsi della globalizzazione sia sul piano economico sia sul piano culturale, con il decisivo apporto dei media e dei social, ha portato a un progressivo depotenziamento delle caratteristiche singolari a favore di una assimilazione delle differenze individuali, che, se da un lato rassicura e sembra essere capace di superare le distanze di razza, religione, classe e “genere”, dall’altro spersonalizza e priva gli esseri umani di quelle specificità che rendono ciascuno unico e irripetibile, in fondo privandoli della libertà. L’identità mentre si sostituisce alla libera soggettività si richiama a una universalità indefinita, come avviene nel campo della sessualità, che “si presenta come un insieme di variabili indipendenti che possono coesistere nello stesso soggetto (“nomadismo identitario”).
Nel capitolo sulle radici filosofiche del femminismo radicale di Collin l’autrice sottolinea da un lato la presa di posizione critica della filosofa belga verso il positivismo e “la dialettica hegelomarxista” di Sartre, come pure verso le filosofie dell’esistenza, dall’altro l’apprezzamento per la posizione di Simone De Bouvoir, assunta a “punto di riferimento imprescindibile per il femminismo internazionale”. E proprio a partire dal pensiero di De Bouvoir, Collin elabora il “pensiero della differenza”, considerato come il mezzo per collegare la teoria alla pratica, nel senso che il pensiero della differenza può assurgere a pratica politica. In questo modo la scrittrice belga si incontra con la posizione di Hanna Arendt, che concepisce la mente non astratta bensì radicata nella realtà politica.
Collin nel trasformare le sue radici filosofiche in un percorso politico, intende il femminismo come praxis, come pratica politica, che non si rifà a un modello, ma è basata sulla pluralità dialogica e sulla ricerca di spazi in cui si possa affermare la singolarità di ciascuno. In questa prospettiva rifiuta la concezione secondo cui l’anatomia della donna determina il suo destino: il soggetto è incarnato perciò è sessuato; la differenza sessuale è un dato di fatto che non si può rappresentare: è sbagliato cercare di creare un’identità femminile (ciò che è e che deve essere la donna), e ciò si evince dal rifiuto di parlare della donna e dal riferimento sempre alle donne al plurale. La riflessione intorno alla differenza non può prescindere dalla libertà, così la differenza assume una valenza epistemologica, etica ed estetica, oltre che politica.
Nella filosofia tradizionale si è affermata la “ragione dialettica” (il pensiero al maschile) a fronte della quale Collin propone una “ragione dinamica”, una riflessione che supera le strade già percorse e riflette sul presente. Il nuovo femminismo attraverso la riflessione attua un percorso di libertà; non si riferisce a un modello predefinito o ad un “principio”, ma è un iter che si fa storicamente, e afferma la libertà di agire rispetto alla situazione contingente. Il nuovo femminismo è un invito alla libertà e all’autenticità, ma la libertà richiede la convergenza di donne di generazioni e origini differenti, costruendo un linguaggio capace di rivolgersi a tutti.
Forcina pone l’accento sul ruolo che in questa ricerca di convergenza assumono la parola e il dialogo nel pensiero di Collin: per lei le parole annunciano la verità, l’essere delle cose, delle persone e dell’intera realtà, e individua nella cura della parola un’apertura all’infinito; per questo fare filosofia significa scegliere il campo dove le parole hanno “un’apertura all’infinito…il campo in cui è possibile cercare – e trovare – la verità”. Collin propone una rilettura della cultura e della filosofia occidentale, da un lato sostenendo che il femminismo deve lavorare sull’ordine simbolico, dall’altro mettendo in discussione sia il soggetto sia i principi della politica, della morale e dell’epistemologia tradizionali. Preconizza una trasformazione basata sulla parola; tutte le donne devono avere accesso alla parola: la parola libera è testimonianza e la testimonianza diventa oggetto di incontro e di riflessione, in tal modo il femminismo diventa un movimento del plurale donne, capace di costruite un pensiero delle donne basato sulla diversità personale, evitando la tentazione del pensiero unico.