Intervista ad Elena, miss mondo
Elena ha fattezze e origini divine. Figlia di Zeus e di Leda, incarna l’eterno femminino, e la non responsabilità riguardo alla sua innata bellezza non esclude nell’Iliade che su di lei cada una condanna morale per aver insanguinato la Grecia in contesa per restituirla al legittimo marito Menelao, secondo il patto stipulato da Tindaro. Tante le versioni di questo mito e altrettante le interpretazioni; si sostiene addirittura che i figli l’abbiano ripudiata e bandita a Rodi, dove trovò la morte per volontà di Polisso, che la fece impiccare perché responsabile di infinite rovine per tutti gli Achei. Proprio qui a Rodi mi reco alla ricerca della tomba della bella Elena, madre di Ermione di dannunziana memoria, ad onorarla e a chiedere scusa a nome di tutta l’umanità per le ferite infertele da una società maschilista che non le ha perdonato la sua bellezza e ha scatenato un’orda di pretendenti alla sua mano che ha messo in ginocchio la Grecia, ma, in primis, lei, la donna amata, cercata, concupita e vilipesa.
Siamo a ridosso del giorno della festa della donna, 8 marzo, ma lei può ammonirci cosa significhi essere amata e perseguitata dal genere maschile, che, come gli esemplari peggiori delle fiere, scatenano contro di lei ormoni e pulsioni e mal digeriscono il fatto di essere abbandonati al punto da decretare per lei la pubblica impiccagione?
E’ Rodi una ridente e solatia isola greca, e mi inabisserei nel mare d’inverno pur di far venire a galla la verità sul destino di questa donna dibattuta al suo interno, tragicamente coinvolta in un destino assegnatole per mano degli dei; una donna mai ambigua, ma anzi di specchiata moralità, che si trova nolente al centro di un dibattito (assoluzione o condanna?). Ella, sì, davvero ha subito violenze psicologiche e fisiche (l’impiccagione!) che l’hanno lentamente e inesorabilmente usurata senza mai privarla dell’incantesimo della sua straordinaria bellezza. Forse perché la vera bellezza è quella dell’anima: quella rifulge nel corpo conferendole splendore divino inattaccabile e inviolabile.
Eppure a Rodi, in ginocchio accanto alla sua tomba con le mani congiunte in assorta preghiera, non sento il suono né la luce del suo antico splendore; mi sento persa, sola, desolata, come se fossi lontana dal mio obiettivo principe: parlarle col cuore in mano e farle sentire tutta la mia solidarietà di donna che ha da tempo superato l’invidia per la bellezza altrui e sta lì in silenzio protendendo orecchio e cuore ad ascoltare le sue alate parole. Ma nulla io sento, se non un pugno nello stomaco dolente, per l’impossibilità a comunicare tutto il portato emotivo di questo incontro a lungo accarezzato nella mia fantasia. Vedo viandanti annoiati che calpestano le erbacce intorno alla tomba, nessun rito, nessuna preghiera: “ certo si tratta di un cenotafio- mi dico- Elena non può essere lì tra l’indifferenza di un popolo indolente. Forse devo salire, salire e salire per incontrarla, forse qui mi trovo in posto infimo rispetto alla sua grandezza” . Come il sacerdote Crise, mi metto in disparte sulla riva del mare sonante, immolo un ecatombe di buoi ad Apollo e così prego:” Febo Apollo, arco d’argento che lungi saetta, se mai il mio sacrificio ti è gradito, dimmi, tu dio della aruspicina: dove posso trovare la mia Elena? La donna cui voglio tributare onori perenni a ricordo delle violenze subite, perché mai più si debba pensare al femminino come ad un oggetto da conquistare con guerre e violenze di tutte le sorti? Una nebbia mi avvolge e cado in un torpore simile alla nera morte.
Un boato solleva l’isola tutta e gli indolenti uomini ormai sono rintanati nelle misere case; un freddo sudore mi attraversa, un fuoco sottile si insinua sotto la pelle, poi cado come corpo morto cade. Tra le braccia di Febo viaggio verso l’alto e io, unica donna vivente mi ritrovo d’incanto sui Campi Elisi, nell’Isola dei Beati e lì finalmente rifulge in tutto il suo splendore l’anima di Elena, accanto a quella di Achille ( che coppia!); non molto lontano intravedo Euforione, loro figlio di stupefacente bellezza e di cuore ardito.
