Tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge, recita l’articolo 8 della Costituzione italiana, aggiungendo che tutte le religioni diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi purché non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano, il quale con l’articolo 7 lascia intendere che la religione largamente prevalente è quella della Chiesa cattolica, i cui rapporti con lo Stato sono regolati dai Patti Lateranensi. Si afferma altresì, con l’articolo 3, l’uguaglianza di tutti i cittadini, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
Sul piano pratico della convivenza civile, mi sembra chiaro che laddove esistano minoranze etniche o flussi migratori che come in Italia stanno diventando sempre più frequenti, il principio base su cui fondare i rapporti interculturali è la tolleranza. Non dico nulla di nuovo, se pensiamo ai tanti sociologi, storici e filosofi che se ne sono occupati, tra cui mi viene in mente Locke, il quale nella Lettera sulla tolleranza ( A Letter Concerning Toleration, 1689 ) sostiene che ogni religione debba avere tolleranza perché l’oppressione, di qualunque tipo, genera sempre rivolte nello Stato. D’altra parte, il Vangelo predica l’amore e la non violenza. Ma perché ciò si realizzi appieno, è indispensabile secondo lui che lo Stato sia laico, non confessionale. Come d’altra parte lo è il nostro, dopo oltre 3 secoli dalle sue riflessioni.
Questo non vuol dire, però, che la tolleranza non abbia limiti, come già Locke nel saggio ammoniva. Bisogna tenere sempre ben presente infatti che la libertà, sia personale, sia sociale, sia religiosa, non deve sconfinare in spazi altrui soffocando i diritti degli altri, limitandoli o addirittura eliminandoli. A me pare che ciò sia successo nella scuola elementare De Amicis di Agna, in provincia di Padova, dove le maestre per la ricorrenza delle feste natalizie hanno tolto ai testi di poesie e canzoncine ogni riferimento a Gesù, sostituendolo addirittura con Cucù, per rispetto dei bambini di altre religioni e per non urtare la sensibilità delle loro famiglie. Io lo trovo invece irrispettoso nei confronti della nostra tradizione, della nostra memoria, della nostra radice storica occidentale, che pone la figura di Gesù all’inizio della nostra civiltà, indicando addirittura i secoli con ante e post Christum natum. Un eccesso di cautela che rovescia addirittura i termini del rapporto straniero-paese ospitante, in cui il primo dovrebbe integrarsi e il secondo favorire l’integrazione ma senza perdere la propria identità.
Tra l’altro, Cucù può indicare un gioco, un orologio, il verso del cuculo, fare capolino, la risposta ad un invito che si vuole respingere, il souvenir famoso di Matera.