A lei mi accosto e le dico sottovoce: G.” Donna di straordinaria bellezza, vittima dell’iniquo potere del maschio fallocentrico (so o che lei mi capisce!) come mai ti trovi nell’Isola dei Beati?”.
E. “Cara solidale sorella, dopo la mia morte e la discesa nel Tartaro, insieme ad Achille fui assunta nei Campi Elisi per i miei meriti, insieme al glorioso Achille, il più grande, più geniale, più folle, più sano di tutti gli eroi della Grecia. Egli, come me, amava intensamente la vita e viveva le sue passioni in modo totalizzante. Amò profondamente Briseide e parimenti Patroclo e, pur sapendo di avere breve vita, mai si sottrasse alla vita stessa e al suo destino. Vivere intensamente, non a lungo, questo gli dei avevano stabilito e lui prese alla lettera quanto le Parche avevano filato. La sua ira funesta si abbatté sul campo acheo non solo per il ratto di Briseide, ma per il sentimento di amore incontaminato e indiscusso che nutriva per tutte le donne, me compresa. Mai mi considerò una sgualdrina o la causa della guerra funesta, difese, ritirandosi in tenda il suo amore per l’elemento muliebre, condannando tutti quei maschi pretendenti alla mia mano da Agapenore ad Odisseo, il suo nemico ideale. A centinaia chiedevano a mio padre Tindaro la mia mano non solo per la mia bellezza, ma soprattutto per la difesa della loro virilità”:
G. “Cara Elena, come si sente una donna ad essere così desiderata? Prova compiacimento, orgoglio o disgusto?”.
E. “La bellezza è anzitutto una qualità dell’anima che si rispecchia nel corpo. Per cui, ovviamente, si rimane inizialmente molto compiaciuti di essere desiderabili, ma, a lunga distanza, ci si accorge che l’unica cosa che conta è l’amore vero e profondo per il proprio partner e che è faticoso dividersi tra molti.“
L’uomo che ho veramente amato e amo è Achille per le sue peculiarità uniche che lo rendono eccezionale. Egli si spende per amore, non si preserva, per questo si distrugge, diversamente dall’astuto Odisseo che preferisce una lunga vita serena accanto a Penelope, anche a costo di rinunciare a desideri e pulsioni più potenti. Pensi tu forse che non avrebbe voluto giacere con Calypso dai lunghi riccioli d’oro? Certo che sì, ma non volle, barattando un amore travolgente per un sentimento in riposo. Il mio Achille non allontana mai lo sguardo da me immolando sull’altare dell’amore la sua stessa essenza divina.“
G. “Non ho mai dubitato della superiorità di Achille, non solo come guerriero, ma anzitutto come uomo vorace di passioni forti, per questo lo amo immensamente, anche se io mai ho potuto accarezzare il suo sguardo nemmeno da lontano.”
E. “Achille vien qui, ti presento una delle tue tanti adoratrici!”
Lui si impone al mio sguardo con la potenza del corpo, l’orgoglio dell’incedere divino, ma poi si piega su di me come fratello, mi bacia pudicamente sulla guancia e il pensiero di lui mi trascende tutta intera e sono non lontana dal morire. Ma, come dice Saffo, bisogna osare e allora gli porgo l’altra guancia, e lui a me: “ Donna di nobili fattezze, tu sei un essere speciale e non a caso Febo ti ha portato tra noi, poi sceglie il frutto più bello del giardino e a piccoli morsi io assaporo almeno una volta cosa significhi vivere.“
Inutile dire che qui nell’Isola dei Beati non c’è colpa e redenzione, qui ci sono solo anime pure, qui la natura dà tutto a piene mani in estrema generosità; qui tutti sono luce pura e io stessa lo divento per qualche secondo, in cui perdo sostanza umana e per una volta, una soltanto, mi sento amica del mondo.
N.d.r.: il busto di Elena è opera di Antonio Canova